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I Misteri dei Cabiri


a cura di IniziazioneAntica




Il Santuario dei grandi dei di Samotracia, sull'isola omonima, è uno dei principali santuari panellenici. Costruito immediatamente ad ovest delle fortificazioni della città di Samotracia, non dipendeva tuttavia da essa, come dimostra l'invio di ambasciatori dalla città al santuario in occasione delle feste. Il santuario era celebre in tutto il mondo greco per il culto misterico che vi si praticava. Si trattava di un culto dedicato a divinità ctonie, non meno famoso dei misteri di Eleusi, e molti furono i grandi iniziati: da Erodoto (uno dei pochi autori greci che ha lasciato qualche indicazione sulla natura dei misteri celebrati), al re di Sparta Lisandro, a molti ateniesi. Il culto è in effetti menzionato sia da Platone che da Aristofane. Il sito conobbe un periodo di spettacolare sviluppo architettonico in epoca ellenistica, quando divenne, in seguito all'iniziazione di Filippo II di Macedonia, una sorta di santuario nazionale macedone, dove i successori di Alessandro Magno gareggiavano in munificenza. Rimase un luogo di culto importante fino all'epoca imperiale – l'imperatore Adriano lo visitò, Varrone descrisse una parte dei misteri – prima di scomparire alla fine dell'epoca tardo-antica. L'identità e la natura delle divinità venerate nel santuario restano in gran parte misteriose, tanto più che era vietato pronunciare il loro nome. Le fonti letterarie antiche le designano con il nome collettivo di Cabiri, Kabeiroi, mentre nelle iscrizioni ritrovate in loco esse portano semplicemente il nome di Dei, o Grandi Dei (Megaloï Théoï).

 

Il Pantheon di Samotracia



Il pantheon dei Grandi Dei comprende diverse divinità ctonie, in gran parte anteriori all'arrivo dei coloni greci sull'isola (VII secolo a.C.), tutte legate alla figura centrale della Grande Madre. La Grande Madre, divinità femminile spesso rappresentata nelle monete di Samotracia come una donna seduta con un leone al fianco. Il suo nome segreto originale era Axiéros. È una figura prossima alla Grande Madre Anatolica, la Cibele Frigia, o ancora alla Dea Madre Troiana del monte Ida. I Greci l'hanno assimilata alla dea della fecondità, Demetra. La Grande Madre è la signora onnipotente del mondo selvaggio delle montagne, venerata tra sacre rupi dove le vengono offerti sacrifici. Nel santuario di Samotracia, i suoi altari corrispondono ad affioramenti rocciosi di porfido di vari colori (rosso, verde, blu o grigio). Per i fedeli, il suo potere si manifesta anche nelle vene di minerale di ferro magnetico, con cui essi realizzano anelli che gli iniziati portano in segno di riconoscimento. Un certo numero di questi anelli è stato ritrovato nelle tombe della necropoli vicina al santuario. A Samotracia si venerano anche Ecate, con il nome di Zerynthia, e Afrodite-Zerynthia, il cui culto è stato scorporato da quello della Grande Madre e assimilato a divinità più familiari ai Greci. Kadmylos, lo sposo della Grande Madre Axiéros, è un dio della fertilità identificato dai Greci con Ermes itifallico, i cui simboli sacri sono una testa d'ariete e un bastone - il kerykeion, evidente simbolo fallico che si ritrova su alcune monete. Cadmilo è accompagnato da altre due figure maschili, i Cabiri, che rappresentano forse la forma originaria dei due eroi leggendari fondatori di Samotracia, i fratelli Dardano ed Eëtion. I Greci li identificavano con i Dioscuri, divinità gemelle assai popolari come protettori dei marinai in pericolo. Una ulteriore coppia di divinità infere, Axiokersos e Axiokersa, è identificata con la coppia Ade - Persefone, e forse non appartiene al gruppo originale di divinità pre-greche. Attraverso queste figure, comunque, la leggenda del ratto della dea della fertilità da parte del signore degli inferi entra a far parte del dramma sacro che si celebra a Samotracia, sia pure con un'importanza minore che ad Eleusi. Quest'ultima coppia costituisce insomma la saldatura, nel pantheon di Samotracia, tra i culti misterici arcaici di provenienza frigia, e quelli "moderni" celebrati in Grecia. In epoca tarda, questo mito della coppia generatrice è stato identificato con quello del matrimonio di Cadmo e Armonia, forse per via di un accostamento dei nomi con Kadmylos ed Elektra.

I Riti





L'insieme del santuario era aperto a chiunque volesse venerare i Grandi Dei, anche se l'accesso agli edifici dedicati ai misteri era riservato ai soli iniziati. I riti più comuni non si distinguevano da quelli praticati negli altri santuari greci: preghiere e voti accompagnavano i sacrifici cruenti di animali domestici (montoni, maiali) presentati ai fuochi consacrati (eschárai), e le libagioni offerte alle divinità ctonie su fosse rituali, di forma circolare o rettangolare, dette bóthroi. Sono molti, gli altari di pietra in uso; il più grande fu arricchito nel IV secolo a.C. da un recinto monumentale (Altare corto, pianta, n° 11). La grande festa annuale, per la quale affluivano sull'isola inviati da tutto il mondo greco, si teneva forse in luglio. Essa comprendeva la rappresentazione di un dramma rituale che rappresentava il matrimonio sacro (lo Hieros gamos), che si teneva forse nell'edificio ornato dal fregio delle danzatrici (IV secolo a.C.). A quest'epoca si era già imposta la credenza che la ricerca della vergine scomparsa, seguita dalla celebrazione delle sue nozze con il dio degli Inferi, rappresentasse il matrimonio di Cadmo e Armonia. Il fregio che dà il nome al recinto sacro (vedi foto qui sopra) potrebbe alludere appunto a questo matrimonio. Verso il 200 a.C., grazie alla costruzione di un teatro (pianta, n° 10), di fronte al grande altare (pianta, n° 11), la celebrazione si arricchisce di una gara dionisiaca. Doveva essere, quella la sede della rappresentazione dei miti locali: in quest'epoca la città di Samotracia rende onore ad un poeta di Iasos in Caria, per aver composto la tragedia Dardanos, ed essersi reso variamente meritevole verso l'isola, la città e il santuario. Non diversamente da Delfi, il santuario era destinatario di numerosi doni votivi, che erano conservati in un edificio apposito situato presso il grande altare (pianta, n° 12): si trattava di statue di bronzo, di marmo o d'argilla, di armi, vasi e così via. Oltre a questi onori "pubblici" il santuario, posto su rotte assai frequentate, era destinatario di offerte votive più modeste e private ma non meno intense: gli scavi hanno infatti riportato alla luce ami e conchiglie offerti da marinai o pescatori che ringraziavano gli dei di averli salvati dai pericoli del mare.

L' Iniziazione



La caratteristica particolare del culto misterico di Samotracia stava nella sua grande apertura: contrariamente a quanto accadeva ad Eleusi, qui l'iniziazione non richiedeva alcun requisito, né di età, né di sesso, né di status, né di nazionalità. Tutti potevano parteciparvi, uomini e donne, adulti e ragazzi, greci e non greci, liberi affrancati o schiavi. L'iniziazione non era neppure limitata a date stabilite, e nello stesso giorno era possibile essere iniziati ai due gradi successivi dei misteri: in sostanza, l'unica condizione che si richiedeva era la presenza nel santuario. Il primo stadio dell'iniziazione era la myesis: il mystês, cioè il protagonista, riceveva la rivelazione di un racconto sacro, e gli venivano mostrati dei simboli particolari. Così, nel caso di Erodoto, la rivelazione riguardò l'interpretazione di immagini itifalliche di Ermes-Kadmylos. Secondo Varrone, i simboli rivelati in questa occasione rappresentavano il Cielo e la Terra. A fronte della rivelazione, che era mantenuta segreta, l'iniziato riceveva la promessa di alcuni privilegi: la speranza in una vita migliore, la protezione in mare e forse, come ad Eleusi, la promessa di una vita felice dopo la morte. Durante la cerimonia riceveva una sciarpa rossa, annodata attorno alla vita, che costituiva un talismano di protezione. L'anello di ferro esposto al potere divino delle pietre magnetiche è probabilmente un altro simbolo di protezione conferito durante l'iniziazione. Parapetto con bucrani proveniente dalla Rotonda di Arsinoe (Museo di Samotracia) (pianta, n° 15) La preparazione all'iniziazione si faceva in una piccola stanza a sud dell'Anaktoron (letteralmente, la Casa dei Signori - pianta, n° 16), una specie di sacrestia dove l'iniziato veniva vestito di bianco e riceveva una lampada. La myesis aveva poi luogo nell'Anaktoron, una grande sala capace di accogliere la folla dei fedeli già iniziati che assistevano alla cerimonia su banchi disposti lungo i muri. L'aspirante compiva un rito di purificazione in una vasca situata nell'angolo sud-est, poi faceva una libagione agli dei ctonii in una fossa circolare. Alla fine della cerimonia prendeva posto, seduto, su un palco di legno, rotondo, di fronte alla porta principale, mentre attorno a lui si eseguivano danze rituali. Poi veniva condotto nella stanza a nord, il santuario dove riceveva la rivelazione propriamente detta. L'accesso a questo santuario era interdetto a tutti i non iniziati. Alla fine gli veniva consegnato un documento che attestava la sua iniziazione ai misteri e poteva, almeno nell'ultimo periodo del santuario, pagare per far iscrivere il proprio nome su una lastra commemorativa posta su un monumento. Il secondo grado dell'iniziazione era detto epopteìa, letteralmente, la contemplazione: contrariamente ad Eleusi, dove tra il primo e il secondo grado doveva passare un anno, qui esso poteva essere ottenuto immediatamente dopo la myesis, e non era obbligatorio per completare il percorso misterico. In effetti il secondo grado era raggiunto solo da un piccolo numero di iniziati, il che fa pensare che esso implicasse condizioni difficili, benché i criteri di selezione non fossero né economici né sociali. K. Lehman ritiene che si trattasse di condizioni morali, legate all'audizione e alla confessione dei peccati che veniva richiesta al candidato. Questa audizione sarebbe avvenuta di notte, come l'insieme dei riti iniziatici, davanti allo Hieròn, il centro dl santuario, (piano, n° 13), dove è stata ritrovata una base che doveva sorreggere una torcia gigante. In generale, la scoperta di molte lampade e supporti da torcia in tutto il sito conferma la natura notturna dei riti principali. Dopo l'interrogatorio e l'eventuale assoluzione da parte dell'officiante, il candidato era introdotto nello Hieròn, che qui serviva anche da épopteion, dove procedeva a riti di purificazione e ad un sacrificio su un'ara situata al centro della cella. Poi andava a prendere posto sul retro dell'edificio, di fronte alla sua estremità in forma d'abside, che tendeva probabilmente a ricordare una grotta. Qui lo ierofante (letteralmente, "colui che dice il sacro", cioè l'iniziatore) prendeva posto su un podio nell'abside, recitava la liturgia e mostrava i simboli dei misteri. In epoca romana, verso il 200 a.C., l'entrata dello Hieron fu modificata in modo da permettere l'ingresso di vittime per il sacrificio. Fu costruito un parapetto all'interno per proteggere gli spettatori, e nell'abside fu ricavata una cripta. Queste modifiche servirono a consentire la celebrazione dei Kriobolia e dei Taurobolia della Magna Mater anatolica, introdotti a quell'epoca. Nei nuovi riti l'iniziato (o forse solo il celebrante, in suo nome) discendeva in una fossa nell'abside, e veniva versato su di lui il sangue degli animali sacrificati, con un rito di natura battesimale.


L' Organizzazione del Santuario





Fondamenta della Rotonda di Arsinoe e frammenti della dedica (pianta, n° 15)
Al primo impatto la pianta del santuario di Samotracia può apparire confusa: questo è l'effetto della topografia particolarissima del sito, e della successione di diversi programmi edilizi succedutisi in due secoli. Il santuario occupa in effetti tre terrazze strette, separate da due torrenti incassati sulle pendici occidentali del monte Hagios Georgios. Si entra da est, dal propileo dovuto a Tolomeo II e chiamato per ciò Ptolémaion (pianta, n° 20), che scavalca il ruscello occidentale facendo da ponte. Subito ad ovest, sulla prima terrazza, una piazza lastricata e ribassata, a gradini circolari, ospita al centro un altare, e doveva servire da area sacrificale, ma non se ne possono precisare meglio le funzioni. Un sentiero tortuoso scende verso la terrazza principale, tra i due ruscelli, e lì si trovano i principali monumenti cultuali. Una grande thòlos, l'Arsinoéion o Rotonda di Arsinoe (pianta, n° 15), la più grande sala circolare coperta del mondo greco, con i suoi 20 m. di diametro, serviva forse ad accogliere le processioni dei sacri ambasciatori delegati dalle città o dalle associazioni a presenziare alle grandi feste del santuario. La decorazione di rosette e bucrani (teste di toro ornate di ghirlande, vedi immagine) fa pensare che anche qui potessero avvenire dei sacrifici. La rotonda è stata costruita sopra un edificio più antico di cui restano soltanto le fondazioni. Proprio allo sbocco del sentiero che porta all'entrata del santuario si trova l'edificio cultuale più grande, l'edificio del Fregio delle Danzatrici (pianta, n° 14), a volte chiamato Temenos, perché corrisponde ad una recinzione monumentale che segnava un'area sacrificale molto più antica. La ricostruzione della sua pianta è notevolmente cambiata nel tempo (si confrontino ad esempio le diverse edizioni della guida archeologica di K. Lehman, la pianta riprodotta qui è quella della 4.a edizione). Si tratterebbe dunque di un semplice cortile preceduto da un propileo ionico decorato dal celebre fregio delle danzatrici (si veda qui sopra la figura). L'autore potrebbe essere il celebre architetto Scopas. A sud del Temenos si trova l'edificio di culto più importante, l'épopteion, designato da un'iscrizione con il nome di Hieron (pianta, n° 13). Non è noto colui che lo ha dedicato, ma considerando la magnificenza dell'edificio non poteva che essere di stirpe reale. È una sorta di tempio, ma non periptero, e costituito da un solo ordine prostilo di colonne (in parte rialzate: vedi foto). L'ornamentazione della facciata si segnala per la grande ricercatezza. Lo spazio interno è il più largo spazio senza supporti intermedi che si conosca nel mondo greco (11 mt.). L'edificio finisce a sud con un'abside inscritta nella pianta rettangolare, che costituisce, come il coro di una chiesa, la parte più sacra del tempio. Potrebbe, secondo R. Ginouvès, una grotta pronta ad accogliere i riti dei culti ctonii. Ad ovest dello Hieron sono situati l'altare principale (Altare corto) e una sala in cui venivano esposte le offerte dei fedeli (pianta, n° 11 et 12). Capitello anteriore della facciata ovest del Propileo di Tolomeo II: Grifoni che divorano una biscia (Museo)-(pianta, n° 20) A nord della Rotonda di Arsinoe si trova l'Anaktoron, l'edificio che accoglieva la myesis. La versione attuale è di epoca imperiale. La terza ed ultima terrazza, ad ovest del centro cultuale del santuario, è occupata soprattutto da monumenti votivi, come l'Edificio della Milesia, così chiamato per la dedica di una cittadina di Mileto (pianta, n° 5), e il Néôrion (pianta, n° 6). In questa zona si trovano anche sale per banchetti (pianta, n° 7) e tre piccoli tesori ellenistici molto mal conosciuti (pianta, da n° 1 a 3). Questo spazio è dominato da un grande portico lungo 140 mt, la Stoà (pianta, n° 8), che costituisce una quinta monumentale del santuario, sopra al teatro. È in questa parte del sito che si trovano le tracce di occupazione più recenti: sul luogo dei tesori fu costruito un forte bizantino, che ne riutilizzò i materiali da costruzione.



Un Santuario Nazionale Macedone





"Si dice che, trovandosi Filippo a Samotracia, nella sua prima giovinezza, vi fu iniziato ai misteri insieme con Olimpia, allora fanciulla e orfana di padre e di madre. Se ne innamorò e, ottenuto il consenso di Arymbas, fratello della principessa, la sposò." Così Plutarco, nella Vita di Alessandro. Da questo aneddoto storico prende le mosse la fedeltà al santuario della dinastia argeade, poi delle due dinastie dei Diadochi, Lagidi e Antigonidi, che rivaleggiarono in munificenza, nel corso del III secolo a.C., nei diversi periodi della loro dominazione sull'isola e più in generale sull'Egeo settentrionale. Il primo sovrano di cui si sono conservate le tracce epigrafiche è il figlio di Filippo e fratellastro di Alessandro, Filippo Arride, che compare come principale benefattore del santuario nel IV secolo a.C.: si deve a lui probabilmente il Temenos (verso il 340 a.C.), l'Altare corto nel decennio successivo, lo Hieron verso il 325 a.C., così come il monumento dorico attorno all'area circolare est, dedicato a nome proprio e di suo nipote Alessandro IV di Macedonia, e quindi databile al tempo del loro regno comune fra il 323 a.C. e il 317 a.C.. Fregio delle Danzatrici proveniente dal Temenos (Museo) (pianta, n° 14) La seconda fase di costruzioni monumentali comincia negli anni 280 a.C., con la rotonda di Arsinoe II: la costruzione potrebbe essere datata o al periodo tra il 288 e il 281 a.C., quando questa figlia di Tolomeo I Soter era la moglie del diadoco Lisimaco, allora re di Macedonia, sia al periodo 276 - 271 a.C., quando essa si risposò con il fratello Tolomeo II Filadelfo. Dell'iscrizione monumentale di dedica rimane un solo blocco che era posto sopra la porta, e non ci consente di decidere la datazione. Lo stesso Tolomeo II fece costruire il propileo all'entrata del santuario: la potenza della flotta lagide gli consentiva in quel periodo di estendere il suo dominio sull'Egeo fino alle coste della Tracia, e le costruzioni di Samotracia testimoniano questa influenza. Al ristabilirsi della dinastia Antigonide sul trono di Macedonia, con Antigono II Gonata, si pone subito la questione della supremazia marittima sull'Egeo: così Antigono celebra il suo successo navale di Cos tra il 255 e dil 245 a.C., dedicando nel santuario una delle navi della sua flotta vittoriosa, esposta in un edificio costruito ad hoc sulla terrazza ovest, il Neorion (pianta, n. 6). Il modello è probabilmente un altro Neorion, a Delo, costruito probabilmente verso la fine del IV secolo a.C. e da lui riutilizzato e consacrato ad un'altra delle sue navi nello stesso periodo. La guerra navale tra Lagidi e Antigonidi prosegue a tratti per tutta la seconda metà del III secolo a.C. fino a Filippo V, l'ultimo re antigonide che cerca di fondare una talassocrazia macedone, sconfitto alla fine dall'alleanza tra Rodi e Pergamo: verso il 200 a.C., una colonna monumentale viene dedicata dai Macedoni davanti alla grande stoà della terrazza superiore. È probabilmente in occasione di uno di questi episodi che viene costruita la fontana monumentale contenente la famosa Nike di Samotracia, statua della Vittoria alata sulla prua della nave (cfr. fotografia e pianta, n. 9): la dedica potrebbe essere dei rodiesi, piuttosto che macedone, tenuto conto che il calcare utilizzato per la prua della nave e il tipo della nave stessa provengono entrambi da Rodi. Il santuario diviene il rifugio finale dell'ultimo re di Macedonia, Perseo, che si ritira nell'isola dopo la sconfitta di Pidna, nel 168 a.C., e vi viene arrestato dai Romani.

 

 
I Misteri di Samotracia
di
Stefano Arcella
Centro Studi la Runa


Fra le isole del mare Tracio, quella di Samotracia – famosa nell’antichità per un alto monte che la fa scorgere da ciascuna delle terre a nord dell’Egeo: Grecia, Tracia ed Ionia – fu la sede, in epoca ellenistica, di un culto misterico dedicato ad un complesso di quattro divinità, note col nome di Cabiri (dal semitico Kabirim = i Grandi) La testimonianza fondamentale è, al riguardo, quella di Erodoto, il quale conosce il culto di Samotracia e ne attribuisce la fondazione al popolo dei Pelasgi, facendo quindi risalire questi misteri ad un’epoca antichissima e ad un popolo che ha preceduto i Greci sul suolo ellenico.

Herod., II 51 “…A fare le statue di Ermes con il membro diritto, i Greci non lo hanno appreso dagli Egiziani, ma dai Pelasgi; primi fra tutti i Greci, sono stati gli Ateniesi ad adottare quest’ uso, e gli altri da loro. Gli Ateniesi, infatti, erano già annoverati tra i Greci quando i Pelasgi vennero a coabitare nel loro territorio, e da allora anche i Pelasgi cominciarono ad essere ritenuti Greci. Chiunque sia iniziato ai misteri dei Cabiri, che gli abitanti di Samotracia celebrano e che essi hanno adottato dai Pelasgi, costui sa che cosa dico. Quei Pelasgi, che vennero a coabitare con gli Ateniesi, abitavano in precedenza Samotracia, ed è da loro che gli abitanti di Samotracia hanno appreso i misteri. Dunque gli Ateniesi, primi tra i Greci, fecero le statue di Ermes con il membro dritto per averlo appreso dai Pelasgi. I Pelasgi a questo proposito tramandarono un racconto sacro, che viene rivelato durante i Misteri di Samotracia”.

E’ sintomatico che Erodoto menzioni questi Misteri dei Cabiri nello stesso contesto in cui parla del dio Ermes raffigurato col membro diritto, che viene fatto risalire alla medesima origine pelasgica, ossia pre-ellenica. Dionigi narra (I 61, 3) che il fondatore dell’isola di Samotracia fu Samo “figlio di Ermes e di una ninfa di Cillene chiamata Rene”. Secondo una teoria storico-religiosa alquanto consolidata, i Pelasgi andrebbero identificati con le genti di Tracia che hanno diffuso nelle isole dell’Egeo e nella penisola ellenica i loro culti entusiastici: il dio Sabazio con la corte dei suoi seguaci, coribanti, satiri e menadi; il culto di Bendis (Ecate), dalle molteplici attribuzioni, che hanno avuto il loro spazio d’elaborazione sia nelle speculazioni degli Orfici, sia nelle pratiche della magia (le discese agli Inferi quale passaggio iniziatico). I sacerdoti Cabirici sono detti Saboi, nome che designa pure una tribù tracia nonché un gruppo di Coribanti localizzati in Tracia e che si avvicina molto ai Saboi, gli iniziati al culto traco-frigio di Sabazio.

La Teologia Cabirica

Delle quattro divinità di Samotracia, tre sono maggiori ed una ha una posizione secondaria. Delle tre maggiori, due stanno in un rapporto di padre a figlio, la terza è una figura femminile che è letta come personificazione della terra feconda, in conformità ad un archetipo dominante nell’Egeo e nella vicina Anatolia. Queste divinità, nella liturgia, erano onorate con una lingua straniera, secondo Diodoro (5, 47), a dimostrazione della loro origine pre-ellenica (e quindi pre-indoeuropea), in concordanza con la testimonianza di Erodoto. Lo scoliaste di Apollonio Rodio (I, 916-8b) ci ha conservato i nomi dei 4 Cabiri. Essi sono: Axierso (Demetra), Axiokersa (Persefone), Axiokersos (Hades) e Kasmilos (Hermes). In una fase storica più recente, quando la Grecia ellenica estese la sua influenza a tutto l’Egeo ed alle isole tracie, in Samotracia furono introdotte tre grandi divinità che i Misteri di Eleusi avevano associate: Demetra, Kore e Hades, cui si aggiunse poi Hermes; questi dèi vennero più o meno riconosciuti nelle tre divinità maggiori del culto samotracio e si ebbe così il gruppo dei quattro Grandi Dèi, che con un epiteto fenicio furono detti Cabiri (ne parla anche Varrone nel De lingua latina, 5, 58; 7, 34), nome loro attribuito dai navigatori Fenici i quali già adoravano un gruppo di divinità con quel nome. La letteratura storico-religiosa propende per limitare l’influenza fenicia nel culto di Samotracia a questa designazione delle divinità, senza ammettere l’introduzione di divinità fenicie, anzi valorizzando l’elemento ellenico e, prima ancora, quello “pelasgico”. Nel corso dell’età ellenistica, tutto il fervore religioso dei territori che affacciavano sul mar Egeo, si concentrò, oltre che verso le divinità di Eleusi, anche su quelle di Samotracia. Ci è pervenuta la memoria storica di santuari cabirici nelle quattro isole tracie (Lemno, Imbro, Samotracia, Thaso), nella costa ionica (Ilio, Mileto, Teo, Efeso), nelle isole del medio e basso Egeo (fra le quali Rodi e Delo, a sua volta celebre centro oracolare dell’antichità) e nella Beozia (Anthedon e Tebe). Il santuario Cabirico di Tebe merita un’attenzione particolare perché le sue vestigia – risalenti al VI secolo a.C. - mostrano, come a Samotracia, una fossa per le offerte ed i sacrifici (traccia di un culto alla Terra Madre e di atti rituali volti a propiziarsi le forze ctonie) nonché la presenza di due Cabiri, padre e figlio, con l’assimilazione di Cabiro padre a Dioniso, che era la divinità principale di Tebe e che – alla luce della comune origine pre-ellenica – doveva avere molti elementi di somiglianza con Cabiro. Il culto presentava, pertanto, una spiccata valenza infero-ctonia, essendo in prevalenza centrato sull’oltretomba (Persefone e Hades) e sulla terra (Demetra). E’significativo che a questo complesso infero-ctonio sia associato Hermes, il dio dell’intelligenza sottile, il messaggero degli dèi, l’intermediario fra l’uomo e la divinità, figura connessa all’elemento “Aria” – viene raffigurato con le ali ai piedi – quindi duttile e sagace, dinamica e penetrante. A queste divinità erano dedicati nell’isola: un santuario i cui resti risalirebbero al VI secolo a..C.; il tempio marmoreo a foggia di basilica, con navata transversa ed abside rotonda, con una fossa per uso sacrificale scavata al centro del tempio fino al vivo di una roccia (simbolismo della pietra quale allusione alla stabilità di un centro misterico, ma anche quale riferimento analogico al corpo umano quale tempio della scintilla divina nell’individuo); un edificio circolare a due piani, chiuso ermeticamente da ogni parte e probabilmente riservato alla riunioni ed alle esperienze misteriche degli iniziati, con un palese simbolismo del cerchio che rimanda al Cielo nonché al dinamismo della “potenza” – la shakti dello shivaismo dell’India – ed al suo movimento.

L’ Esperienza Misterica

Dallo Scoliaste di Euripide sappiamo che nei Misteri cabirici aveva luogo un dramma liturgico nel quale si rappresentava la ricerca di Armonia da parte dello sposo Cadmo, analoga a quella di Kore (Persefone) da parte della madre Demetra, rivissuta e riattualizzata nei Misteri di Eleusi. Dalle testimonianze di Clemente Alessandrino (Protrettico, 2, 19, 1) e di Firmico Materno (De Errore. rel. pag., 11), apprendiamo che nel santuario cabirico di Tessalonica si celebrava un dramma liturgico di morte e resurrezione, nel quale si ricordava e si riattualizzava la morte del più giovane degli dèi Cabiri ad opera degli altri due. La funzione del dramma era quella di reiterare una vicenda mitica nella sua vivezza, nella sua intensità vibrante, nella sua capacità d’impatto emotivo, quindi d’incidenza sul mondo astrale dell’individuo. Il dramma è un linguaggio che si rivolge al “cuore” dell’uomo, alla sua sensibilità ed alla sua capacità di provare intense emozioni, nel momento in cui egli s’immedesima nel dramma e lo vive come qualcosa di personale. Poiché il dramma era vissuto in modo comunitario, essendo rappresentato davanti alla comunità degli iniziati, si creava una comune vibrazione emotiva, un comune “clima psichico” che cementava la coesione della comunità e creava una “energia di gruppo”. Le risultanze epigrafiche testimoniano di un pasto sacramentale in cui ai mysti venivano offerti cibo e bevande, aspetto, questo, comune ad altri culti misterici, come il mithraismo romano, per il quale il pasto sacro è testimoniato dai dipinti e dalle sculture nei templi ipogèi. Infine va rilevato che la gente di mare era particolarmente devota alle divinità cabiriche, poiché l’isola di Samotracia era molto importuosa e quindi esse erano considerate protettrici contro i pericoli del mare ed assimilate ai Dioscuri, anch’essi considerati salvatori. E’ questo, probabilmente, l’aspetto exoterico, pubblico, del culto misterico cabirico legato alla protezione dei marinai e dei naviganti in genere, mentre nel chiuso dell’edificio circolare si svolgevano i riti riservati agli iniziati. Questi ultimi si dividevano nelle due classi degli iniziati semplici e degli iniziati pii; l’iniziazione semplice era preceduta da un rito di purificazione che comprendeva pure un’ammissione delle proprie impurità davanti al sacerdote purificatore. Ai Misteri potevano essere ammessi anche le donne e i fanciulli; essi comprendevano anche una dottrina sulle origini dell’umanità - dal momento che Ippolito, scrittore cristiano del III sec. d.C., ravvicina Cabiro ad Adamo – e sul post-mortem se, come riferisce Diodoro Siculo (5,49, 5-6), questi misteri rendevano gli uomini migliori, dato peraltro confermato dalla relazione dei Cabiri con le divinità di Eleusi, i cui Misteri davano un particolare risalto alla concezione di una beata vita futura per gli iniziati.

I Misteri Cabirici e le Origini di Roma

La fortuna di questi misteri, durante l’epoca greco-romana, fu assicurata dal rapporto dei Cabiri con le origini di Roma, sul piano della narrazione mitica, per cui i Romani li associarono ai Penati di Roma (Penates Publici). Secondo la tradizione, riportata in varie fonti greche - quali Dionigi d’Alicarnasso (I, 68) e Diodoro Siculo (5, 48) - e latine (Macrobio, Saturnalia, 3, 4, 7-9), Dardano, capostipite mitico dei Troiani (e dei Romani attraverso Enea), dopo aver ucciso il fratello Iasione ed essersi rifugiato in Frigia (dove sposò Crisa figlia del re Teucro), avrebbe eretto nell’isola di Samotracia un tempio in onore dei Grandi Dèi “i cui particolari appellativi egli tenne segreti e non rivelò agli altri; inoltre istituì in loro onore i misteri che si celebrano ancora oggi da parte dei Samotraci” (Dion. Hal. I, 68), mentre avrebbe portato con sé il palladio – ossia i doni della dea Athena – e le imagines deorum a Dardania, da dove passarono a Troia e poi a Roma per il tramite del pio Enea. Va ricordato che, secondo la tradizione, Dardano sarebbe partito dall’umbilicus Italiae, il centro sacro dell’Italia, presso il lago di Cotilia nell’Italia centrale, località di cui sarebbe stato originario, per cui lo sbarco di Enea nel Lazio e la successiva fondazione di Roma da parte dei suoi discendenti assume il senso di una re-volutio, ossia un ritorno alle origini, da cui gli antenati si erano allontanati in seguito ad un ver sacrum, una primavera sacra, ossia una migrazione scandita da ritmi cosmico-religiosi, in sintonia con l’inizio del risveglio primaverile, dall’equinozio del 21 marzo al tempo dell’apertura fra uomo e natura (il mese di aprile trae il suo nome da aperior = mi apro). Oltre al rapporto con le origini di Roma, l’intreccio e l’assimilazione fra questi Misteri e quelli di Eleusi fu, peraltro, un altro importante motivo della loro forza e continuità nell’età imperiale romana. Non è certo un caso che, sul finire del IV secolo d.C. – quando ormai il Cristianesimo era dominante in tutto l’occidente e gli editti di Teodosio proibivano i culti della religione tradizionale anche in forma privata – i misteri di Samotracia erano ancora vivi, perpetuando una tradizione spirituale antichissima e pre-ellenica.

Considerazioni d’ Attualità

E’ centrale, in questi Misteri, come in quelli di Eleusi, la meditazione sul tema della morte, sul rapporto vita-morte e la conseguente scala di valori nel corso dell’esistenza terrena. Comune agli altri Misteri, è il rinnovamento interiore nel senso di un morire a se stessi e di un rinascere, esperienza che anticipa, in un certo modo, quella della morte, per cui il miste si prepara alla morte in modo sereno e gioioso, la morte essendo solo un passaggio nei termini di una liberazione e di un compimento realizzativo. Altri aspetti comuni alla misteriosofia del mondo arcaico e di quello classico sono: il dramma liturgico, la sacralità del pasto comune (che ha la funzione di far circolare una comune “energia di gruppo”), la segretezza dei riti riservati agli iniziati. L’aspetto certamente più originale è quello della presenza di Hermes-Mercurio quale divinità misterica, quale dio delle iniziazioni. La saggezza astuta, duttile e penetrante di Hermes è incarnata da Ulisse nel poema omerico, mentre Achille rappresenta uno spirito guerriero che, non integrato con Hermes, ha nella furia distruttiva il suo limite fondamentale, privo di uno sbocco creativo. L’associare Hermes a divinità dell’oltretomba, nei misteri cabirici, è ancora più illuminante. L’uomo non entra nelle proprie profondità, nel suo “mondo sotterraneo” – ossia nel proprio mondo astrale (a-stron = senza luce) che è la sede delle emozioni e delle sensazioni – senza una facoltà d’intelligenza penetrante e duttile, dolce e gioconda, capace di operare interiormente e flessibilmente con le circostanze della vita, assumendole come occasione e supporto di perfezionamento interiore. Non si va avanti sulla via della ricerca spirituale, senza aprirsi al soffio di Hermes-Mercurio, senza interiorizzare questa dimensione sottile ed intuitiva. E’ una lezione, questa della mistericità ermetica, che ha una sua pregnante attualità, in quest’inizio del XXI secolo, alla luce della storia del Novecento, in cui certe tendenze esoteriche spurie, come quelle presenti nel nazionalsocialismo tedesco, mostrano di contenere un furor distruttivo, privo dell’intelligenza di Hermes e sono quindi sprovviste della chiarezza, della lucidità e della saggezza necessarie per perseguire uno scopo autenticamente positivo. Senza l’intelligenza di Hermes, non si va da nessuna parte, si gira in tondo senza mai trovare il centro della circonferenza. Il risultato, nel 1900, è stato solo un tragico cumulo di lutti e di rovine, morali e materiali.



Bibliografia

Sui Misteri di Samotracia v. N. Turchi, Le religioni dei Misteri nel mondo antico, Il Basilisco, Genova, 1987(1923), pp.85- 90; V. Magnien, I Misteri di Eleusi, Edizioni di Ar, Padova, 1996, pp. 45-73 ; P. Scarpi (a cura di), Le religioni dei Misteri, Vol. II, Fondazione L.Valla-Mondadori, 2004, pp. 3 – 99, con commento alle fonti ivi, pp. 415-454. Sul mito di Dardano e la sua relazione con le origini di Roma, v. R. Del Ponte, Teofanie animali e “primavere sacre” italiche. Mito e mistica di Italia-Vitalia, in Arthos, nn-22-23-24 (numero speciale triplo su La Tradizione Italica e Romana), 1980-81, pp.82-112. Sulla saggezza ermetica v. J. Evola, La Tradizione Ermetica, Mediterranee, Roma, 1996; G. Kremmerz, La Scienza dei Magi, Vol. II, Il Basilisco, Genova, 1987, pp. 161-162, particolarmente illuminanti sulla differenza essenziale fra volontà ermetica e volontà marziale.


 


 

I Misteri di Samotracia e gli Oracoli Cabirici
di
Guido Di Nardo




E`generalmente ammesso che tanto l`Odissea che l`Eneide abbiano per prototipi le famose simboliche nekye o viaggi post morten dell`anima agli inferi o all`Amentid di antichissima ispirazione caldeo-egizia, ma delle quali troviamo traccia in tutti i miti delle religioni primordiali. Nel trasportare sulle coste campane d`Ialia il teatro ultimo di questi misteri cioe`la stessa occidua sede dell`Ade, con la discesa di Enea agli inferi, Virgilio non fece che veristicamente interpetrare la tradizionale versione del periplo degli Argonauti e di Ulisse con meta le sponde tirrene. A nostro avviso la fonte di tale versione, forse gia`nota agli Etruschi, andrebbe ricercata in quei famosi Libri Sibillini fatti ricompilare da Augusto, opiniamo sulla scorta dei Libri Lintei ceduti com`e`fama al primo Tarquinio della Sibilla Cumana. Trattando questi Libri attribuiti al mitico Tagete - uscito fanciullo gia`canuto dal solco di un campo arato in Tarquinia - principalmente, delle dottrine e profezie occulte, occorre tener presente l`importanza data da Virgilio ai vaticini di quella Sibilla specie per il prognosticato avvento della Virgo Caelestis e del Fanciullo Divino nella famosa IV Ecloga. Ma i Libri Acherontici e Fulgurali trattavano specialmente di quella esoterica scienza Kabirica che nei primordi della civilta`i Dattili Idei o Kalibi, ammaestrati da Vulcano, diffusero in tutto l`oriente mediterraneo Egitto compreso. In questi Kabiri debbono identificarsi, specie dopo i dotti studi di Pericle Perali sulle origini della tecnica e delle corporazioni nella antichissima Roma ,I Maestri delle Arti, fabbrie fonditori di metalli, esaltati nel libro VIII dell`Eneide, ceramisti e squadratori della pietra ai quali il progresso umano deve tuttora le sue massime conquiste, non esclusa l`invenzione della grafia erroneamente attribuita ai Fenici, che ne furono se mai i tardi riordinatori. (Gli Hàpyru tirreni o tirii).
Una legge veramente ferrea legava codesti Maestri ai segreti delle loro arti, segreti che rendevano passibili di morte chi li avesse divulgati. Vere confraternite a somiglianza di quelle corporazioni medievali che ne perpetuarono gli ordinamenti, esse erano rette dal codice morale inflessibile che prevedeva la pena del taglione e il giudizio di Dio contro prevaricatori, ma anche prometteva una ricompensa nell`aldila` per i giusti. Ecco delinearsi il concetto orfico dell`Ade e della triade PLUTONE, CERERE PROSERPINA che nei misteri di Samotracia i Kabiri ponevano fra gli DEI GRANDI, coi nomi di AXIOCHERSOS,AXICHERES ed AXIOCHERSA, nonche`MERCURIO-CADMILOS (il Dio del Verbo) quale loro interpetre verso gli umani. Ma se queste tre deita`come ci denunciano i loro miti e le loro iconografie che li rappresentano, sono d`indubbia classe infera, cioe`avverunca, e`noto come i caposaldi di questa dottrina dei premi e delle pene attinente al culto dei Mani fosse di antichissima provenienza Aurunca cioe`tirreno-italica come noi gia`illustreammo in precedenti studi parlando del Volcanale e dell`oracolo acherontico sul Lacus Curtius o Ara di Saturno nel repubblicano Foro Romano ove fu il primo Tribunale o Palicano ed ove si eseguivano le sentenze capitali.
Gli Aurunci o Averrunci abitando in origine sulle falde dei vulcani spenti dei Monti Laziali-Ausoni si volsero per spirituale reazione a questa loro funeraria dottrina della "Espiazione" per le immani distruzioni operate dalle spaventose eruzioni che seppellirono ripetutamente le loro antichissime citta`sotto ferali coltri lavitiche, ritenendole come castighi inflitti alla umanita` dalla stessa tremenda deita`infera demogorgonica che pur aveva loro svelato nel FUOCO vulcanico il fattore originario d`ogni progresso umano.
Erotodo nell`Euterpe dichiara che i misteri Cabirici i Samotraci li ebbero dai Pelasgi che abitarono dapprima in Samotracia e trasmigrarono di poi in Atene istituendovi certamente l`oracolo di Delfo ed i misteri di Eleusi. Lo stesso parere espresse Diodoro Siculo, che c`indica come ad Elettra figlia di Atlante fosse sacra quell`isola ove approdandovi Orfeo fu iniziato ai Misteri Kabirici durante la spedizione degli Argonauti; lo stesso Orfeo che li`celebro`nel famoso Inno Saliare, accennando alla fondazione di questo sacerdozio d`indubbia origine LATINA. Attraverso queste illazioni siamo ormai giunti al punto crucialedi dove l`assunto da noi ritenuto basilare dell`Eneide sta per assurgere in promo piano, attrverso la Leggenda di Dardano che associa i Kabiri alla fondazione dei Misteri di Samotracia per opera delle prime migrazioni tirreniche.
Ma nel contempo Virgilio li pone alle origini civili della Umanita`. Ci riferiremo al libro VII dell`Eneide, servendoci intenzionalmente della traduzione di Annibal Caro, la piu`vicina allo spirito ermetico del poema. Al loro giungere in Laurento nel ricevere solennemente i messi di Enea,Virgilio parla loro per bocca del venerando Re LATINO formulando dapprima una ipotesi:

Io mi ricordo (ancor che questa fama
Sia per molt`anni ormai debile e scura)
Che per vanto soleano i vecchi Aurunci
Dir che Dardano vostro in queste parti
Ebbe il suo nascimento; e quindi in Ida
Passo` di Frigia, e ne la Tracia Samo
Ch`or SAMOTRACIA e` detta.
Ma poi rincalza con maggior decisione:
.....Da Tirreni
E da Còrito uscia Dardano vostro
Ch`or e` fatto Dio.

Puerili sono le affermazioni di coloro che in Còrito vollero identificare Cortona o Tarquinia, giacche` sono i vecchi Aurunci che ne menavano vanto, gli abitatori cioe`di quella AUSONIA lepina-laziale le cui smantellate rocche ciclopiche di Norba, Cori, Sulmo, ci denunciano una civilta`antichissima la cui datazione vanamente i nosti archeologhi tentano ogni giorno di piu`di abbassare spregiando il solenne monito di tanta Autorita`! Da Cori, la superba acropoli volsco-lepina, umile villaggio in oggi ed ai tempi stessi di Roma eppure da Virgilio indicata quale faro della civilta`mediterraea, usci`Datdano...che ora e`fatto Dio. Furono gli Aurunci un ramo del piu`antico popolo autocno d`Italia, gli Osci-Ausoni da cui derivarono le formidabili stirpi Volsche che, con quelle Aurunche, tanto filo da torcere dettero per tre secolo a Roma stessa! Oriundi Aurunchi sarebbero quindi,secondo Virgilio, quei Kabiri di Samotracia che donarono al mondo la sua prima luce civile, i principi della tecnica, dell`agricoltura e delle bonifiche e la bellezza delle arti e la sublime scienza delle Religioni!
Questo fu il vero asserto Vergiliano. Nel delineare il quadro di una possente civilta` prelatina anteriorealla stessa Roma di Evandro, il Poeta intese riportarsi alle epoche preistoriche le cui traccie, ai suoi tempi, ponevano ai dotti le stesse incognite che la giovane scienza paletnologica italica sta affrontando in oggi per rispondere agli interrogativi posti dalle piu`recenti scoperte paleolitiche. Ferdinando Gregorovius, preso dallo stesso fascino di questa terra Saturnia che detto`a Gabbriele d`Annunzio le piu`belle odi del suo vero capolavoro epico, l`ALCYONE, scriveva nelle sue "Passeggiate in Italia" il seguente brano che val la pena di riportare per intero:

"Nel contemplare dall`alto la vasta regione delle Paludi Pontine e sopratutto la spiaggia latina, la`dov`e`l`antica ARDEA ed i paesi dei RUTULI, ritornano naturalmente alla memoria le figure di Virgilio. Ivi sorse la Troia romana. Ivi fu il campo delle epiche lotte dell`Eneide. Ricordandandolo, sembra quasi di veder passare rapidamente sulle praterie od attraverso le foreste, l`eroina dei Vosci, la bella amazzone Camilla...E qui bisogna leggere i melodiosi versi dell`Eneide per gustarne completamente la magica bellezza. La poesia di Virgilio e`improntata di quella stessa pura e maestosa bellezza che caratterizza la campagna romana. L`immortale poema e`quello che piu`meglio riproduce a noi il carattere di Roma antica e fin che durera ìl mondo varra`a circondare in un aureola di poetica ispirazione questi monti, questi boschi e questi campi. Qui vivono Turno, Lavinia, Ascanio ed il fido Acate...e in qual quadro! Esso non ne ha uno eguale, uno cosi`epico, se non sulle rive dello Scamandro, se forse non e`ancora piu `sublime... Si vive quasi in una atmosfera ellenica, e cio`tanto piu`quanto piu`ci si avvicina a Cori. Questa citta`antichissima, risalendo ai tempi mitologici, ai tempi pelasgici. Roma e`detta la citta`eterna, ma non per la sua antichita`, perche`molte citta`della campagna romana sono di gran lunga piu` antiche, sopratutto Cori che, secondo i calcoli di tutti i topografi antichi e moderni e`una delle citta`piu`antiche del mondo, essendo stata fondata 1470 anni avanti Cristo, 700 anni cioe`prima della fondazione di Roma. Secondo la leggenda, Cori fu edificata dal Troiano Dardano, figlio di Corito Re d`Italia e d`Elettra figlia di Atlante, il quale poi fuggi` fratricidia per paura di Siculo e di suo padre nell`Asia ove fondo` Dardania che solo dal suo nipote Tros fu chiamata Troia".

Cosi`lo storico della Roma Medioevale rendeva omaggio a Cori e all`antica "Saturnia Tellus" focolare della stirpe latina. Indubbiamente i passi omerici che determinavano il destino di Enea ricollegati dai logografi romani alla leggenda aurunca di Dardanoi,onde ricostruire l`italico poema dalle origini sulla scorta di altri documenti che non conosciamo, ma specialmente sulla autorita`di Omero . Infatti, nel declinare al grande Achille suo competitore le proprie nobilissimi origini, nel libro XX dell`Iliade, Enea si appella direttamente a Dardano, personaggio questo almeno etimologicamente storico se tuttora il nome di Dardanelli e`rimasto agli stretti dell`Ellesponto su cui si affacciano le regioni della Tracia e della Troade:

Primieramente Giove
Dardano genero`, che fondamento
Pose qui alle Dardanie mura
Perocche` non ancora allor nel piano
Sorgean le sacre iliache torri, e il molto
Suo popolo le idee selve copriva.

Passo importante qualora si tenga presente il fatto che dardano sposando Crise figlia di Teucro avrebbe raccolto per primo in una muraria cerchia, come gli scavi di Troia confermano, quelle nomadi popolazioni dando ad esse uno Stato, e una Legislazione politico-sacerdotale secondo la tradizione tirreno-pelasga riscontrabile in tutte le leggende sulla fondazione di Cori, di Saturnia, la Roma preistorica e delle piu`insigni citta`del Lazio (Alatri,Anagni,Segni,Ferentino,Veroli..) come dell`Argolide, Atene compresa, le cui colossali Arci pelasgiche e`fama costante che fossero elevate dai Titani o dai Ciclopi saturnidi. Nello stesso passo e` Achille che conferma di Enea il vaticinio di Regno sulla ricostruita etnìa tirreno-troiana dopo la grande dispersione dei Teucri:

"Forse Meco agogni pugnar perche`sui Teucri
Di Priamo speri un dì stender lo scettro."

Ed aggiunge una insinuazione che per noi costituisce la rivelazione su cui si baso` la versione italica del destino regale di Enea:

O forse i Teucri, se non mi metti a morte
Un eletto poder bello di viti
Ti statuiron, e di fecondi solchi...

Un podere premio che somiglia come due goccie d`acqua alla famosa Terra Promessa per i dispersi figli di Israele. "Dadanus, Ilicae primus pater urbis et auctor, Electra, ut Graii perhibent Atlantide cretus" (Virgilio,Eneide,VII). Da Erittonio, figlio di Dardano e da TROE e Assaraco trae miticamente origine Enea secondo Omero il quale poi da Assaraco fa derivare Capi, e da Capi il padre Anchise, mentre dal ramo secondogenito di Ilo, figlio di TROE deriverebbero quel Laomedonte sotto il cui regno Troia sarebbe stata una prima volta distrutta da Ercole, per non aver quel Re voluto corrispondere alla promessa di concedergli in sposa la propria figlia e per non aver pagata la pattuita mercede ai Ciclopi che sotto la direzione di Apollo e Nettuno costruirono le sue mura. Queste antichissime e storiche migrazioni Kabiriche di artieri e costruttori di cerchia murarie adombrate nei viaggi argonauti appaiono sempre collegate con le origini pelasgiche delle piu` pleclare citta`dell`Egeo e dell`Asia anteriore, dell`Egitto e della Libia.
Ma al quesito storico : "Di dove venissero codeste migrazioni si e` mai opposto ufficialmente il nostro Credo Virgiliano?" "Di dove venissero i Kabiri?"... Non certo dall`Oriente i cui popoli tradizionalmente nomadi, erano anzi l`oggetto delle spedizioni civilizzatrici pelasghe. E neppur dall`Egitto, poiche`i monumenti preistorici e egizi recano essi stessi traccie di queste grandiose e razionali costruzioni megalitiche, nettamente in antitesi con lo spirito stesso della civilta`primitive orientali ed africane. Falsa e`dimostrata la teoria elamitica, giacche` i Sumeri, discendenti degli Elamiti, somaticamente europeidi, non gia`dal Golfo Persico ma dal Mediterraneo occidentale provennero come dimostro`il grandissimo nostro Giuseppe Sergi. Ma da qual parte del Mediterraneo? Sembra impossibile...Da tutte le parti, secondo i nostri archeologi... fuor che` dall`Italia. Eppure Virgilio stesso indica come fucina originaria dei Chalybi la "Volcania tellus" Tirrena! Perche`...ufficialmente, almeno fino a pochi anni fa`si aveva la convinzione che l`Italia cominciasse a popolarsi soltanto ai primordi del X secolo. Ci volevano le scoperte del Blanc e del Rellini...non ancora bene rimasticate negli ambienti archeologici puri, per cominciare a far risalire il termometro delle cronologie..E di quali sbalzi...nientedimeno che alle epoche quaternarie! Ed ora si parla addirittura del Lazio come di una ipotetica culla dell`Umanita`. Ma prima degli archeologi vi giunsero i poeti ad intuirlo si`che Virgilio puo` tender la mano all`Aleardi e l`Aleardi al D`Annunzio, per non accennare alle geniali intuizioni di Evelino Leonardi (Cfr.Le origini dell`Uomo) che in certo senso anticiparono e seguirono i nostri studi e le nostre conferme. Si e`perfino fatta intervenire la leggenda dell`Atladite per svalutare la italica tradizione di Atlante e di Dardano...di quel Dardano Adrano o Ardeano il cui culto tellurico tirreno-siculo ci denuncia la sua vera identificazione in VULCANO, il piu`antico Iddio delle genti mediterranee che gli egizi identificarono in Seth-Tifone, forse tutt`uno con Dionyos per via del simbolo dell`ASINO comune alla mitologia greco-egizia. Da Troia emigrando, si stabilirono po nel ponto Eussino secondo quanto lo stesso Virgilio ci attesta: "...at Chalyber, nubi ferrum, virosaque Pontus castorea" (Georg.I,i.58) introducendo le arti fabbrili in quelle regioni che furono meta delle prime spedizioni argonaute. Ce lo conferma Erotodo, il padre della Storia, indicando la Frigia, su riconoscimento degli stessi sapienti Egizi, come la prima tappa della colonizzazione Tracio-Kabirica tirreno-pelasga dell`Ellesponto, stimando i Frigi quale piu`antico popolo del mondo,e denunciandoceli come inventori della grafiae dl culto ermetico della "Petra Genitrix". Ora, di fronte alle presunte prove iconografiche recate ultimamente a sostegno di una provenienza iberica dei Libi, i bianchi colonizzatori dell`Egitto, prove che potrebbero esser giudicate semplici accostamenti derivanti dal comune ceppo primitivo degli Iberi e dei Liguro-tirreni, avvi la grande autorita` di queste fonti letterarie sulle origini dei Ka`-Lybi (I Capi bianchi) che hanno attinto alle tradizioni piu`antiche, specie alle Nekye o viaggi agli Inferi "via mare" gia` geograficamente dagli Argonauti imperniati sopra due oppostemete finali, la mitica AETA nella Colchide ad oriente e l`Isola AEEA nella quale si volle costantemente identificare il Circeo ad occidente; favoloso epicentro del mondo ove, leggende piu` arcaiche di quella di Enea e di Ulisse avevano loalizzata Circe, figlia di Iperione o Iperboreo, sorella di Pasife, Regina di Creta nonche`di Oete Re dei colchi, genti della prima colonia dei Marsi argonauti che dal Ponto Tirreno sarebbe salpata verso l`oriente colonizzando la Prepontide Taurica.
In Virgilio, l`insistenza con la quale ci presenta sotto vari pretesti il suo credo sulla provenienza ausonica di questi dardanidi Frigi e gli onori resi in Roma alle Frigie deita` nelle quali erano state riconosciute da Cicerone e da Ovidio le caratteristiche antropomorfizzate dagli antichissimi culti naturalistici italici tralignati in Egitto, debbono indurci a considerazioni ben piu` profonde di quelle che possono suscitare gli accostamenti elementari dei commentatori onde sondare le origini stesse della civilta`egizia. Se fin dal tempo delle guerre puniche il culto della Gran Madre Cibele veniva riconosciuto come culto nazionale romano(Acusda Pessinunte trasferito) sedi poi il culto di Mitra diverra`il culto ufficiale dello Stato, mentre in Grecia esso non lasciera` traccia, se Roma di buonora accolse i Misteri Isaici ed il culto della Dea Siria, non fu gia`per tolleranza o pretesa condiscendenza verso i popoli soggetti, ma per creare il Pantheon della religione universale in Roma, capitale del mondo, ove le potenze cosmiche datatrici di vita e di morte che furono alla base del primo culto tellurico-vulcanico esportato dagli italici in tutto il mondo mediterraneo, potessero riconoscersi e riconciliarsi in un massimo comune determinatore cioe`nel Demiurgo Pankrator sintetizzato dal fuoco perpetuo acceso sulla grande ara di Pietra! Tradizione di supremazia spirituale che si perpetuera` nel Cattolicesimo come Chiesa Universale anche quando la potenza politica di Roma imperiale sara` eclissata!
Vi e`una legge immutabile negli eventi umani, che i latini identificarono in Nemesi e gli Istraeliti adombrarono nella Torah, legge spirituale equivalente alla legge fisica nota alla moderna scienza come teoria ondulatoria (e recentemente collaudata dal Fermi per la trasformazione della materia in energia e viceversa) secondo la quale le vibrazioni che si espandano in senso centrifugo tendono ad esser riflesse in senso centripeto, cioe` tornerebbero ad elidersi la` ove ricevettero il primo impulso. Tutto promana da Dio "come cerchi in tempra d`orioli" per esprimersi con una similtudine scientifica dantesca quanto mai felice. Per questa dottrina delle diastole e sistole o del "contrapasso" Virgilio trasse il suo convincimento circa una origine unica ed un focolare unico dell`incivilimento umano. Nel ricollegare le origini Frigie,c ioe`del pu`antico popolo civile del mondo; alla leggenda di Dardano egli volle esotericamente indicarci questo focolare, il vero "omphalos"del Genesi (ove Saturno fu precipitato dal cielo) nella italica Ausonia di dove forse si smisto`la prima razza dei viventi quando ancor l`uomo fisicamente e spiritualmente era un essere involuto come si ha dimostrato il Cranio del Circeo.
Indubbiamente tutte le letterature e le prassi mitiche e religiose si rivelano come tentativi ad opera dei piu`eminenti ingegni sotto tutte le latitudini di risalire sincreticamente a questa fonte unica dell`Umanita` civile, a questa Madre biblica di Tubalcain, di Seth, di Enos onde recarle in tributo la somma delle esperienze conseguite dal millenario trvaglio delle stirpi primegenie. In tal senso va`intesa la glorificazione vergiliana della Romana Potestas! Riferendosi alle leggende esiodee e comparandole alle tradizioni nazionali ma specie approfondendosi all`epoca degli Scipioni nello studio delle Misteriosofie orientali gia`i dottissimi romani degli ultimi tempi repubblicani, Cicerone compreso, avenano tratto il convincimento che tutta la orgiasta mitologia greca di origine tracia nascondesse una trasposizione dei preistorici efferati riti saturnii italici dedicati alle acherontiche divinita`e sintetizzati nel culto bethilico e dolmenico della "Petra Genitrix" ithifallica. Nel farsi iniziare ai Misteri di Eleusi essi ebbero campo di notare le affinita` che questi presentavano con gli Oracoli di Delo, di Delfo, e di Dodona ma sopratutto con i misteri egizi e samotraci che gli Etruschi sacerdoti ritrapiantando in Italia dalla Lidia - forse nella loro genuina primordialita` dato il loro immediato contatto con le antiche fonti della Caldea - avevano sintetizzato negli affreschi e nei rilievi dei loro ipogei funerari con le stesse simbologie saturnie e dionisiache desunte dai primitivi schemi.
Per combattere poi l`eccessivo orgiasta naturismoprimitivo sfociante inevitabilmente nei sacrifici umani furomo introdotti i concetti delle Deita` supere antropomorfizzate, redentrici, ad opera del Clan gentilizi-sacerdotalidei Sracriviensardeati e Sabini,la cui istituzione si faceva risalire a Numa Pompilio, ma in realta` ben piu` antichi per iritualismi attinenti alla fondazione del sacro "Mundus", e del "Lapis Manalis" indubbiamente collerunci. Fino dall`epoca dei Re abbiamo esempi di amagato al culto infero dei Mani e degli Dei Aurunci o Averscerie che si partivano da Roma e da altre parti d`Italia per recarsi a consultare gli Oracoli piu`famosi della Grecia, specie quello di Delo. sappiamo altresi`che a tempi ben piu` remoti di quanto comunemente si ritenga risale l`influenza semitica e giudaica fra i popoli del Lazio e della Campania, tanto che fece pensare alla venuta degli Eneidi come ad una immigrazione di Hethei.
Ce ne fanno fede i documenti iconografici vascolari e gli affreschi del IV e V sec.a.C., che si perpetueranno con schemi e simboli convenzionali nell`arte cosidetta decorativa pompeiana ,tralignando perfino attraverso i secoli nell`arte cristiana primitiva delle Catacombe e in quelle bizantina, romanica e della Rinascenza, si`radicati ne furono i concetti informatori fra le nostre genti! Nessuno puo` sottrarsi all`impressione che le leggende omeriche siano trattate nell`arte etrusca sub speciae di Epos nazionale! A tutto cio`fanno eco le varie tradizioni che collegavano la fondazione delle principali e piu`illustri citta`italiche dell`antichita` alla venuta di Dei o semidei e di Condottieri o Eroi Eponimi famosi per le loro gesta, si puo`ben dire, da ogni parte dell`oriente mediterraneo. Di fronte all`incalzare di nuove migrazioni asiatiche o forse, come noi opiniamo, per il desiderio, in relazione al responso degli oracoli (o almeno per un approfondimento della cultura) di riprendere contatto con la grande madre esperide di dove i loro capostipidi trassero origine, famosi principi ed Eroi della Epos omerica riprenderanno il mare verso l`XI sec. a.C., col fiore di loro gente per venire ad approdare e fondar colonie lungo i litorali italici si` che si puo` ben dire ogni nostro modesto villaggio vanta quarti di nobilta` originaria da far impallidire i piu` vetusti blasoni d`Europa! Quando addirittura non siano stati fondati da Deita` come Atlante o Saturno, o da Semidei come Ercole.
Il catalogo che ce ne offre Virgilio nel Libro VII presenta un vero Albo d`Oro delle lontane origini italiche! il viaggio all`Ade e lasosta al Circèo, anticamera del mondo ultraterreno, saranno la meta finale di questi aggrovigliati peripli argonautici di ritorno mentre in Virgilio, la leggenda di Dardano esprime il radicato convincimento del Poeta che imisteri di Samotracia dai quali presero lo spunto tutte le Misteriosofie del Mondo Antico ,non siano che la trasposizione dell`antico culto naturalistico italico dei crateri vulcanici a cui erano sacre le sicule cruente Are dei Palici! Cicli di ritorni storici dall`Euroasia alla terra madre, sono adombrati sia nell`Odissea che nell`Eneide.
Al quasi premeditatamente fuggevole accenno espresso da Virgilio per bocca di Re Latino circa il vanto che menavano i vecchi Aurunci nel ritenere di loro stirpe Dardano ed i suoi Kabiri si contrappongono ben piu` precise affermazioni nel testo vergiliano e precisamente i responsi di quegli Oracoli sibillini che secondo i piu`autori, avrebbero ingiunto ai Pelasgi di allestire con mezzi adatti a lunghissime navigazioni le famose spedizioni argonaute per correre i mari onde rintracciare la favolosa terra madre esperide:

"Dardinidi robusti, onde l`origine
Traeste in prima, ivi ancor lieto e fertile
Di vostra antica madre il grembo aspettavi."

...si legge espliticitamente in quel Libro III dell`Eneide che andrebbe considerato come un vero dogma circa le origini italiche della civilta` mediterranea. Verra` il tempo in cui si dovra` assai severamente giudicare la premeditata svalutazione da parte dei nostri dotti, di questo fondamentale Credo Vergiliano. "Credo" che trapelada tutte le opere del mondo classico latino specie in Ovidio, in Propezio ,Credoche fu dogma politico della potenza imperiale romana, Credo riconfermato da Dante nella introduzione del suo Poema!
Dal lungo studio dei testi vergiliani e degli altri autori classici latini trasse i lumi Dante, com`egli stesso dichiarava, per individuare sotto l`orpello della poesia le supreme verita`. Al momento in cui nella prima cantica dell`Inferno l`esitante Poeta e` posto a tu per tu con il tema fondamentale della Commedia, cioe`con la chiave dei Misteri Eleusini che dovra` aprirgli le porte di Dite, e` Virgilio che lo inizia,s velandogli il vero senso della primordiale palingenesi col mettergli sottocchio la vulcanica regione pontina al "centro del mondo" che ne fu teatro:

"Di quell`umile Italia fìa salute
Per cui mori` la vergine Camilla
Eurialo e Nisio, e Turno di ferule."

Non e` sintomatico il fatto che Dante scelga precisamente questa plaga sì bene individuata dal Gregorovius, di dove DARDANO usciva - ch`or e`fatto Dio - dove, nel destino di Enea, maturarono i fasti di Roma, dove ebbero culla le stirpi albane dei Giuli e veliterna degli ottavi per annunciarvi come apportatore di salute ,l`avvento profetico del Veltro?

"Ma da i Fati,Signor, e dagli Dei
Siam qui mandati, Dardano qui nacque
Quà Febo ne richiama, Febo stesso,
E quel di Delo e` ch`ai Tirreni, al Tebro
Al fonte di Numico a voi c`invia..."

Ribadiscono solennemente a Re Latino i messi di Enea (Libr. VII). Quivi: Cioe` nella sede del Grande Oracolo primogenio di PAN con le tre spaventose bolgie del Cerbero albano in fiamme! Non puo` quindi sfuggire il fatto capitale nell`Eneide che Enea apprenda precisamente dalla bocca dei piu`famosi oracoli, specie quello di Delo, la vera ubicazione della Esperide terra madre, inquanto chè quegli oracoli istituiti nelle zone ove affioravano fenomini plutonici della prima migrazione tirrenica dei Kabiri al seguito di Dardano non furono che la ripetizione dell`antichissimo oracolo di Pan o Fauno sull`altra albunea selva cioe` sul Monte Cavo o Atemisio (Cabum) qual` e` descritto dallo stesso Virgilio nel Libro VII, allorche`, in via di estinzione, fenomeni vulcanici secondari mantenevano ancora in attivita` il Cratere di Nemi, di poi "Speculum Dianae"

"....a questa selva
Immensa, opaca, onde mai sempre esala
Una tetra vorago. Il lazio tutto
E tutta l`Italia in ogni dubbio caso
Quindi certezza, aita e indirizzo attende."

Ivi il vaticinante, coperto di lanosi velli parlava in sogno con gli Dei Superi ed Inferi,a simiglianza dell`iniziato Lucio Apuleio durante i misteri osiridiani al momento di giungere sulle soglie di Proserpina, come Ulisse sul limitare del sacro bosco dell`Ade, come lo stesso Enea nell`antro della Sibilla giacche` l`oracolo di Cuma non fu che tarda trasposizione di questo formidabile oracolo primogenio di Fauno parafrasi del piu`colossale vulcano spento d`Europa! E nell`enumerare questi vari responsi Virgilio non intende forse di farci rifare a ritroso sulla scia delle navi di Ulisse e di Enea le tappe della grande colonizzazione egea compiuta dai dardanidi-aurunci al laro uscire dalla Ausonia dopo le tremende catastrofi provocate dall`attivita` vulcanica del gran Tifone albano che per millenni desolarono queste contrade...
A parte le molteplici profezie decalcate da Omero circa il regno Esperio vaticinato ad Enea, in prima da Venere su conferma di Giove e poi dai vari interlocutori del poema, soltanto dagli oracoli sibillini egli apprenderà la vera ubicazione di questa tanto ricercata terra madre delle genti. Nel libro III dell`Eneide,q ual prima tappa del periplo di ritorno dopo la tragica notte dell`incendio di Troia egli prenderà anzitutto contatto con il paese di Licurgo, ove Traci e Troiani furono fraternamente ospiti innanzi la fondazione di Dardania e cioè il Ponto Eussino ove l`esule fonderà una città da lui denominata Eneade e riceverà un primo responso dal prodigio dei tre rami sanguinanti divelti dal rovo che gli riveleranno l`insepolta spoglia mortale del tradito Polidoro. Responso che lo indurrà a fuggire innoridito da quella terra infida, per correre a miglior destino ma senza aver compiuto il pio dovere di dar sepoltura a quella spoglia. Seconda tappa sarà l`isoletta di Delo o Ortigia, sacra culla di Apollo al centro delle Cicladi ov`era il famoso Oracolo del Dragone o Pitone più tardi trasferito in Delfo, "nel delubro in cima d`un sasso anticamente estrutto". Fra prodigiosi sommovimenti tellurici ed ignei di chiaro indirizzo vulcanico, la CORTINA ovvero il Tripode di Apollo detta il famoso Oracolo surriferito circa l`imposizione del ritorno dei dardanidi in grembo alla antica madre esperia. Erroneamente da Anchise, gli Eneidi volgeranno le prore a Creta, già ritenuta culla di tutte le genti mediterranee, quindi, anche dei Teucri, per via del Culto della Gran Madre Cibele che avrebbe avuto nella grotta Dictea dell`Ida cretese il suo primo santuario ove nacque Zeus ed ove fu allevato secondo il mito greco. "Indi son l`arme dei Coribandi; indi la selva Idea - E quel fido silenzio, onde celati - Son questi nostri Misteri" palese accenno ai Misteri dei Kabiri di Samotracia, giacchè Anchise stesso trae il suo etimo dall`Incudine, mentre Enea richiama il Bronzo! Furono questi Misteri, alla base delle consorterie esoteriche istituite in Egitto (a Tanis) dai "Figli di Seth ?" Non dobbiamo trascurare di seguire sul testo passo a passo i più minuti dettagli di codesto ciclo di ritorno, poichè per l`economia ermeneutica del poema, come nella Divina Commedia, ogni verso ed ogni frase hanno una intima ed insopprimibile ragione esoterica di collocazione e di interferenza. Infatti i luoghi delle isole Cicladi ed Jonie via via toccati dai perigeti Teucri, furono sede di templi cabirici o di culti famosi o di note leggende mitiche di origine pelasga che spesso gli scavi archeologici moderni hanno confermato come a Lemmo e Imbros. Ma seguiamo il periplo. Giunti a Creta i Teucri vi si accampano e danno principio alla fondazione di un`altra città: Pèrgamea. Ancora nefasti prodigi travagliano i disgraziati profughi finchè i Penati apparsi in sogno da Anchise non li illuminò circa l`esatta versione dell`oracolo di Delo. Interpetrazione che è anche una messa in guardia del poeta contro Archeologi antichi e ... moderni che vorrebbero da Creta far derivare la culla del genere umano ed i più antichi culti mediterranei. I Penati, o meglio "Le Sacre effigie dei Penati" ... quelle che Dardano recò dalla Tirrenia alla Frigia e che "meco avevo tratte dal fuoco" per dirla con le stesse parole di Anchise, che non sono ... dette a caso, così rettificano il male interpetrato responso di Apollo. Non già Creta, ma :

"Una parte d`Europa è, che da`Greci
Si disse Esperia, antica, bellicosa
E fertil terra. Dagli Enotri colta
Prima notria nomossi : or, com`è fama
Preso d`Italo il nome, Italia è detta.
Questa è la terra destinata a noi
Quinci Dardano in prima e Jasio usciro,
E Dardano è l`autor del sangue nostro."

Uscendo da ogni reticenza il Credo Vergiliano qui com`è chiaramente espresso balza e s`impone alla perspicacia del lettore prima ancora che ad Enèa; maggiormente ribadito con la rinnovata precisione topografica : "E tu cerca di Corito e d`Ausonia" - L`antiche terre ! - tanto da indurre Enea a riflettere sul significato di una profezia fattole ancora giovinetto dalla inascoltata Cassandra :

"... Ella al mio sangue
Augurò questo Regno, quest`Italia
E quest`Esperia aveva sovente in bocca."

Ripresa la navigazione, e giunti alle Strofadi, le Arpie nuovamente confermavano il presagio del Delio Febo. Nuova tappa in Anzio, poi nell`Isola di Corcira infine a Brutino o Brutoto nell`Epiro ove Enea s`incontrerá con l`indovino Eleno suo cugino e Re di una piccola città sorta in una zona toponomasticamente battezzata all`uso pelasgo con i nomi che richiamano memorie i nomi che richiamano memorie e località care della distrutta patria. La Febea spelonca o baratro dalla quale ,col consueto cerimoniale misteriosofico il Kabiro Eleno trae gli auspici, sembrerebbe riferirsi al famosissimo dodoneo Oracolo di Giove Pelasgo menzionato da Omero. Ma il responsono è che l`ennesima riconferma dell`alto destino che attende Enea al momento in cui,sulle orme di Ulisse,s arà giunto nei mari italici :

"E il mar della Sicilia e il Mar Tirreno
E il laghi inferni e l`isola di Circe
Cercar ti converrà ..."

Veramente il Circèo, meta finale del viaggio di Ulisse e degli Argonauti nell`Eneide è appena e quasi di sfuggita poi richiamato, tanto che Enea neppure vi sosta. Ciò non toglie che anche Virgilio ne faccia il caposaldo per la discesa agli inferi di Enea, quasi voler giustificare la postica trasposizione nel Lago di Averno dell`ingresso del Tartaro e dell`isola del Fuoco, ubicata inizialmente nel mare pontino ov`erano i veri laghi infernali cioè i crateri ignei ancora attivi del Vulcano Laziale, grande isola nelle epoche preistoriche, al centro del Golfo latino. Ma ecco che, al primo metter piede su suolo italico l`antica terra madre gli si disvela assumendo la vera personificazione tellurica della Dea tutelare latina, la Juno Caprotina, di poi Giunone Sopita Mater Regina, secondo la predizione dello stesso indovino Eleno, predizione la cui gradiente efficacia ha valore di un solenne e quanto mai significativo monito misteriosofico.

"Ti ripeto più volte e ti rammento
La gran Giunone invoca,a Giunone voto
E preghi e doni e sacrifici offrisci
Devotamente : Che lei vinta alfine
Terrai d`Italia il disiato lido!"

Poichè tutto il litorale di Laurento e di Ardea e cioè il "Latium Vetus" ,come è noto, era posto sotto l`alta protezione della più antica Dea dei Latini, essa fu la vera protagonista sia per Omero che per Virgilio del gran dramma cosmico-tellurico che s`adombra nel mito primordiale di Troia :

"La Tempesta, i Fati,
La ruina che ne` campi idei
Venne di Grecia, onde l`Europa e l`Asia
E `l mondo tutto sottosopra andonne !"

Ma sarà ancora Giunone, la tremenda Dea dal caprino infero vello auspice la sibilla Calybe la moverà Acheronte contro gli sventurati Teucri onde al maritale letto di Lavinia pronuba sedesse Bellona invece che Lucina... due distinte personificazioni della stessa Giunone Lanuvina... che completano con Proserpina l`Ecate Tririforme.
I fieri propositi della corrucciata Saturnia Dea, acerrima nemica dei Troiani perchè vedeva in essi il seme di quella stirpe romana che un giorno avrebbe anniettata la sua prediletta Cartagine (di origine tiria, cioè tirrena-fenicia-cabirica), e tutto l`armeggio infernale da lei posto in opera per impedire o ritardare con l`aiuto dell`Acheronte l`impresa di Enea, sono da Virgilio descritti con si tragica evidenza da condurci alfine alla rivelazione suprema del mistero eleusino nel riconoscere in essa la gorgonea latina divinità infernale cioè la stessa cabirica Proserpina... quale veramente fu intesa da Omero, Virgilio e Ovidio, prima che i Greci ne facessero in Persefone una astratta deità agraria, ed i romani la salutassero quale la Salvatrice o Sospita. Ben la comprese Dante: "Venga Medusa! - Si `l farem di smalto... ". Urlano le feroci Erinni sulle porte di Dite per far indietreggiare i due Poeti!
La richiama Propezio nella sua famosa VIII Elegia del IV Libro ricordando il vetusto Dragone edenico tutelare di Lavunio e l`annuaprimaverile famosa processione rituale delle Vergini in suo onore e in ricordo del primordiale sacrificio cabirico a Molok. Essa, quale Magna Mater è dunque la vera protagonista dei Misteri Cabirici esportati da Dardano in Samotracia e a Creta. Nè poteva Virgilio lasciarsi ingannare dalle varie versioni greche che ponevano il primo seggio di Hera-Giunone in Samo o in Argo e riconoscevano nella Giunone di Lanuvio soltanto una derivazione della Dea di Argo, (oppure Cartagine) e dalle successive trasposizioni latine che la ubicavano in Gabio, in Faleria, in Ardea, in Vejo ecc., giacchè la vera personificazione di Giunone è la vera personificazione di Giunone è la Persefone dell`Odissea, la gorgonide Proserpina dei Misteri Cabirici, la Juno Caprotina di Lanuvio collegata al culto infero del Vulcano Laziale sull`autorità stessa di Esiodo, dei Tragici greci di Omero. Se Virgilio intese trasferire, come dicemmo, il teatro della palingenesi esiodea sulle coste tirrene d`Italia incontro a Cori interpetrando il periplo di Ulisse secondo la versione tradizionale argonauta, indubbiamente si renderà chiaro il passo di Omero nel Canto IX dell`Iliade (v.590) ove parla del sotterraneo Giove (summano) e della spietata Proserpina, confinati nell`Ade", e specialmente nel passo del Libro XIV ove Omero fa esprimere dalla scaltra Giunone a Giove il desiderio di appartarsi dalla lotta contro i dardanidi per recarsi a trovare nell`alma terra ove fu educata fanciulla il "Genitor dei numi OCEANO e l`antica Teti" cioè se stessa sub speciae infera in quella muta e lontana Esperia,l a terra dei morti, ov`era il "remoto esiglio" di Giapeto e del Saturno che "cacciato dal cielo fu nel cupo Tartaro confitto assieme agli infermi Dei" come si legge nei Canti VII e XV della stessa Iliade e in un frammento della Tragedia non pervenutaci su INACO di Sofocle riportato da Dionigi di Alicarnasso ove "i colli di Giunone", cioè i colli albani, sono rievocati nell`accennare alle argoliche terre generatrici degli Dei, le occidentali sedi dei Tirreni-Pelasgi cioè le Sacre Isole Laziali ricordate da Esiodo assieme gl`incliti sudditi dei Re Latino negli ultimi episodi della sua "Teogonia". Il Vulcano laziale occultava il rejetto dal cielo, l`angelo caduto : Sat-ur o Sat-an ( Tifone o Gorgone).
Nè Virgilio poteva ignorare ai suoi tempi la celebrità cui era assurto l`antichissimo Tempio di Giunone Lanuvina sede di famosi prodigi e culla della religione romana il cui culto si era esteso perfino nell`Asia Minore come ce ne fanno fede gli studi dell`insigne Archeologo lanuvino prof. mons. Galieti, se non altro, per aver Augusto questo Tempio-Santuario depredato del suo cospicuo tesoro aureo per far fronte alle spese delle guerre civili ! È nota altresì la leggenda riferita da Appiano che il troiano palladio rapito da Ulisse e Diomede dal tempio di Minerva sull`Ara di Pergamo sarebbe stato da quest`ultimo trasferito in Lanuvio ove secondo un`altra antica leggenda, sarebbe poi sbarcato Enea !...
Potremo chiederci allora: Come và che Lanuvio, antichissimo oppido prelatino non appare in nessun luogo menzionato nell`Eneide mentre sono richiamate sotto vari pretesti tutte le città limitrofe ed anche lontane della zona laziale?
Eppure il famoso (VII sec. a.C.) Tempio di Giunone si elevava bene in vista sopra il colle lanuvino che domina in pieno la pianura pontino-romana,da Cori ad Ardea ove si svolse la vicenda centrale fra Enea e Turno, in cospetto al Vulcano a quei tempi forse ancora attivo!
A questo interrogativo Virgilio ce n`indica esotericamente la sede richiamando la presenza di Giunone stessa. "...non dal campo lunge... in un colle albano or detto ..." (Libr. XII-232) in conferma dell`indovino Eleno quando pose le sorti di Enea, di Roma e dell`Italia tutta nelle mani della stessa tellurica Juno Mater Regina,la cui ira fu letale anche ad un altro italico semidio: Ercole.
Ira che bisognava placare e non sarà placata se non dalla promessa di Giove che non già i reimmigrati Teucri ma i suoi Latini autoctoni avrebbero prevalso nel dominio imperiale del mondo,quasi preludendo al famoso patto federale che poneva a conclusione delle guerre latine,sullo stesso piede di Roma e Lanuvio nel possesso sacrale del luco e del Tempio di Giunone (Livio). Ma come è risaputo non si doveva per ragioni misteriosofiche nominare (e ben lo sapeva l`iniziato Virgilio) la vera primigenia sede del Grande oracolo delle Divinità infere volutamente anonimo onde non evocarle, specie se sotto il velle o Egida caprina della Giunone Lanuvina poteva far capolino la tremenda Prosperina sub speciae di Medusa col suo gorgoneo petreo volto "che impetra chi lo guarda", spaventevole monito per chi tentasse di varcare le porte della città di Dite, senza godere come Pitagora, Enea, Ulisse, Paolo e Dante della celeste protezione o senza esserne in possesso delle chiavi. Orbene se nelle più gravi calamità, specie durante la seconda guerra punica, il Senato Romano nei momenti pur drammatici più volte fece appello all`intervento taumaturgico della grande e terribile Dea dei Latini recandole solennemente un aureo tributo espiatorio (ex voto) a vittoria conseguita e partecipando annualmente in pompa magna al rito del Serpente (Livio), sia ancor essa a proteggere dall`alto dell`Acropoli Lanuvina (riconsacrata in oggi alla vergine Ausiliatrice dai figli di Don Bosco) e l`Italia tutta d`ogni minacciata menomazione della sua libertà spirituale quale maestra della civiltà e del giure, tre volte madre al mondo civile nella preistoria, nell`imperio dei Latini e nella Rinascenza; questa nostra Terra Saturnia..., stritolatrice di uomini e di millenni ma sempre rinascente,"da cui uscì Dardano ... che ora è fatto Dio!".

 


 

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