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Massimiliano Savelli Palombara
ricerche a cura del dott. Braco Luigi
Nacque a Roma il 14 dicembre 1614 da Oddo V
marchese di Pietraforte e da Laura Ceuli.
Non si hanno notizie sulla sua formazione. Della vita pubblica si sa che ricoprì
la carica di conservatore in Campidoglio per due volte, nel 1651 e nel 1677.
Nel 1648 fu protagonista di alcune disavventure: «recatosi per venturiero
nell’esercito francese che si trovava in Abruzzo, con lettere false fu messo in
sospetto de’ francesi che lo fecero prigione e lo trattavano malamente.
Scopertasi la verità lo licenziarono» (Morelli, 1982, p. 152 s.). Tornando a
Roma, fu catturato nella località di Borghetto dal brigante Giulio Pezzola,
capitano degli spagnoli, che lo tenne «in cattivissima prigione e lo fece
maltrattare» (ibid.); poi, ottenuto il riscatto, lo trasferì nella fortezza di
Pescara, da dove Palombara riuscì a fuggire e tornare a Roma dopo altre
peripezie.
Fu devoto gentiluomo di
Cristina di Svezia fin dal primo soggiorno romano della
regina nel 1655-56. Nel testamento, redatto il 26 marzo 1680, lasciò scritto
che, nel caso alla sua morte i figli non fossero ancora maggiorenni, supplicava
«la maestà della Regina di Svezia mia benignissima Signora e Padrona a degnarsi
continuare la protezione della mia casa e descendenza, et avere particolare
protezione di mia moglie, e de’ figlioli piccoli, sperando per la servitù
prestata alla Maestà sua di ottenere questa grazia» (Roma, Arch. Massimo, Prot.
I, 1). La salda e durevole relazione con la regina era dovuta alla comune
passione per l’alchimia. Palombara disponeva di un «laboratorio, nel pianterreno
di un suo Casino» sull’Esquilino (Cancellieri, 1806, p. 43), mentre la sovrana
ne aveva allestito uno in palazzo Riario, condotto dall’alchimista bolognese
Pietro Antonio Bandiera. Il rapporto è documentato anche dai manoscritti di
poesie alchemiche di Palombara posseduti dalla regina e oggi custoditi presso la
Biblioteca apostolica Vaticana. La frequentazione di Cristina fu occasione di
incontri importanti per le sue ricerche sulla creazione artificiale dell’oro,
così come per la sua produzione lirica. Assidui della corte della sovrana erano
infatti scienziati, artisti e letterati, personaggi come il gesuita
Atanasio
Kircher, autore di pagine sull’antica alchimia egizia, e due famosi alchimisti,
il medico e mistico milanese Giuseppe Francesco Borri e il poeta pesarese
Francesco Maria Santinelli,
nominato da Cristina cameriere maggiore.
Tra le relazioni di Palombara fu anche quella con un non meglio identificato
poeta dal nome anagrammato di Lesbio Lintuatici, vicino agli ambienti della
compagnia teatrale dei Confederati (Raccolta di poesie volgari, e latine in
vita, e morte della signora Eularia de’ Bianchi comica Confederata, Padova
[1628], p. 43). A costui, «suo caro amico», Palombara scrive di avere confidato
su ispirazione divina e «per la sua bontà di vita e modestia» quanto sapeva
della «professione del lapis»; riporta inoltre un sonetto di Lesbio sulle
qualità della pietra filosofale (La Bugia 1656, cc. 89r-v; Arch. Massimo, Prot.
35, c. 46r).
Prospero Mandosio (1692, p. 247) descrive Palombara come dotato di non comune
ingegno e versato nelle lettere, specialmente nella poesia. Fecondo
verseggiatore, di notevole erudizione, compose in italiano e latino,
evidenziando una vena bucolica così come una singolare capacità di inventare
giochi di parole, anagrammi ed enigmi in versi. Coltivò interessi lessicali ed
etimologici che, come documentano alcune sue annotazioni, spaziavano dallo
studio delle opere del lessicografo e grammatico cinquecentesco Francesco Alunno
(Francesco Del Bailo) alla lingua artificiosa dell’Hypnerotomachia Poliphili di
Francesco Colonna, edita nel 1499. Scrisse poesie di contenuto amoroso e faceto,
ma soprattutto alchemico e filosofico-ermetico, rimaste manoscritte («asservantur
mss. apud heredes», Mandosio, ibid.), salvo qualche raro caso, come un sonetto
in Scelta di poesie nell’incendio del Vesuvio fatta dal signor Urbano Giorgi
(Roma 1632, p. 64).
La fortuna e la fama di Palombara si devono però alle sue imprese alchemiche e
in particolare alle scritte e ai simboli misteriosi che egli fece scolpire nel
1680 su alcune epigrafi, perdute, che ornavano la sua villa sull’Esquilino
(talune ancora in loco fino ai primi decenni dell’Ottocento) e sulla cosiddetta
Porta Magica, situata oggi nell'angolo settentrionale dei giardini di piazza
Vittorio Emanuele II.
La Porta Magica di Roma
La collocazione originaria del monumento è incerta. Le testimonianze
ottocentesche, anche fotografiche, la vogliono addossata al muro di cinta della
villa, di fronte alla chiesa di S. Eusebio, lungo la via che conduceva da S.
Maria Maggiore a S. Giovanni in Laterano. Tuttavia, il simbolismo alchemico e
iniziatico che la impronta e la riservatezza in merito più volte affermata dal
medesimo Palombara ne suggerirebbero una primitiva posizione più discreta,
probabilmente nei giardini della villa e non su una pubblica strada. Nel 1873,
nell'ambito della sistemazione urbanistica postunitaria della capitale, la Porta
fu smontata e ricostruita nel 1888 all'interno dei giardini della piazza, su un
vecchio muro perimetrale di S. Eusebio.
Alcune delle epigrafi, le poesie e altri scritti di Palombara magnificano gli horti della villa, descrivendoli come un locus amoenus, propiziatore di benessere materiale e spirituale, e ricettacolo del mitico vello d’oro di Giasone. Così recitava un’epigrafe posta su uno dei portoni esterni della villa e trasmessa da Cancellieri (1806, p. 45): VILLAE IANUAM / TRANANDO / RECLUDENS IASON / OBTINET LOCUPLES / VELLUS MEDEAE / 1680 Oltrepassando la porta della Villa Giasone scopre e ottiene il ricco vello di Medea 1680. Il dato non è irrilevante anche al fine di comprendere meglio l'opera poetica di Palombara, ricca di riferimenti arcadici, idilliaci e mitici strettamente coniugati con l’esperienza alchemica. Secondo una tradizione trasmessa da alcuni testi bizantini, specialmente dalla Suda, il lessico bizantino del X secolo ben noto nel Rinascimento, si credeva che il leggendario vello d’oro fosse una pergamena o un libro pergamenaceo contenete i segreti dell’arte di fabbricare l’oro. Il fatto che Palombara si dichiarasse in varie occasioni possessore, quasi nuovo Giasone, di quel vello o libro iniziatico, pare suggerire qualcosa di più del favoloso riferimento, ovvero che nel suo giardino egli si dedicasse, oltre che alla prediletta chrysopoeia, anche a un’ampia ricerca naturalistica e metallurgica, rivivendo e sperimentando una sapienza degna di quel mito. Infatti nei suoi horti pare si applicasse, accanto alle pratiche alchemiche, a metodiche investigazioni su erbe, piante officinali e sulle virtù delle pietre e dei minerali, come documenta il ms. 1346 della Biblioteca Angelica di Roma, autografo di Palombara, che riporta numerosi passi di Dioscoride (nella versione di Pietro Andrea Mattioli), di Plinio il Vecchio, di Giovanni Maria Bonardo, autore del trattato Le ricchezze dell’agricoltura del 1589, e del medico e scienziato Gabriele Falloppio.
Le Epigrafi Scomparse dalla Villa
Pochi anni dopo la realizzazione della Porta, il 16 luglio 1685, Palombara morì
a Roma, nel proprio palazzo in Monte Citorio.
Dal matrimonio con Cassandra Mattei aveva avuto otto figli; dal secondo
matrimonio, nel 1662, con Costanza Baldinotti altri tre maschi e due femmine.
La Porta Magica costituisce la sola testimonianza plastica e architettonica
della tradizione magico-alchemica occidentale, che grande diffusione e
importanza culturale ebbe in Europa fin dal Medioevo, ma il suo significato fu
presto dimenticato. La stessa prima documentazione della Porta e delle epigrafi
di villa Palombara, lasciata dall'archeologo e storico romano
Francesco
Cancellieri nel 1806 (fonte principe di tutte le indagini successive perché
riporta trascrizioni di epigrafi e di simboli poi perduti), è una accurata
descrizione di tali reperti e delle vicende che ne ispirarono la realizzazione,
ma l’autore non lesina ironia sul loro significato e sull’'arte chimerica' del
loro creatore. L’attenzione per il monumento riprese tra la fine del XIX e
l’inizio del XX secolo, con le prime, sommarie interpretazioni a opera di
storici della scienza (Carrington Bolton
"The Porta Magica
in Rome" di cui vedasi anche l'interessante
The Follies of Science at
the Court of Rudolph II. del 1904) . e di personaggi collegati
all’esoterismo e all’ermetismo (Pietro Bornia,
"La Porta Magica di Roma", studio storico, 1915), esegesi quest’ultime proseguite
più tardi anche da
Eugene Canseliet (1945, pp. 15-70) e da
Pirrotta Luciano "La porta ermetica : un tesoro dimenticato" 1979. In seguito
vi face cenno anche un autorevole storico della chimica e della farmacia (Giovanni Carbonelli,
1925).
Nel 1983 furono pubblicati brani in prosa e rime tratti dal ms. Reg. Lat. 1521
della Biblioteca apostolica Vaticana e dal ms. Prot. 35 dell’Archivio Massimo di
Roma, unitamente ad alcune liriche ermetiche (La Bugia. Rime ermetiche e altri
scritti. Da un Codice Reginense del sec. XVII, a cura di A.M. Partini, Roma
1983). Nel 1986 fu scoperto ed edito (in M. Gabriele, 1986, pp. 77-153)
l'autografo de La Bugia. Opera d’incerto Autore nella quale si tratta della vera
Pietra dei sapienti 1656, illustrato con dieci disegni simbolici a penna: si
tratta di una prima versione de La Bugia, diversa da quella contenuta nel ms.
Reg. Lat. 1521. Da quest'opera – un racconto allegorico in prosa sull’alchimia,
comprendente due sonetti ermetici e anche riferimenti biografici – emerge
l'adesione ideale di Palombara ai Rosacroce, di cui egli afferma di avere solo
sentito parlare: una sintonia né politica né religiosa, bensì letteraria,
circoscritta all’ambito della scienza ermetica, di cui i Rosacroce dichiaravano
di avere un'eccellente padronanza. Difatti i simboli della Porta Magica
risultano fedelmente copiati da testi alchemici rosacrociani pubblicati in
tedesco e in latino: la Commentatio de Pharmaco Catholico di Johannes de Monte-Snyder, apparsa quasi certamente a Francoforte nel 1662 e più volte
ristampata, e l’Aureum seculum redivivum di Henricus (o Hinricus) Madathanus
(pseudonimo di Adrian Mynsich, medico e alchimista paracelsiano) edito nel 1621
[s.l.] e a Francoforte nel 1625 e nel 1677. Quest’ultimo viene espressamente
citato da Palombara in La Bugia (Gabriele, 1986, pp. 89 s.).
Opere
Roma, Arch. Massimo, Prot. 34: Rime del
marchese Massimiliano Palombara; Prot. 35: Rime del marchese Massimiliano
Palombara nelle quali si discorre sopra la pietra hermetica; Ibid., Biblioteca
Angelica, ms. 1346: Rimario sdrucciolo ove vi sono parole serie giocose, e
latinisme... acciò ciascheduno possa esercitarsi in quel componimento che più
gli aggrada. Messo insieme dal marchese Palombara l’anno 1660; Biblioteca apost.
Vaticana, ms. Barb. Lat., 3886, cc. 70r-72v: Pentimento. Edilio. 19 marzo 1634;
ms. Reg. Lat., 1521: La Bugia. Rime del Marchese Massimiliano Palombara. Luglio
MDCLX (altra versione ms. in collezione privata: La Bugia. Opera d’incerto
Autore nella quale si tratta della vera Pietra dei sapienti 1656); ms. 2102:
Copia cavata da manoscritti assai consumati e guasti, et copiati da me
Massimiliano Savelli Palombara per l’apunto conforme mi sono capitati… Li 28
decembre 1642 et a dì 4 ottobre 1655.
Fonti e Bibliografia
Anonimo del ’600, Istoria degli intrighi galanti della Regina Cristina di Svezia e della sua corte durante il di lei soggiorno a Roma, a cura di J. Bignami Odier - G. Morelli, Roma 1979, pp. 38-40, 74-80; P. Mandosio, Bibliotheca Romana, Roma 1692, p. 247; G.M. Crescimbeni, Le Vite degli Arcadi illustri, III, Roma 1714, p. 167; F. Cancellieri, in Dissertazioni epistolari di G.B. Visconti e Filippo Waquier de la Barthe sopra la statua del discobolo scoperta nella Villa Palombara… arricchite con note e con le bizzarre iscrizioni della Villa Palombara, Roma 1806, pp. 40-49; C.A. Eaton, Rome in the Nineteenth Century, III, Edinburgh 1826, p. 104; E. Caetani Lovatelli, La porta magica sull’Esquilino, in Nuova Antologia, XLV (1893), pp. 524-530; H. Carrington Bolton, The Porta Magica, Rome, in The Journal of American Folklore, VIII (1895), pp. 73-78; C. De Bildt, Christine de Suède et le cardinal Azzolino, Paris 1899, pp. 129-131; P. Bornia, La Porta Magica di Roma. Studio storico, in Luce e Ombra, 1915, nn. 4-10, pp. 180-187, 229-235, 279-284, 323-328, 367-373, 419-421, 462-467; T. Amayden, La storia delle famiglie romane, II, Roma s. a., pp. 120-124; G. Carbonelli, Sulle fonti storiche della chimica e dell’alchimia in Italia, Roma 1925, pp. XI, XIV, 176; E. Ponti, La formula per cercare l’oro incisa sulla «Porta magica» all’Esquilino, in Il Messaggero, 6 gennaio 1925; E. Galli Angelini, Un cimelio alchemico dimenticato, in Ultra, II (1930), pp. 10-16; E. Canseliet, Deux Logis Alchimiques, Paris 1945, pp. 15-70; G. Testi, Dizionario di alchimia e di chimica antiquaria, Roma 1950, pp. 145 s.; L. Pirrotta, La Porta Ermetica (un tesoro dimenticato), Roma 1979; G. Morelli, Il brigante Giulio Pezzola del Borghetto e il suo “Memoriale” (1598-1673), Roma 1982, pp. 137, 152 s.; J. Bignami Odier - A. M. Partini, Cristina di Svezia e le scienze occulte, in Physis, II (1983), pp. 251-278; M. Gabriele, L’alchimista M. P.: un rosacroce nella Roma controriformista, in La città dei segreti. Magia, astrologia e cultura esoterica a Roma (XV-XVIII), a cura di F. Troncarelli, Roma 1985, pp. 213-220; Id., Il giardino di Hermes. M. P. alchimista e rosacroce nella Roma del Seicento. Con la prima edizione del codice autografo della Bugia - 1656, Roma 1986; V. Verginelli, Bibliotheca Hermetica. Catalogo alquanto ragionato della raccolta Verginelli-Rota di antichi testi ermetici (secoli XV-XVIII), Firenze 1986, pp. 88-93; La Porta Magica. Luoghi e memorie nel giardino di piazza Vittorio, a cura di N. Cardano, Roma 1990 (che raccoglie diversi saggi e studi storico-scientifici sulla Porta e le sue vicende, editi in occasione del restauro della medesima avvenuto nel 1989); E. Di Mauro - C. Lucarini, La Porta Magica. Un monumento alchemico rosacrociano nella Roma del XVII secolo, in Prometeo, LXXXIV (2003), pp. 48-57; A.M. Partini, Cristina di Svezia e il suo cenacolo alchemico, Roma 2010, pp. 85-169, 219-261.
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