Home - Messaggi - Maestri - Autori - Arcana Arcanorum - Corpus Magiae - Biblioteca - Dossier - Napoli - Religioni - Luoghi - Vitriol - Miscellanea - Filmati
Misteri Eleusini
a cura di IniziazioneAntica
Parte I
Walter
Burkert
Antichi Culti Misterici - L'Esperienza Straordinaria
«Dimenticate gli augusti misteri», era il grido di disperazione dei genitori che avevano perso il figlio, ad indicare che essi avevano riposto fiducia negli effetti pratici dei riti misterici; «ridesta nei mystai il ricordo della solenne telete», è la preghiera degli iniziati nell'inno orfico a Mnemosyne, la dea della Memoria, che mira ad un effetto di diverso tipo. Le celebrazioni misteriche dovrebbero essere eventi indimenticabili, la cui ombra si stenda sull'intera vita futura di chi vi prende parte, creando esperienze che trasformano l'esistenza. Che la partecipazione ai misteri fosse una speciale forma di esperienza, un pathos nell'anima, o psyche, del candidato, è detto chiaramente in vari testi antichi; dato lo stato di sottosviluppo dell'introspezione nel mondo antico, osservato da un punto di vista moderno, questo è un fatto meritevole di attenzione. Si dice che Aristotele abbia fatto uso della acuta antitesi per cui allo stadio finale dei misteri non dovrebbe più esserci «apprendimento» mathein ma «esperienza» pathein, e un mutamento di stato mentale diatethenai.
Dione di Prusa, in una elaborata similitudine, è più esplicito: «Se si portasse un uomo, greco o barbaro, all'iniziazione in un recesso mistico, che sbalordisce per bellezza e grandezza, sì che egli contemplasse molte visioni mistiche e udisse molti suoni del genere, mentre buio e luce si alternano con improvvisi mutamenti ed altre innumerevoli cose accadono, e perfino - come fanno nella cosiddetta cerimonia di innalzamento al trono, thronismos - fanno sedere gli iniziandi e danzano loro intorno, se tutto questo accadesse, potrebbe mai un tale uomo non provare assolutamente nulla nell'anima, non perverrebbe egli ad ammettere che vi è una qualche più profonda intuizione, ed un piano, in tutto ciò che si sta svolgendo, se anche egli provenisse dalla più totale barbarie?».
Il riferimento qui inteso è al Cosmo, alla danza delle stelle e del Sole attorno alla terra, e ad altre meraviglie della natura che superano l'artificioso apparato delle cerimonie misteriche; il raffronto tra il cosmo e una grande sala per la celebrazione dei misteri risale al filosofo stoico Cleante, che visse ad Atene e con ogni probabilità aveva in mente Eleusi, cosa che è meno chiara nel caso di Dione. Nondimeno, il testo di Dione dà un'idea di cosa accadeva in una celebrazione misterica, e di quale era l'effetto atteso: «qualcosa deve necessariamente accadere nell'anima», così che l'iniziale sbalordimento si muti in meraviglia e accettazione del senso di quel che accade. In termini religiosi, i misteri assicurano un incontro immediato col divino. Ricordiamo che Marco Aurelio poneva i misteri fra le visioni oniriche e le guarigioni miracolose, come una delle forme in cui possiamo avere la certezza che gli dèi si curano di noi. In termini psicologici, deve esserci stata un'esperienza dell'«altro» in un mutamento di coscienza, che muoveva ben oltre ciò che si poteva trovare nella vita quotidiana. «Uscii dalla sala dei misteri sentendomi straniero a me stesso» - è la descrizione che un retore dà dell'esperienza a Eleusi. È a questo punto che la ricerca scientifica oggettiva va incontro a difficoltà insormontabili. Il segreto dei misteri è stato solitamente mantenuto. Siamo, nella migliore delle ipotesi, nella condizione di chi origlia, di estranei dietro la porta, quale è descritta da Dione in un'altra similitudine: «Servitori dei misteri, che all'esterno, presso le porte, adornano i porticati e gli altari eretti in pubblico... ma non sono mai ammessi all'interno... essi percepiranno alcune delle cose che accadono dentro, sia che una parola mistica venga gridata ad alta voce, sia che si scorga fuoco al di sopra delle mura» - ma restano «servitori», non «mystai». Se però avessimo un resoconto più ampio, o persino una registrazione filmata come quelle con cui i moderni antropologi documentano costumi esotici, resteremmo pur sempre perplessi. Lo scarto fra la pura osservazione e l'esperienza di quanti sono coinvolti nella procedura vera e propria resta incolmabile. Come descrivere una tale esperienza, senza essersi sottoposti a giorni e giorni di digiuno, purificazione, spossatezza, ed eccitazione? Il segreto di Eleusi fu provocatoriamente violato da Diagora di Milo, del quale si dice che lo abbia svelato in strada, a chiunque - e che ciò facendo lo abbia fatto apparire banale e di nessuna importanza.
Il segreto fu rivelato anche da uno scrittore gnostico della «Setta del Serpente», un «Naasseno» il cui sermone è citato da Ippolito. Da qui traiamo due scorci della celebrazione: «Gli ateniesi, durante la celebrazione dei misteri eleusini, mostrano agli epoptai il grande, mirabile, il più perfetto segreto epoptico, in silenzio: una spiga di grano mietuta». La seconda descrizione dice: «Lo ierofante, di notte, a Eleusi, durante la celebrazione dei grandi e indicibili misteri presso un grande fuoco, grida ad alta voce, dicendo: La Signora ha generato un figlio sacro, Brimo ha generato Brimos». Ma anche queste notizie, isolate dal contesto dei preparativi, e dell'ansia e della concentrazione concomitanti, restano un messaggio cifrato che invita forse a voli di fantasia, ma manca di comunicare il senso di una esperienza autentica. Gran parte della rimanente documentazione è metafora. Il linguaggio dei misteri è usato per illustrare situazioni intellettuali o emotive di diverso genere. Platone aveva aperto la strada, e la retorica fu pronta a sfruttare perfino gli effetti dell'arrheton.
Esiste pur sempre una possibilità che ci si possa servire di questo linguaggio come di uno specchio per cogliere una visione fugace di quel che accade dietro le mura. Il più impressionante di tutti è un testo di Plutarco che tenta di descrivere il presunto processo di morte nei termini di una iniziazione misterica. Al momento della morte, «l'anima patisce un'esperienza simile a quelli che celebrano iniziazioni solenni... All'inizio vagare smarriti, faticoso andare in cerchio, paurosi percorsi nel buio, che non conducono in alcun luogo; poi immediatamente prima della fine tutte le cose terribili, panico e brividi e sudore, e stupore. E poi una luce meravigliosa ti viene incontro, regioni pure e prati sono là a salutarti, con suoni e danze e solenni sacre parole e visioni sante; e là l'iniziato, ormai perfetto, liberato e sciolto da ogni vincolo, si aggira, incoronato da una ghirlanda, celebrando la festa insieme agli altri consacrati e puri, e guarda dall'alto la folla non iniziata, non purificata, di questo mondo, nel fango e nella nebbia, sotto i suoi piedi». È plausibile che Plutarco abbia in mente Eleusi, ma l'edificio del Telesterion è scomparso, poiché elementi della procedura reale sono fusi a reminiscenze platoniche e a libere speculazioni. Ancora una volta troviamo le «visioni sacre» e i «suoni sacri» come in Cleante e Dione, ma in questo testo l'accento cade su eventi spossanti e terribili che precedono la stupefacente luce.
Il testo di gran lunga più autorevole sull'esperienza dei misteri è nel
Fedro
di Platone;
ripetutamente imitato da
Filone e dai più tardi platonici, fino a
Dionigi l'Areopagita, che esibiscono un linguaggio «mistico», questo è
divenuto in realtà il testo di base del misticismo, nel vero senso della parola.
La rivelazione del vero Essere procurata da Eros era già stata descritta nel
linguaggio dei misteri nel Simposio, dove la distinzione fra «iniziazione
preliminare» (myein) e «misteri perfetti e epoptici» si riferisce chiaramente a
Eleusi. Il Fedro aggiunge l'indimenticabile immagine del carro dell'anima che
ascende al cielo sull'onda degli dèi, fino alla sommità più alta, dove è
possibile lanciare uno sguardo di là dal cielo. Un ricordo opaco di questa
visione rimane in certe anime, per essere subitaneamente resuscitato da immagini
di bellezza in cui ci si imbatte in questo mondo. Improvvisamente ricordiamo
come «allora fosse dato vedere la risplendente bellezza, quando insieme al coro
beato... videro una visione e uno spettacolo di gioia, e furono iniziati con
iniziazioni che debbono dirsi le più beate di tutte... celebrandole...
incontrando, quali mystai e epoptai, apparizioni felici in puro splendore,
essendo puri noi stessi». Per quanto la qualità incantatoria del testo greco
vada inevitabilmente perduta nella traduzione, la sua forza perdurante è
dimostrata dall'effetto unico che esso ebbe sulla tradizione platonico-mistica
greca. Platone stesso, nel creare la sua visione, usa dettagli che si
riferiscono chiaramente a Eleusi. I termini mystai ed epoptai non lasciano adito
a dubbi; il «coro» danzante che celebra gli orgia e le visioni sacre che
provocano indimenticabile beatitudine ricorrono nei testi di Dione e Plutarco
che abbiamo appena citato, mentre i «sacri suoni» sono omessi perché Platone si
concentra sugli eide. Vi è un'allusione obliqua ad eventi terrificanti, deimata,
che precedono l'atto di venerazione del divino. L'allusività di questi testi
eccita la fantasia. Sebbene manchino di produrre testimonianze solide, essi
producono senz'altro una cornice per l'empatia, se non per la comprensione di
cosa i misteri possono aver significato per i partecipanti. L'esperienza è
modellata dall'antitesi, dal movimento fra gli estremi di terrore e felicità,
buio e luce. Altri testi sostanziano e illustrano questa ambivalenza: Eleusi è
insieme «ciò che vi è di più terrificante e di più risplendente in tutto ciò che
è divino per gli uomini», afferma
Elio Aristide. Se le divinità eleusine appaiono in sogno, questo significa
«per i non iniziati che esse arrecano dapprima una sorta di terrore e pericolo,
ma in seguito ciò nonostante portano alla perfezione quello che è bene». Secondo
Plutarco, «nelle iniziazioni misteri che si deve resistere alle prime
purificazioni ed eventi che provocano turbamento, e sperare che qualcosa di
dolce e luminoso verrà dall'ansia e dalla confusione presenti»; c'è perfino una
specie particolare di «gioia, quale la sperimentano gli iniziandi, mista a
confusione e depressione ma colma di piacevole speranza». Assai comune, e di
fatto una delle caratteristiche principali dei misteri, è il makarismos, la lode
della condizione beata di coloro che hanno «visto» i misteri. Allorché
l'iniziato è accolto e salutato dal coro di coloro che sono passati attraverso
le medesime peripezie, i suoi sentimenti di sollievo si leveranno fino all'apice
dell'esultanza. Pure, i testi insistono che il vero stato di beatitudine non è
in questa risonanza emotiva ma nell'atto di «vedere» ciò che è divino.
Abbiamo soltanto informazioni frammentarie sui particolari delle iniziazioni
misteriche: sebbene non si cumulino fino a delineare un quadro soddisfacente,
esse colpiscono pur sempre l'immaginazione col fascino del frammentario. Per
Eleusi abbiamo almeno tre serie divergenti di testimonianze: la topografia del
santuario; il mito dell'avvento di Demetra, quale è narrato in particolare
nell'inno omerico; un fregio in rilievo con scene d'iniziazione, noto in un
certo numero di repliche; il synthema, «parola d'ordine», quale ci è trasmesso
da Clemente di Alessandria; e le due testimonianze del Naasseno , chiaramente
relative alla festa conclusiva. Queste testimonianze non sono totalmente
isolate: una precedente testimonianza pagana -
Mesomede, un poeta dell'epoca adrianèa - reca una conferma. Nel suo «Inno a
Iside» egli fa riferimento con allusioni criptiche al «matrimonio sottoterra» e
alla «nascita delle piante» - il che richiama chiaramente Persefone - e ai
«desideri di Afrodite, la nascita di un bambinello, il fuoco indicibile,
perfetto, i Cureti di Rea, la mietitura di Crono, città per l'auriga - tutto
(questo) è danzato attraverso gli anaktora per Iside». Vediamo qui la nascita
del bambino ed il grande fuoco, la mietitura del grano con uno sfondo di
castrazione,
e infine un riferimento a Trittolemo, l'auriga: chiaramente uno scenario
eleusino, che fornisce persino una sequenza ben definita, piuttosto che immagini
sconnesse. Tuttavia, questo rapido sommario non è un sostituto efficace
dell'esperienza.
I preparativi per l'iniziazione sono riassunti nel synthema che, di nuovo, è intenzionalmente criptico: «Ho digiunato, ho bevuto il kykeon, ho preso dal cesto coperto (kiste), ho lavorato e ho rimesso nel cesto alto (kalathos), e da lì nell'altro cesto (kiste)». Cosa significhi «lavorare» è stato ottimamente spiegato da una casuale osservazione di Teofrasto sul fare un segreto del fatto di macinare il grano: apparentemente, l'iniziando doveva macinare del grano in un mortaio; significati simbolici di questo atto sono a portata di mano, ma restano non confermati. I rilievi del fregio dell'iniziazione (vedi figg. 2-4) rappresentano tre scene: il sacrificio preliminare, la purificazione, e l'incontro con le dee Demetra e Kore; quest'ultima è vista mentre si avvicina. Un serpente si arrotola dalla kiste nel grembo di Demetra, e il mystes, caratterizzato dal suo fascio di ramoscelli, è visto mentre tocca senza timore questo serpente - avendo trasceso l'ansia umana, muovendosi libero e rilassato in una sfera divina. La scena della purificazione, con l'iniziando velato e seduto su un vello d'ariete, riproduce chiaramente il mito nei dettagli realistici, mentre la scena finale passa ad un livello mitico, e così nasconde il segreto delle cerimonie. Nella topografia del santuario, il dettaglio più suggestivo è la grotta di Plutone, identificata da alcune dediche, fra i Propilei e il Telesterion. Questa non è menzionata in nessun testo letterario e rimase apparentemente ignota ai profani. La si potrebbe connettere ai «paurosi percorsi nel buio che non conducono in alcun luogo». Molto rimane però oscuro, specialmente per quel che riguarda il rapporto tra individuo, iniziazione preparatoria o purificazione, e partecipazione alla grande festa comune.
A proposito delle iniziazioni a Dioniso, esiste nella documentazione più tarda una iconografia particolare e affascinante, a cominciare dal famoso affresco della Villa dei Misteri a Pompei, dell'età di Cesare.
Non meno importanti sono i rilievi a stucco della
Casa della Farnesina a Roma, dell'età di Augusto; nei secoli successivi ci
sono i rilievi architettonici, le scene su sarcofagi, ed un mosaico da
Djemila-Cuicul
in Algeria che con ogni probabilità adornava un locale di culto. L'elemento che
colpisce di più in questo linguaggio figurativo è un enorme fallo eretto in un
vaglio, liknon, coperto da un panno, che viene svelato o da una figura femminile
in ginocchio, come nel dipinto della Villa dei Misteri, ovvero da un Sileno
dinanzi ad un fanciullo velato, che avanza. Qui si tratta evidentemente di
«mostrare un oggetto sacro»; è una scena «ierofantica». È facile aggiungere
interpretazioni sull'incontro con la potenza divina, o semplicemente la
sessualità, nel contesto di un qualche «originario» rito di pubertà. Il racconto
di Psyche e Eros è stato addotto come pertinente in questo contesto, in quanto
potrebbe fornire una sequenza mitica nel senso della psyche che fa conoscenza
con l'eros. La scena culminante giunge quando per la prima volta Psyche scorge
il suo compagno rivelato dalla luce della sua lampada; a ciò segue un periodo di
tribolazioni prima della felice conclusione. È opportuno leggere il fregio della
Villa come una sequenza, cominciando con la donna che entra a sinistra, e
procedendo attraverso la purificazione e un idillio transitorio di vita
satiresca, fino alla misteriosa rivelazione del dio sul muro centrale. Due
principali manifestazioni di
Dioniso a ciascuno dei lati del dio accentuano l'elaborata interazione di
composizione sequenziale e centrale: i fanciulli-satiri che maneggiano una coppa
di bronzo e una maschera (il bere vino che si trasforma in catoptromanzia?) e la
fanciulla che svela il fallo. Queste sembrano essere due forme di rivelazione
che rimangono enigmatiche per il non iniziato. La sequenza continua poi con la
scena della flagellazione e con la danza frenetica, ad indicare sia
l'umiliazione sia la beatitudine finale.
Non si è scoperto nessun testo che offra la vera chiave interpretativa. Nessun diretto antecedente dei dipinti della Villa è venuto finora alla luce; essi sembrano attestare un'influenza relativamente recente di misteri dionisiaci riformati, che tornarono in Italia dopo esserne stati espulsi con la repressione dei Bacchanalia nel 186 a.C. Il liknon con il fallo appare assai prima in contesti bacchici, ma senza speciali connotazioni «mistiche». In una raffigurazione vascolare apula esso viene trasportato in un tiaso dionisiaco; collocato su un pilastro o su una colonna, caratterizza un paesaggio rurale in pitture murali pompeiane - e probabilmente ellenistiche - e in rilievi neoclassici. In generale, processioni falliche sono sempre state presenti nel culto di Dioniso. Un fallo di per sé non era un segreto, non molto più di quanto lo fosse una spiga di grano; il mistero non sta nell'oggetto. Uno strato più antico di testimonianze sull'iniziazione dionisiaca pone l'accento sulla purificazione e sul mutamento di status, e perfino sul mutamento di identità. Attraverso l'invettiva di Demostene contro Eschine intravvediamo una cerimonia notturna che comprende l'indossare pelli di cerbiatto e predisporre un cratere di vino. Gli iniziandi, seduti, vengono quindi imbrattati con una mistura di argilla e paglia; dal buio emerge la sacerdotessa, simile ad un demone terrificante; ripuliti e levandosi in piedi, gli iniziati esclamano: «Sono sfuggito al male, ho trovato il meglio», e i presenti urlano con voce acuta, stridente (ololyge) come se fossero alla presenza di un qualche agente divino. Di giorno, segue l'integrazione degli iniziati nel gruppo dei celebranti, con il passaggio del thiasos per le strade; la gente è incoronata di finocchio e pioppo bianco; danzano e levano grida ritmicamente, recando la kiste e il liknon, mentre alcuni brandiscono serpenti vivi. L'iniziato è ora in grado di gestire e controllare ciò che lo atterriva. Platone, in una elaborata metafora, allude al cambiamento operato nell'anima (psyche) dal rito di iniziazione; i «grandi tele» che dapprima svuotano l'anima di tutti i poteri che un tempo la ossessionavano significano «purificazione», e in seguito un coro giubilante, coronato di ghirlande, reca nuovi poteri che d'ora in poi domineranno. Platone è interessato al processo psicologico; non fornisce i dettagli del rito, ma i contorni da lui indicati sono compatibili con le procedure di Eschine [...]
In genere si suppone che l'idea alla base di un rito iniziatico sia quella di morte e rinascita. Un libro ben noto di Mircea Eliade è apparso in edizioni successive col titolo di Rites and Symbols of Initiation, oppure solamente Birth and Rebirth. Essendo fondamentalmente cerimonie iniziatiche, i misteri antichi dovrebbero conformarsi a questo schema, che allo stesso tempo sembra fornire la miglior spiegazione del perché si credeva che questo rito superasse la minaccia della morte reale. Eppure, come nel caso corrispondente del mito del «dio morente», la documentazione è meno esplicitae più varia di quel che l'ipotesi generale vorrebbe postulare [...]
I segreti mirano a eccitare la curiosità, e una volta che questa sia stata eccitata, non sarà soddisfatta da risposte negative. Tre domande in particolare continuano a essere poste riguardo ai misteri: e le torture? E il sesso nelle «orgie»? Si faceva uso di droghe? In un certo senso, queste sono domande legittime, ma un tentativo di risposta esige ancora una volta che si facciano distinzioni. Tormentare i novizi causando loro umiliazione, dolore, o perfino gravi ferite è pratica comune alle iniziazioni, da quelle degli aborigeni australiani a quelle nelle università americane - almeno fino a tempi recenti. L'esperienza sconvolgente ha l'effetto di scuotere le fondamenta della personalità e prepararla ad accettare nuove identità. Testimonianze pertinenti esistono in riferimento ai misteri di Mitra: alcune sprezzanti osservazioni di Gregorio di Nazianzo, alcune elaborazioni del suo scoliasta, e un testo dello pseudo-Agostino chiamato «Ambrosiaster». Franz Cumont, il padre fondatore degli studi mitraici, rifiutò assolutamente di prestar fede all'informazione fornita dallo scoliasta: «cinquanta giorni di digiuno, due giorni di fustigazione, venti giorni nella neve» sembrano in verità molto, e dove trovare la neve a Dura Europos o in Africa? Un oratore gracile come Imerio poté sottoporsi all'iniziazione mitraica senza troppa pena, a quanto pare, per far contento Giuliano. È tuttavia singolare che nello Yašt avestico di Mitra ci siano non solo giorni di lavaggio, ma anche giorni di «fustigazione» come preparazione per una cerimonia mitraica. Ancora più icastico è il resoconto dell'«Ambrosiaster», che pertanto avrà minori probabilità di riflettere una mera fantasia: secondo questo i candidati, bendati, odono le voci di corvi e leoni, e ad «alcuni» (con ogni probabilità a coloro che hanno raggiunto un certo grado) si legano le mani con budella di pollo e li si fa entrare malamente in una vasca d'acqua; a questo punto arriva un uomo con una spada a tagliare i legacci, e chiama se stesso «liberatore». Gli affreschi di Capua Vetere, pur mal preservati, paiono rappresentare proprio scene di questo genere. Pericolosi incontri col fuoco dovevano pure verificarsi. Alcune delle statue dalla testa leonina sono fabbricate in modo tale da spirare fuoco attraverso una apertura nella pietra, e un epigramma da Santa Prisca fa riferimento ai «leoni che bruciano incenso», «attraverso cui noi stessi siamo consumati». Pare che vi fossero anche altre forme di morte fittizia. Un singolare utensile trovato nel Mitreo di Riegel in Germania è stato interpretato come una specie di spada teatrale usata per rappresentare un uomo trafitto precisamente al cuore da una spada. Si dice che Commodo avesse commesso un vero assassinio nel contesto di un culto mitraico, e le voci di sacrifici umani erano occasionalmente sostanziate da crani trovati sul posto. Comunque stessero le cose in realtà, lo storico della religione può notare con soddisfazione che i misteri mitraici si conformano agli schemi generali e ben noti dei riti iniziatici assai meglio degli altri misteri antichi. Mitra appare ancora una volta come uno straniero, più primitivo e per così dire più autentico, nei dromena. Negli altri misteri, esperienze umilianti o dolorose di questo genere apparentemente brillano per la loro assenza. Il loro posto è preso dalla «purificazione», che può servire da eufemismo per salvarsi la faccia anche in circostanze imbarazzanti (per esempio, quando si viene imbrattati con argilla). Il terrore psicologico è comunque ben attestato: «tutte quelle cose terribili, il panico e i brividi e il sudore», per citare ancora una volta Plutarco. Un uomo devoto alla Mater Magna, un Gallo o Archigallo, a quanto pare, doveva farsi fare un tatuaggio sul corpo, impresso a fuoco nella pelle con aghi incandescenti, secondo Prudenzio. Una pratica analoga è descritta, per i misteri ellenistici di Dioniso, nel regno di Tolomeo IV Filopatore, ma sembra trattarsi di un caso eccezionale. Resta l'interessante raffigurazione, nella Villa dei Misteri, di quella che è indubbiamente una scena di flagellazione.
Una ragazza in ginocchio, la testa nel grembo di una donna seduta, gli occhi chiusi, mentre la donna seduta le stringe le mani e tira via la veste dalla schiena nuda della fanciulla, e dietro una figura femminile d'aspetto sinistro che solleva una verga - questi sono particolari affatto realistici di una fustigazione. Ma la minacciosa figura che brandisce la verga ha ali nere; non è di questo mondo: è piuttosto una personalità allegorica. Si sono raccolte alcune allusioni alla fustigazione in contesti bacchici, da Plauto a sarcofagi del periodo tardo. Qui troviamo Pan o fanciulli-satiri che vengono puniti con un sandalo, ma la situazione e l'iconografia sono affatto differenti. D'altra parte, la pazzia è descritta come il sentire le sferzate di una frusta sin dai tempi della tragedia attica; Lyssa, come «frenesia» personificata, appare con la frusta nella pittura vascolare, e in ogni caso la mania è il territorio particolare di Dioniso. Neppure Afrodite disdegnerebbe un sublime flagellum per far agire una fanciulla arrogante secondo i suoi ordini, suggerisce Orazio. Ciò dissolverebbe la scena di flagellazione in puro simbolismo; al momento critico, con una sferzata la divina follia si impadronirà dell'iniziata, e la ragazza inginocchiata, mutata in una vera baccante, si leverà e si muoverà liberamente in una danza frenetica, proprio come l'altra danzatrice che segue immediatamente questa scena. E tuttavia il simbolismo non esclude la pratica rituale, e ci sono accenni alla possibilità che una forma di purificazione, katharsis, consistesse effettivamente nella fustigazione. Ancora una volta l'arte è riuscita a rimanere intenzionalmente ambigua riguardo a ciò che effettivamente accadeva nei misteri. L'uso moderno della parola «orgie», rispecchia i peggiori sospetti del puritano sui segreti riti notturni. Non c'è dubbio che la sessualità avesse un posto preminente nei misteri. Abbiamo la parola di Diodoro che Priapo itifallico giocava un ruolo in quasi tutti i misteri, per quanto egli venisse introdotto «con risa e umore scherzoso», e difficilmente questo sarà stato il nucleo centrale del mistero. Le processioni recanti un enorme fallo erano la manifestazione più pubblica delle feste di Dioniso, proprio le grandi Dionisie. Nelle iniziazioni della pubertà l'incontro con la sessualità è naturalmente normale e necessario. Il mutamento dalla fanciullezza attraverso la pubertà fino alla maturità e al matrimonio è il modello naturale, archetipico del mutamento di status, ed elementi di questa sequenza possono ben essere preservati nei misteri, specialmente nei misteri dionisiaci. Ci sono indicazioni secondo le quali solo le donne sposate, non le vergini, potevano essere bakchai in senso pieno. Plutarco, nella consolazione rivolta a sua moglie, fa riferimento alla comune iniziazione ai misteri di Dioniso. Gli affreschi nella Villa dei Misteri sono stati interpretati anche come preparativi per il matrimonio, o come una forma dei Matronalia romani; l'incontro con il fallo svelato, tanto rilevante nelle scene di iniziazione, si adatta perfettamente a una tale prospettiva. I vasi apuli del quarto secolo, destinati principalmente ad uso funerario e pertanto, con ogni probabilità, collegati ai misteri di Dioniso, raffigurano di norma l'incontro di una figura femminile e di una maschile in un ambiente bacchico. Questo tipo di iconografia è stato interpretato come riferito ad una speranza di «escatogamia» nell'Elisio, la beatitudine definitiva nell'aldilà; ma queste raffigurazioni, che non presentano nessun riferimento all'Ade, potrebbero altrettanto bene suggerire iniziazioni, oppure insieme iniziazioni e vita dopo la morte, poiché la festa degli iniziati continua dopo la morte. Diretta e volgare è, per contrasto, la testimonianza di Livio sui Bacchanalia del 186 a.C.: con tutta l'esplicitezza consentita dalla pruderie augustea, Livio dice che gli iniziandi subivano violenza omosessuale, simillimi feminis mares. Un tempo gli studiosi consigliavano di non credere a una calunnia del genere, ma di questo possiamo essere ben poco certi. Paralleli da iniziazioni celebrate altrove non sono difficili da reperire. Si potrebbe essere tentati di stabilire qualche collegamento con il fatto singolare che rappresentazioni marcatamente androgine di Eros divennero affatto predominanti nella tarda pittura vascolare apula, verso il 300 a.C. Ma se una pratica omosessuale di questo tipo giunse mai ad esistere nelle cerchie chiuse dei misteri italici, è chiaro che non poté durare. Ciò che troviamo dopo la catastrofe dei Bacchanalia è indubbiamente simbolismo - simbolismo sessuale, certamente, ma in una forma che non poteva violare l'integrità fisica di nessuno dei partecipanti, e neppure l'integrità della loro fantasia, anche se c'era una qualche reazione emotiva al fallo nel liknon. È il simbolismo a plasmare le forme più durature del mito, non le «vere» orgie.
Una speciale forma di iniziazione provvista di un significativo simbolismo sessuale è riportata in connessione con i misteri di Sabazio: un serpente di metallo veniva fatto passare sotto le vesti dell'iniziando. Questo è il «Dio attraverso il grembo», Theos dia kolpou. Gli studiosi concordano sul fatto che questa è una forma di unione sessuale con il dio; nel mito Persefone è fecondata da Zeus sotto forma di serpente, e la leggenda ha associato i serpenti degli orgia di Dioniso alla fecondazione di Olimpia, madre di Alessandro, ad opera di un dio. Ma nel rito di Sabazio ciò è trasformato attraverso un simbolismo duplice - il serpente sta per il fallo, e un artefatto sta per il serpente. Il rito deve essere rimasto sufficientemente impressionante, ma il timore reale doveva derivare non tanto dalle associazioni sessuali quanto dal fatto di aspettarsi di toccare un serpente, soprattutto perché alla luce vacillante delle torce l'iniziando difficilmente poteva distinguere ciò che era reale da ciò che era artefatto. Anche in questo caso, la sessualità per se stessa non è il segreto in questione [...] Agli gnostici, gli avversari attribuivano celebrazioni misteriche che avrebbero comportato conoscenza carnale. Se ciò era vero, si trattò ancora una volta di un esperimento dalla vita breve. Certamente, l'astinenza sessuale è un normale requisito per la partecipazione a praticamente tutti i misteri, come pure a certi altri culti. Ciò stimolava le attese e l'attenzione a certi segnali. La sessualità diviene un mezzo per fare irruzione entro un'esperienza non comune, piuttosto che essere fine a se stessa.
I Misteri Eleusini commentati da Gabriele La Porta - Play Video
La facile via d'accesso ad un'esperienza non comune è attraverso l'uso di
droghe. Il ruolo delle
droghe in contesti religiosi è stato avidamente esplorato in anni recenti; di
fatto, molti non saranno
mai persuasi che potrebbero esserci stati misteri senza droghe.
La prospettiva cristiana pone però la questione se vi fosse qualcosa di
corrispondente all'eucarestia,
una qualche forma di comunione o sacramento, nei misteri pagani.
Giustino
riferisce che nei misteri di Mitra pane e una tazza di acqua furono
introdotti ad imitazione della pratica cristiana;
non sappiamo nulla della posizione o funzione di questo dettaglio nel complesso
delle settemplici
iniziazioni e riunioni. Il momento in cui si beveva il kykeon, una specie di
zuppa d'orzo, era un evento
importante nei misteri eleusini; esso segnava la fine del digiuno e
rappresentava la forma
aborigena di una dieta a base di cereali che venne in uso dopo la fine del
«cannibalismo». Ancora
una volta, ignoriamo quale fosse la posizione di questo atto nell'ambito delle
cerimonie. Nei misteri
bacchici la felicità in persona, makaria, era presentata all'iniziato sotto
forma di una torta, proprio
come Hygieia, la «Salute», poteva essere mangiata nel culto di Asclepio. Il
motivo del «mangiare
il dio» che ha particolarmente affascinato gli osservatori cristiani, è
esplicito in un'unica celebre
versione del mito di Dioniso in cui i Titani, gli antenati dell'uomo,
assaggiarono la loro vittima divina,
che avevano ucciso, cotto, e arrostito. Uno scolio a
Clemente di Alessandria
stabilisce una
connessione con il più comunemente descritto rito dionisiaco di «mangiar carne
cruda», omophagia,
ma l'incompatibilità fra crudo e cotto fu notata già prima di Lévi-Strauss.
La bevuta sacramentale
di vino in corrispondenza con miti di morrte e smembramento può essere
congetturata a partire dal
rito delle Antesterie attiche, ma questi erano riti pubblici, non misteri. Un
motivo ricorrente nelle
voci intorno a cerimonie segrete e «indicibili» è il sospetto di cannibalismo,
il più orribile crimine
comune che unisce strani partecipanti. Questo sospetto fu rivolto contro ebrei e
cristiani; colpì santuari
di Mitra e di Ma Bellona; ed è abilmente svolto in una scena del romanzo di
Lolliano. Se
anche scene del genere erano più che fantasie, esse non equivalevano a «mangiare
il dio».
È probabilmente preferibile cercare un retroterra più generale a queste forme
reali, simboliche e
fantastiche della festa comune. L'istituzione aborigena del sacrificio animale,
con l'inevitabile antinomia
dell'uccidere e del mangiare - la vita che presuppone la morte e sorge dal suo
opposto - è
drammatizzata col rappresentare antitesi di rinuncia e appagamento, lutto e
gioia, ricerca e ritrovamento,
digiuno e banchetto. I misteri partecipano evidentemente di questo ritmo più
generale. Tra
le iscrizioni trovate nel
Mitreo di santa Prisca a Roma, un esametro non
interamente preservato è insolitamente
suggestivo, ed è diventato famoso: «Tu ci hai salvati... versando il sangue» (et
nos servasti...sanguine fuso). La parola al centro non può essere decifrata con certezza;
eternali, «eterno», è stato letto e poi rigettato. Ma troviamo pur sempre il concetto della
salvezza attraverso l'uccisione,
certamente riferito al dio che abbatte il toro, e questo dà senso a vari
livelli. Fu «salvezza»
per la razza umana volgersi alla caccia degli animali di grandi dimensioni, in
un ambiente ecologico
in mutamento; fu «salvezza» sostituire la coltivazione dei cereali alla caccia
in uno stadio successivo,
come è rappresentato nella trasformazione della coda del toro in grano. L'atto
del dio è dunque
l'immagine fondamentale della salvezza in quanto tale, prefigurante le speranze
degli individui integrati
in questo culto, rivolte al presente come anche al futuro. Questo concetto è
tanto primitivo
quanto fondamentale, e non è facilmente superabile mediante la
spiritualizzazione.
È vero però che dai misteri ci si attendeva una qualità speciale di esperienza,
di là dallo schema
sacrificale comune.
Un vero e proprio cambiamento di coscienza nell'estasi è tipico di due divinità principali dei misteri, Dioniso e Meter; essi appaiono spesso insieme sotto questo aspetto. La «follia» è un tratto distintivo dei bakcheia in senso pieno, ed i devoti alla Madre Frigia diventano entheoi o theophoretoi, «trasportati dalla divinità», specialmente sotto l'effetto di certi tipi di musica. Questa tuttavia non è la stessa cosa che il rito misterico in generale. Il detto ben noto secondo cui «molti sono quelli che portano il narthex, ma pochi sono bakchoi» sembra riferirsi proprio a questo, che «essere presi dal dio» è un evento che capiterà in maniera imprevedibile, e probabilmente soltanto ad alcuni individui speciali. Ci sono doni medianici che sono di là dalla portata di molti. Anche la droga più comune, spesso identificata con Dioniso, il vino, non basta a indurre veri bakcheia: chiunque può ubriacarsi, ma non tutti sono bakchoi. Anche qui ci sono naturalmente determinate tecniche per controllare l'esperienza. «Come estatici bacchici o coribantici», scrive Filone, «[i Terapeuti] persistono nella loro possessione fintantoché vedano l'oggetto del loro desiderio». Questo descrive la ricerca di una visione, sia essa illusione o realtà, e suggerisce che qualcosa di simile accada a Baccanti e Coribanti. Plutarco si dice convinto che fantasmi, daimones, prendano parte alle celebrazioni misteriche. Abbiamo persino una descrizione clinica dell'estasi nel culto di Meter, vista da un medico: i galloi «sono eccitati dalla musica del flauto e dalla contentezza del cuore (thymedie), o dall'ubriachezza, o dall'istigazione dei presenti » - un'interessante osservazione dell'interdipendenza fra celebranti e spettatori. «Questa follia è possessione divina. Quando la loro condizione di follia ha fine, essi sono di buon umore, liberi da dolore, come se fossero consacrati dall'iniziazione al dio». Più semplice è il resoconto che il musicologo Aristide Quintiliano dà dell'iniziazione bacchica; egli segue fino a un certo punto il concetto aristotelico di katharsis: «È questo il fine dell'iniziazione bacchica, che l'ansia depressiva (ptoiesis) della gente meno istruita, prodotta dalle condizioni della loro vita o da qualche disgrazia, venga eliminata mediante le melodie e le danze del rito in maniera gioiosa e gaia». Si tratta dunque di una forma di psicoterapia che sarebbe compatibile perfino con le più recenti tendenze odierne. Il riferimento condiscendente ai «non istruiti» è indicativo di una dimensione sociale che non si trova spesso in evidenza. Ancor più disapprovante, e con la presunzione di essere realistica, è la spiegazione fornita da Livio per l'estasi e i miracoli sperimentati ai Bacchanalia: era solo la mancanza di sonno, scrive, e il vino e i suoni della musica e le grida per tutta la notte, a stordire la gente. Questa è una collezione di stimoli che qualsiasi razionalista sottoscriverebbe. Ma questa interpretazione chiude le porte del segreto, piuttosto che rivelarlo. Nessuna estasi in senso pieno può attribuirsi ad Eleusi, ed ancor meno al culto di Iside o Mitra. Pensare al misticismo in senso proprio sarebbe un fraintendimento tanto quanto accettare l'ipotesi delle droghe. Ci resta un passo notevole di Proclo, capo dell'Accademia nel quinto secolo d.C. Eleusi era stata distrutta circa quindici anni prima della sua nascita, e ai suoi tempi il sacrificio pagano era proibito dalla legge; eppure, egli conosceva la figlia di Nestorio, lo ierofante di Eleusi, e la ammirava come una custode delle più sacre tradizioni. Perciò quello che scrive sui misteri deve essere preso sul serio, in quanto contiene una tradizione autentica. Proclo scrive sulle teletai quanto segue: «Provocano consonanza delle anime con il rito (dromena) in una maniera a noi incomprensibile, e divina, di modo che alcuni degli iniziandi sono presi dal panico, colmi come sono di divino orrore; altri si assimilano ai simboli sacri, abbandonano la loro identità, acquistano familiarità con gli dèi, e sperimentano la possessione divina». Il fatto stesso che le reazioni qui descritte non siano uniformi ma varino dalla perplessità all'esaltazione indica che questo non è un ragionamento liberamente ipotetico fondato su postulati, ma una descrizione di quello che si è osservato; sympatheia di anime e riti, una qualche forma di risonanza che non si verifica in ogni caso ma che, una volta accaduta, scuoterà profondamente, sconvolgerà, perfino, i costrutti della realtà. Poiché ignoriamo il rito e siamo incapaci di riprodurlo, noi non siamo in grado di ricreare questa esperienza, ma possiamo riconoscere che essa esisteva. C'era una possibilità di «unirsi al thiasos con l'anima», thiaseuesthai psychan, e questo significava felicità. I misteri erano troppo fragili per sopravvivere come «religioni» autonome. Essi erano opzioni entro la molteplicità del politeismo pagano, e scomparvero con esso. Resta uno strano fascino perfino nelle immagini sfuggenti e nelle ipotesi su suggestivi frammenti: il buio e la luce, l'agonia e l'estasi, il vino, la spiga di grano. I logoi rimasero approssimativi, senza attingere al livello di sistema o di credo. Bastava sapere che esistevano porte per accedere ad un segreto, e che queste potevano aprirsi per coloro che in serietà lo cercavano. Ciò significava che c'era una possibilità di evadere dalle vie chiuse e sterili di un'esistenza prevedibile. Speranze simili erano tentativi di creare un contesto di senso in un mondo banale, deprimente, e spesso assurdo, procurando l'esperienza di un vasto ritmo in cui le risonanze della psiche individuale potevano essere integrate attraverso uno stupefacente evento di sympatheia.
Antichi Culti Misterici - L'Esperienza Straordinaria - Studio Completo
Parte II
Albert Hofmann
I Misteri di Eleusi
«Felice colui, tra
gli uomini viventi sulla terra, che ha visto queste cose! Chi invece non è stato
iniziato ai
sacri misteri, chi non ha avuto questa sorte non avrà mai un uguale destino, da
morto, nelle umide tenebre marcescenti di laggiù.»
Così recita la lode nella poesia epica che va sotto il nome di Inno Omerico. I Misteri a cui si allude sono quelli di Eleusi. Erano questi i più importanti Misteri dell’antichità, che per circa 2000 anni (approssimativamente, dal 1500 a.C. al IV secolo d.C.) venivano festeggiati a Eleusi, in Grecia, in onore della dea Demetra e di sua figlia Persefone. La storia che ha condotto alla fondazione del santuario di Eleusi è narrata dettagliatamente nell’Inno omerico, del quale non conosciamo né l’autore né il luogo d’origine. Il periodo della sua scrittura dovrebbe coincidere con la fine del VII secolo prima di Cristo.
Persefone, figlia di Zeus e di Demetra, stava un giorno raccogliendo dei fiori quando Ade, dio degli inferi, la rapì. Invano ella cercò sua madre, che alla fine venne a sapere da Elio del rapimento della figlia. Demetra rimase profondamente afflitta dall’atteggiamento distaccato dell’Olimpo, anche perché aveva appreso che Zeus, suo marito, non condannava il rapimento. Sotto le spoglie di una semplice donna che ami intrattenersi con i suoi ospiti, Demetra trovò deliziosa accoglienza presso il palazzo di Celeo, re di Eleusi, e di sua moglie Metanira. Dopo aver rivelato la propria natura divina, in ringraziamento dell’ospitalità Demetra fondò un tempio a Eleusi. Per punire poi gli dèi dell’Olimpo responsabili del ratto di sua figlia, fece morire tutte le piante della terra, per cui l’umanità fu minacciata di estinzione. Gli dèi temettero di perdere l’adorazione e le offerte degli uomini e pregarono Demetra di rendere la terra di nuovo feconda. La dea avrebbe ubbidito a questa supplica solo quando Zeus avesse ordinato a suo fratello Ade di restituire Persefone a sua madre. Così egli fece. Madre e figlia ritornarono all’Olimpo, con la condizione che Persefone di volta in volta dovesse far ritorno, per un terzo dell’anno, negli inferi da suo marito. Sulla terra sarebbe allora comparso l’inverno, poi per il resto dell’anno, con la riapparizione di Persefone in primavera, il mondo vegetale si sarebbe risvegliato a nuova fioritura e avrebbe elargito i suoi frutti. Prima di ritornare sull’Olimpo dagli altri dèi; Demetra offrì al re di Eleusi, Celeo, e a Trittolemo le istruzioni sul modo di eseguire i riti in suo onore nel tempio a lei consacrato. Si trattava di prescrizioni e misteri segreti che dovevano essere rispettati rigorosamente e la cui comunicazione e violazione sarebbero state punite con la morte. In ringraziamento del buon esito del dramma di Eleusi, Demetra regalò al primo iniziato di Eleusi, Trittolemo, una spiga di grano con l’incarico di insegnare agli uomini l’agricoltura.
Il culto di Demetra e Persefone a Eleusi, che forse all’inizio rivestì solo
un’importanza locale, divenne ben presto un aspetto significativo della vita
politica in Atene, per svilupparsi in seguito fino a comprendere lo Stato
panellenico e acquisire al tempo dell’Impero romano un valore universale. Già
nell’anno 760 a.C., in occasione della V Olimpiade, si evidenziò il carattere
dello Stato panellenico, quando tutti i Greci esortarono l’Oracolo
di Delfi, con offerte comuni in onore di Demetra eleusina, a porre rimedio a
una carestia che aveva colpito il paese. Che tipo di messaggio era quello
annunciato a Eleusi, che fece di questo culto il più influente e importante
mistero spirituale dell’antichità? A questa domanda non si può rispondere
dettagliatamente, poiché non è mai stato possibile sollevare nel corso dei
millenni il velo arcano frapposto dalla severa regola della segretezza. Possiamo
solo farci un’idea delle caratteristiche e del significato spirituale che
l’insegnamento eleusino rivestiva per ogni singolo individuo, sulla base delle
testimonianze dei grandi iniziati. A Eleusi non veniva annunciata una vera e
propria nuova religione rivolta a una cerchia ristretta, poiché gli iniziati,
una volta ritornati dai Misteri nei loro luoghi nativi, rimanevano fedeli al
culto della religione locale. Doveva trattarsi piuttosto di rivelazioni circa la
natura dell’esistenza umana, circa il significato della vita e della morte, che
gli iniziati là ricevevano.
Siamo a conoscenza delle preghiere che i mistici, gli iniziati rivolgevano alla
dea della memoria, Mnemosyne, affinché questa potesse risvegliare e mantener
vivo il ricordo della sacra visione, che una volta impresso nelle loro vite
avrebbe potuto trasformarle radicalmente. La partecipazione ai Misteri
rappresentava un’esperienza il cui carattere straordinario era da ricercare in
una modificazione nell’anima dell’iniziato piuttosto che in un evento esteriore.
Ciò traspare dalle testimonianze di celebri iniziati.
Così si esprime Pindaro a proposito della visione eleusina: «Felice chi entra sotto la terra dopo aver visto quelle cose. Conosce la fine della vita, conosce anche il principio dato da Zeus». Cicerone descrive allo stesso modo lo splendore che illuminò la sua vita dopo l’esperienza di Eleusi: «Abbiamo conosciuto i princìpi della vita, e abbiamo ricevuto la dottrina del vivere non solo con letizia, ma anche con una speranza migliore nella morte».
Evidentemente, nella visione delle affinità tra la vita e la morte, gli iniziati esperivano la totalità dell’essere e l’eterno fondamento della creazione. Doveva essere stato un incontro con l’indicibile, con il sublime, rappresentabile solo metaforicamente. È sorprendente come l’esperienza eleusina venga sempre descritta in termini antitetici: oscurità e luce, terrore e beatitudine. Questa ambivalenza viene espressa anche in altre testimonianze, come in quella di Elio Aristide, dove Eleusi rappresenta «nel contempo il più atroce e più luminoso di tutto ciò che è per l’uomo sublime». L’imperatore Marco Aurelio indica tra i doni che gli dèi elargiscono agli uomini anche i Misteri. Per quanto ci riguarda, sappiamo poco del significato della visione che là veniva procurata. Il momento centrale del rituale coincideva con un’esperienza illuminante.
Gli eventi che conducevano al santuario interno, al telesterion, dove si svolgeva la parte decisiva del culto, sono documentati dettagliatamente: in primavera, nel mese dei fiori anthesterion, ad Atene si svolgevano i cosiddetti piccoli Misteri preparatori; poi in autunno, nel mese di boedromion, che corrispondeva alla fine di settembre-inizio di ottobre, sempre in Atene, avevano luogo le celebrazioni dei veri e propri grandi Misteri. Dopo quattro giorni di riti e festività, il quinto giorno un fastoso corteo celebrativo si incamminava in direzione di Eleusi percorrendo circa 14 miglia. Durante la processione, venivano compiuti rituali, sacrifici e cerimonie di purificazione che avevano luogo in pubblico e di conseguenza sono stati tramandati con tutti i particolari. Il sesto giorno veniva trascorso a Eleusi, nei dintorni e nelle località esterne al santuario, con offerte, celebrazioni e digiuni purificatori. Anche di questo è stato riferito con dovizia di dettagli. Ma quello che accadeva di notte, all’apogeo delle feste eleusine, all’interno del santuario, il telesterion, a cui avevano accesso solo i sacerdoti e gli iniziati, è rimasto fondamentalmente un segreto. La regola della segretezza non è mai stata infranta.
Quello che sappiamo tuttavia, e qui mi ricollego al tema di particolare
rilevanza della mia presentazione,
è che prima dell’apogeo della consacrazione, prima della visione illuminante,
agli iniziati veniva
somministrata una bevanda sacra, il
kykeon. È stato anche riferito che tale
bevanda veniva preparata con
orzo e menta. Di recente, gli studiosi hanno formulato l’ipotesi secondo cui il
kykeon doveva contenere una
sostanza attiva allucinogena. Questo spiegherebbe perché ai sacerdoti fosse
possibile condurre centinaia di
iniziati, contemporaneamente e in maniera programmata, per così dire, verso una
condizione estatico-visionaria.
Con ciò il problema del kykeon diverrebbe un aspetto essenziale dei segreti di
Eleusi. La visione
poteva essere provocata soltanto attraverso rituali a noi sconosciuti? Oppure al
kykeon veniva aggiunto un
estratto vegetale che induceva
l’estasi mistica?
Ma con ciò è chiamato in causa anche un problema attuale del nostro tempo che
riguarda la sostenibilità,
dal punto di vista teoretico, etico e religioso, dell’impiego delle sostanze che
modificano la coscienza per
conseguire nuove visioni spirituali della realtà. Prima di affrontare questo
quesito, ritorniamo al problema
del kykeon. Se la bevanda conteneva una sostanza attiva allucinogena, si
presenta adesso l’interrogativo sul genere di allucinogeno impiegato.
L’indagine sull’eventuale sostanza allucinogena presente nel kykeon, che
condussi insieme a Gordon
Wasson e a Carl Ruck, professore di etnobotanica della mitologia greca presso
l’Università di Harvard,
rivelò degli interessanti e possibili parallelismi tra i culti misterici di
Eleusi e le tuttora esistenti cerimonie
magiche degli indiani delle regioni isolate del Messico meridionale. Nei siti
mazatechi e zapotechi, nelle
montagne a sud del Messico, ancora oggi, dopo migliaia di anni, gli
uomini-medicina e gli sciamani
impiegano nelle loro pratiche magico-religiose e all’interno di un contesto
sacro una bevanda allucinogena
che viene preparata dai semi di due note specie di convolvolo, la turbina
corymbosa e l’ipomea violacea. Nei
laboratori di ricerca chimico-farmacologica della Sandoz, a Basilea, esaminammo
i principi attivi di questa
droga, conosciuta come ololiuhqui. Si trattava degli alcaloidi dell’amide
dell’acido lisergico e della
idrossietilamide dell’acido lisergico, parenti molto stretti della dietilamide
dell’acido lisergico, designazione
chimica dell’LSD ricavato dalla segale cornuta.
Per segale cornuta si definiscono le escrescenze parassitarie del fungo Claviceps che cresce nel grano e
anche nelle erbe selvatiche come il Paspalum. I sacerdoti
di Eleusi dovevano soltanto
raccogliere la segale cornuta dell’erba paspali, che di sicuro esisteva in
abbondanza nelle vicinanze del
santuario, farne una polvere e aggiungerla al kykeon per conferirgli il potere
di modificare la coscienza. Un
ulteriore collegamento della segale cornuta con Eleusi potrebbe essere visto
anche nel fatto che uno dei riti
eleusini consisteva nel mostrare una spiga di grano per mano dei sacerdoti.
Questo rituale è stato messo in
relazione al ciclo del chicco d’orzo, che immerso dentro la terra muore per dare
vita a una nuova pianta che
in primavera si erge di nuovo verso la luce, simbolo dell’alternarsi annuale di
Persefone tra l’oscurità degli
inferi e la luce dell’Olimpo, e simbolo anche della continuità della vita
nell’avvicendarsi della morte e della
rinascita.
Se è vero che nel kykeon era presente una sostanza che alterava la coscienza,
simile all’LSD, l’attualità
dei Misteri di Eleusi non consiste soltanto nell’appagare un bisogno spirituale
ed esistenziale rimasto
inalterato, ma anche nell’impiego eventuale, benché controverso, dei princìpi
attivi che concorrono a
provocare una visione mistica all’interno del mistero della vita, per soddisfare
un siffatto bisogno.
Nella seconda parte della mia presentazione vorrei soffermarmi sulle seguenti
domande:
a) Qual era la funzione storico-spirituale dei Misteri eleusini nell’antichità
greca?
b) Perché e fino a che punto essi possono fungere da modello per il nostro
tempo?
La grande importanza e la lunga durata dei Misteri palesano il fatto che essi
venivano incontro a un
profondo bisogno psichico e a un forte desiderio spirituale.
Nietzsche sosteneva
che ciò che caratterizzava la
mente greca fin dalle sue origini era la coscienza scissa della realtà. La
Grecia fu la culla di una visione del
mondo in cui l’Io si sentiva separato dall’ambiente esterno. Qui, ben prima che
in altre aree culturali, venne
a formarsi il distacco tra individuo e mondo. Questo dualismo, che il medico e
scrittore tedesco
Gottfried
Benn ha descritto come il destino nevrotico europeo, ha caratterizzato poi in
maniera decisiva la storia
intellettuale europea e tutt’oggi svolge un ruolo determinante.
Un Io che vede il mondo come esterno a sé, come oggetto, questa coscienza che fa
della realtà un dato
esterno, fu il presupposto della nascita delle scienze naturali occidentali. Già
nelle prime opere del pensiero
scientifico, nelle teorie cosmologiche dei filosofi presocratici greci, era
all’opera questa visione oggettivante
della realtà. La posizione dell’uomo di fronte alla natura, che rese possibile
un forte dominio sulla stessa, fu
poi formulata chiaramente e fondata filosoficamente per la prima volta da
Cartesio nel XVII secolo. Da
allora in Europa si è diffuso un tipo di indagine sulla natura tendente
all’oggettivazione e alla misurazione,
che ha permesso di formulare le leggi fisiche e chimiche della struttura del
mondo materiale. Queste
conoscenze hanno reso possibile uno sfruttamento precedentemente inimmaginabile
della natura e delle sue
forze. Da ciò è conseguito l’attuale sviluppo mondiale della tecnologia e
dell’industrializzazione in quasi
tutti gli aspetti dell’esistenza, offrendo a una parte dell’umanità comodità e
benessere inaspettati. Allo stesso
tempo però si dava l’avvio alla distruzione sistematica dell’ambiente naturale,
che oggi ha condotto a una
crisi ecologica mondiale.
Ancora più gravi di quelli materiali sono i danni spirituali dello sviluppo della visione materialistica del mondo. L’individuo ha perduto il nesso con il fondamento spirituale e divino che unisce tutti gli esseri. Non protetto, insicuro e isolato, l’uomo fronteggia da solo un ambiente esanime, materiale, caotico, minaccioso. Il germe di questa visione dualistica della realtà, che ha prodotto effetti tanto catastrofici nella nostra epoca, come rilevato in precedenza, era già stato gettato nell’antichità greca. Il genio greco ricercava la guarigione mentre plasmava il mondo materiale e visibile, il mondo caro ad Apollo, seguendo i canoni della massima bellezza; questa immagine variopinta, sensuale e apollinea, ma al contempo dolorosa, della realtà, si completava con l’esperienza dionisiaca della stessa, in cui la separazione tra soggetto e oggetto veniva annullata nell’ebbrezza estatica. A proposito di quest’ultima, Nietzsche scrive nella nascita della tragedia: «O per l’influsso delle bevande narcotiche, cantate da tutti gli uomini e dai popoli primitivi, o per il poderoso avvicinarsi della primavera, che penetra gioiosamente tutta la natura, si destano quegli impulsi dionisiaci, nella cui esaltazione l’elemento soggettivo svanisce in un completo oblio di sé [...] sotto l’incantesimo del dionisiaco non solo si restringe il legame fra uomo e uomo, ma anche la natura estraniata, ostile o soggiogata celebra di nuovo la sua festa di riconciliazione col suo figlio perduto, l’uomo».
I Misteri di Eleusi erano intimamente legati ai festeggiamenti e alle
celebrazioni in onore di Dioniso. Essi
conducevano in modo decisivo alla guarigione e al superamento della scissione
tra uomo e natura, e
possiamo anche dire all’annullamento della separazione tra creatore e creatura:
era questo in realtà il grande
compito dei Misteri. La loro importanza storica e culturale, la loro influenza
sulla storia della civiltà
europea, possono essere difficilmente sopravvalutate. Qui l’uomo separato e
sofferente a causa del suo
spirito razionale e oggettivante trovava la guarigione nell’esperienza mistica
della totalità e questo era per
lui motivo di credenza nell’immortalità di un essere eterno.
Questa convinzione ha continuato a vivere nel primo Cristianesimo, anche se con
altri simboli. La si
trova come promessa persino in alcuni passi significativi dei Vangeli,
soprattutto nel Vangelo secondo
Giovanni, nel capitolo 14: 16-20. Gesù dice ai suoi discepoli mentre si congeda
da loro: «Io pregherò il
Padre ed Egli vi darà un altro avvocato che starà sempre con voi, “lo Spirito
della Verità” [...] In quel giorno
conoscerete che Io vivo unito al Padre e voi siete uniti a me e Io a voi».
Il Cristianesimo chiesastico, sorto dal dualismo creatore-creatura, ha tuttavia
cancellato, con la sua
religiosità estranea alla natura, il legato eleusino-dionisiaco dell’antichità.
Nell’ambito della fede cristiana
soltanto singoli individui dalle doti eccelse possono pervenire, durante
esperienze visionarie spontanee, a
una verità appresa, eterna e consolante, mentre nell’antichità ad essa aveva
accesso un numero elevato di
individui attraverso l’iniziazione eleusina. L’unio mystica dei santi cattolici
e le visioni sublimi che gli
esponenti della mistica cristiana come Jakob Boehme,
Meister Eckhart, Angelo
Silenio, Teresa d’Avila,
Giovanni della Croce,
William Blake e altri descrivono nelle loro opere sono
evidentemente affini nella loro
essenza all’ispirazione ricevuta dagli iniziati ai Misteri eleusini.
Il valore fondamentale dell’esperienza mistica dell’unità per la guarigione di
un’umanità ammalata di
visione parziale e materialistica del mondo non viene affermato solo dai seguaci
dei movimenti religiosi
orientali, come il
buddismo Zen, ma anche da alcuni esponenti di primo piano
della psicologia e della
psichiatria. È molto importante, a questo punto, che non solo gli ambienti
medici ma anche quelli
ecclesiastici della nostra società vedano nel superamento della visione
dualistica del mondo il presupposto e
il fondamento della guarigione e del rinnovamento spirituale della civiltà e
della cultura occidentali.
La Chiesa ufficiale cristiana, i cui dogmi rispondono a un dichiarato concetto
dualistico di realtà, non è
in grado di offrire alcun contributo per un siffatto rinnovamento. Attualmente
solo le associazioni e i gruppi
privati cercano di rispondere al bisogno e alla nostalgia di una consapevolezza
piena e totale del mondo.
Seminari e corsi di tutti i tipi, dallo yoga alla meditazione, alle tecniche di
introspezione, vengono offerti in
gran numero, allo scopo di modificare o espandere gli stati di coscienza. Dalla
psichiatria e psicologia
accademiche, che tuttora operano ampiamente sulla base di un concetto dualistico
della realtà, è nata come
nuovo indirizzo la psicologia transpersonale. Con questa si cerca, impiegando
metodologie diverse, di
sollecitare l’individuo a percepire la realtà in modo totale e diretto, come
presupposto indispensabile al
processo di guarigione. Ci sono poi anche coloro che, in piena solitudine, si
inoltrano attraverso la
meditazione verso i livelli profondi della propria coscienza, per ricercare
sicurezza e protezione. Non è un
caso che all’interno di questi gruppi vengano utilizzate alcune droghe in
funzione di aiuti farmacologici per
produrre stati alterati di coscienza, e sicuramente si tratta degli stessi tipi
di sostanza che abbiamo ipotizzato
essere stati impiegati a Eleusi e di cui tuttora fanno uso alcune popolazioni
indiane. Sono psicofarmaci della
classe degli allucinogeni, chiamati anche psichedelici o enteogeni, di cui l’LSD
rappresenta il più
importante affiliato. Questo genere di princìpi attivi psicotropi si differenzia
dal gruppo degli oppiacei,
come la morfina e l’eroina, e dagli stimolanti come la cocaina; diversamente da
questi, essi non danno
dipendenza e agiscono in modo peculiare sulla coscienza.
Fra tutte queste sostanze, l’LSD ha svolto un ruolo importante all’interno del
movimento hippy, un
movimento che si rivolgeva contro la guerra e il materialismo, e i cui membri
aspiravano ad allargare la
propria coscienza.
Questa classe di droghe, comunque le si voglia definire – allucinogene,
psichedeliche o enteogene –, può
realmente provocare, date certe condizioni esterne e interne, una totale
esperienza mistica simile all’unio
mystica. Questo effetto fu utilizzato anche dalla psichiatria accademica, prima
che l’impiego di queste
sostanze venisse proibito in tutto il mondo, allo scopo di sostenere il
trattamento psicoanalitico e
psicoterapeutico dal lato farmacologico.
Presupposto per un uso sensato e uno svolgimento psichico proficuo di queste
sostanze attive, che
possiamo ben definire sacre, è l’ambiente esterno e la preparazione spirituale
dello sperimentatore. Gli
indiani credono che se l’ololiuhqui, una droga affine all’LSD, viene assunta da
un individuo non purificato,
cioè da chi non si sia preparato alla cerimonia con il digiuno e le invocazioni,
essa lo renderà pazzo o
addirittura lo ucciderà. Questo impiego saggio, che si basa su una pratica
millenaria, non è stato purtroppo
sempre osservato nella nostra società. Di conseguenza, si sono verificati casi
di crollo psicotico e incidenti
gravi. Tutto ciò ha provocato, negli anni ’60, il divieto di usare questa classe
di sostanze anche nella
psichiatria accademica.
A Eleusi, dove la preparazione e le cerimonie preliminari erano curate in modo
ottimale, e altrettanto
presso gli indiani, dove l’uso viene regolato e controllato dallo sciamano,
questo tipo di sostanze ha avuto
un impiego saggio e ricco di benefici. Anche sotto questo aspetto, Eleusi e gli
stessi indiani potrebbero
fungere da modello per la nostra società.
Per concludere, dobbiamo ancora porci la domanda fondamentale: perché a Eleusi veniva molto probabilmente impiegato, come tutt’oggi avviene presso determinati gruppi indiani, in ambito religiosocerimoniale, questo tipo di droghe? e perché una simile applicazione è difficilmente concepibile all’interno della funzione religiosa cristiana? Il fatto è che durante la messa cristiana si venera una potenza divina che troneggia in cielo, cioè una potenza al di fuori dell’individuo. A Eleusi, al contrario, si aspirava a una visione profonda del fenomeno dell’essere, a una trasformazione dall’interno del singolo individuo, che faceva di questi un iniziato, un “epòpte”. Ancora oggi si pone lo stesso problema della trasformazione di ciascun individuo. Il cambiamento necessario in direzione di una consapevolezza totale, come condizione per il superamento del materialismo e per un nuovo rapporto con la natura, non può essere delegato alla società o allo Stato; il cambiamento deve e può aver luogo soltanto dentro ciascun essere umano. Una siffatta trasformazione può senza dubbio avvenire anche senza impiego di droghe, spontaneamente nel caso di soggetti particolarmente privilegiati, oppure in conseguenza di determinati tipi di meditazione. La facoltà di avere esperienze mistiche risiede in ogni individuo. Essa fa parte della natura spirituale degli esseri umani. È indipendente dai ruoli sociali e dalle caratteristiche esterne individuali. È per questo che a Eleusi potevano essere iniziati uomini e donne, liberi e schiavi, indistintamente.
Sul modello eleusino si potrebbero istituire centri in grado di riunire e rafforzare le molteplici correnti spirituali del nostro tempo che mirano allo stesso traguardo, consistente nel creare i presupposti, tramite una trasformazione di coscienza in ogni singolo individuo, per un mondo migliore senza guerre né catastrofi ambientali, per un mondo abitato da uomini più felici.
Albert Hofmann I Misteri di Eleusi
- File Completo
Home - Messaggi - Maestri - Autori - Arcana Arcanorum - Corpus Magiae - Biblioteca - Dossier - Napoli - Religioni - Luoghi - Vitriol - Miscellanea - Filmati