Home - Messaggi - Maestri - Autori - Arcana Arcanorum - Corpus Magiae - Biblioteca - Dossier - Napoli - Religioni - Luoghi - Vitriol - Miscellanea - Filmati
ricerche di IniziazioneAntica
Tra i poeti delle nuove aspirazioni della patria, prima napoletana e poi italiana, merita di essere ricordato Gabriele Rossetti di Vasto negli Abruzzi (n. il 1783), non perché nelle forme si allontani dai suoi contemporanei, ma perché in quelle forme, trattate con rara abilità, versò un senso nuovo della vita, fatto di alte aspirazioni politiche, affettive, religiose, e una sincerità costante e commossa, assoggettandole ai nuovi contenuti. Dopo aver compiuti i primi studi in patria, il Rossetti venne a Napoli il 1803, trattavi dal Marchese del Vasto, che aveva avuto occasione di apprezzare le native e singolari virtù del giovane. A Napoli acquistò subito fama di Ìmprovvisatore e di librettista di melodrammi: e quel ritmo, quella cadenza, quella facilità dell'improvvisazione e del melodramma gli rimasero sempre nell'anima, e segnano, almeno esteriormente, il timbro costante della sua poesia. Ma le vicende della vita, la fermezza ed altezza degli affetti, la pena e le memorie dell'esilio, il vivo senso religioso del vivere, l'esperienza culturale europea e particolarmente inglese infusero in quelle forme contenuti sempre nuovi e fervidi, che consentono di segnare, a proposito del Rossetti, un itinerario poetico assai vario, ma interiormente coerente.
La lontananza dall'Italia, a causa del trentennale esilio inglese, l'essere egli
partito da Napoli non più giovane, il 1822, quando aveva quasi quarant'anni, e
quando la sua formazione era pressoché compiuta, il rifiuto costante della
poetica (più che dell'esperienza) romantica, possono dare l'impressione,
leggendo la vasta produzione del Rossetti, durata sino alla sua morte, avvenuta
a Londra nell'aprile del 1854, di qualcosa di chiuso, di fermo, di monotono, di
sopravvissuto, come se egli fosse rimasto, per certi aspetti, fermo per sempre
all'esperienza più alta della sua vita, e cioè alla partecipazione, quasi
protagonista poetico, delle speranze e del dramma del 1820-21, e invece non solo
quell'ora gli fermentò sempre nell'anima attraverso aspirazioni sempre più
politicamente complesse, ma si ampliò attraverso gli studi e la riflessione.
Conservò sempre l'abbondanza e la facilità arcadica dei suoi anni di formazione,
ma la arricchì, più o meno consape volmente, delle nuove esperienze letterarie e
formali che il Romanticismo traeva anche dal melodramma; fu sempre insomma un
poeta del tardo Settecento o del primo Ottocento napoletano, eppure oggi ci
appare un poeta assai più moderno e consentaneo col nuovi tempi di molti
romantici, suoi contemporanei. Fu conservatore del Museo di Napoli durante li
periodo murattiano, posto che pare conservasse anche al ritorno del Borboni: ed
era ancora impiegato al Museo (invano aveva aspirato alla cattedra di eloquenza
nell'Università, lasciata dal Ricci il 1818) quando toccò il vertice della sua
fama come cantore della rivoluzione del 1820. In un poemetto rievocativo (La
costituzione in Napoli nel 1820) egli ricorda quei giorni di entusiasmo, quando
la folla lo trasse innanzi al palazzo ed egli « in estro estemporaneo / con dato
intercalar, con rime date, / alla memoria / di quel gran di / canto di gloria /
sciogliea così:
Erano le rime e il ritmo della canzonetta a Nice del Metastasio, che
infiammarono la città di un incontenibile entusiasmo, era l'Arcadia che
diventava canto della nazione: era, in breve, il simbolo stesso del singolare
destino poetico del Rossetti. Cercato a morte dalla reazione borbonica, l'anno
dopo potè salvarsi con l'aiuto di un ufficiale della marina inglese che,
travestito, lo fece partire per Malta, dove rimase dal 1822 al 1824, quando si
trasferì a Londra dove rimase sino alla morte. Lì sposo il 1826,
Francesca Polidori, figlia del letterato ed ex-segretario dell'Alfieri
Gaetano Polidori, e ne ebbe quattro figli, dei quali doveva diventare celebre
particolarmente Dante Gabriele, pittore e poeta, iniziatore della scuola dei
preraffaelliti. Datesi ad insegnare italiano, si dedicò totalmente allo studio
di Dante (studio che aveva certamente iniziato sin dagli anni napoletani e
continuato poi a Malta: compose "il Commento analitico su la Divina Commedia" di
cui pubblicò tra il 1826 e il 1827 solo la parte relativa nell`Inferno, nel
quale già appaiono le sue nuove dottrine ermeneutiche sulla Commedia, che il
Rossetti venne svolgendo attraverso studi sempre più approfonditi, specialmente
quando divenne, il 1831, professore di lingua e letteratura italiana presso il
Real Collegio, e cioè l'Università di Londra "Sullo spirito antipapale che
produsse la riforma e sull`influenza segreta che esercitò sulla letteratura
d'Europa e specialmente d'Italia", 1833; "II mistero dell'amor platonico del
medioevo derivato da`misteri antichi",1840, in 5 volumi; i "Ragionamenti sulla
Beatrice di Dante", 1842.
Muovendo dal Pascoli, il Rossetti sostenne una dottrina, che poi è sempre, in
forme più o meno simili, rispuntata nella storia dell'esegesi dantesca, sino al
Pascoli e al Valli, e cioè che Dante, in realtà, mediante la Commedia parlasse,
attraverso forme simboliche e mistiche, il linguaggio di una setta, religiosa e
politica insieme, che concepiva l'Impero come universale, destinato a guidare
tutte le genti ed avente al suo centro e la sua sede in Roma ed in Italia, e la
Chiesa come prevaricatrice del suo ufficio affatto religioso e alieno da ogni
potestà temporale. Naturalmente tale concezione del Rossetti, più ancora che nel
Foscolo, si coloriva e rinvigoriva per effetto delle nuove aspirazioni
nazionali. Dante diveniva, alle origini della civiltà moderna, uscita dalla
crisi del Medioevo, l'annunziatore della nuova nazione italiana, e ne proponeva,
in termini insieme politici e religiosi, la necessaria unità, mentre predicava
la imprescindibilità della riforma della Chiesa e del suo ritorno alle origini.
In tal modo il pensiero del massonico ed anticlericale Rossetti veniva ad
incontrarsi con quello di molti romantici, mentre la sua interpretazione della
Commedia, che costituisce un episodio tutt'altro che irrilevante della fortuna
di Dante nell'Ottocento (e dell'efficacia civile di tale orientamento
esegetico), rivela un altro aspetto di quei motivi religiosi che promossero il
nostro Risorgimento, e che, a nostro modo di vedere, meritano di essere studiati
più accuratamente di quanto non si è fatto sinora. Studioso così tenace e, a suo
modo, originale di Dante, il Rossetti ebbe il buon senso di non danteggiare, e
se usò anche, e non infrequentemente, la terzina, le conferì il ritmo facile
proprio della sua musa piuttosto musicale che armoniosa. Tuttavia, certamente
gli studi danteschi, come la serietà religiosa che osservò presso gli inglesi,
dovettero influire sullo svolgimento della sua poesia, e in genere, della sua
personalità. Fu uno sviluppo in senso religioso di tutto il suo tessuto
ideologico ed affettivo, sviluppo che in lui, spirito riflessivo ma tutt'altro
che profondo, alimentò di più calda umanità i suoi affetti e conformò in maniera
più complessa ed espansiva il suo ideale politico. Partito soltanto
costituzionalista da Napoli, fu assertore sempre più convinto dell'unità
nazionale, della necessità di istituti rappresentativi e popolari, della lotta
decisa contro ogni forma di tirannia, politica come sociale, specialmente contro
la tirannide chiesastica di Roma; e avvertì sempre più profondamente il
carattere religioso della libertà politica:
Tutto questo spiega perché egli abbracciò la confessione evangelica e perché la
nuova temperie religiosa non lo distolse dai temi consueti della patria, della
bellezza, delle memorie, ma li rese più caldi ed armonici: ecco, ad esempio,
come termina un suo inno "a Dio":
Il 1833 pubblicò la raccolta "Iddio e l'uomo", che è un vero e proprio salterio,
composto di tré salmodie, ciascuno di quindici salmi, composti, in senari piani
e tronchi, un metro che il Rossetti riteneva idoneo a congiungersi alla musica,
e per mezzo del quale egli pensava di offrire agli italiani la possibilità di
costituirsi un patrimonio di quei canti religiosi, di cui sono così ricchi i
popoli anglosassoni. Il sentimento religioso così fervido lo aiutò a sopportare
la gravissima sventura della cecità a cui soggiacque tra il 1845 e il 1846, e
gli ispirò le ultime raccolte "II veggente in solitudine" (1846) e "L'Arpa
evangelica" (1852). Il Veggente è una sorta di poema, diviso in due novene, cioè
in due parti « distribuiti — dice il Carducci — per ognuna i canti in nove
giornate, nelle quali il poeta con diverse ispirazioni e con diverse
disposizioni di spirito ricorda e pensa, narra e prevede il passato il presente
e l'avvenire della patria e deila libertà». Ritornano nelle due raccolte i
morivi consueti della poesia del'Rossetti: il rimpianto della patria lontana e
perduta; la speranza sempre più esile di rivederla; le sventure d'It alia;
l'odio contro il papato; il presagio dell'avvento della verità e della
giustizia; l'unità della religione con la vita degli uomini e dei popoli, e poi,
lo strazio della luce perduta, la tenera nostalgia degli spettacoli del mondo,
un accorato idillismo di affetti domestici e di visioni terrene. Tutto è più
affinato e talvolta affettato, ma rimane sempre predominante e caratterizzante
(pur nei canti di più ardita e solenne ispirazione e tematica religiosa nei
quali spesso lo suggestiona negativamente il gusto simbolico, dantesco e
biblico), certa spontaneità affettuosa, e la facilità sempre un po'
sovrabbondante e quel ritmo, quel modulo di canto semplice e musicale: un
modulo, che in lui era diventato la misura vera della sua ispirazione, sempre
sincera, mai profonda, sempre espansiva, mai incisiva o potente. Anche il buio
della cecità, anche il senso della morte - sempre più insistente negli ultimi
anni - si mantiene entro quel sentire, entro quella misura di melodramma che non
diventa mai dramma. Vecchio sente appressarsi l'inverno, e con l'inverno il
senso del tramonto della sua vita: in quell'ora le memorie ritornano:
Alcune Opere del Rossetti
Sepoltura Famiglia Rossetti
Highgate Cemetery (West) - London Borough of Camden
Gabriel Charles Dante Rossetti nasce a Londra il 12 maggio del 1828, è il figlio di Gabriele Rossetti. La formazione dell’artista è dominata dalla personalità del padre, dal quale eredita l’amore per la poesia e per la patria d’origine.
Nel 1845 entra come studente nella Royal Accademy iniziando ufficialmente la carriera da artista. In ambito accademico incontra William Holman Hunt e John Everett Millais, con i quali stringe un sodalizio che li porterà a dare vita, nel settembre del 1848, alla Confraternita Pre-Raffaellita. L’olio “L’adolescenza di Maria Vergine” sarà la prima opera a recare la sigla “P.R.B”. La forte personalità dell’artista fa si che egli venga considerato il simbolo ed il vero rappresentante del gruppo a cui appartiene (gruppo che, per altrò, avrà vita breve e cesserà di esistere nella prima metà degli anni ’50).Nel 1850 Rossetti conosce Elizabeth Siddal, giovane commessa di modista e modella prediletta dei pre-raffaelliti, che diventerà la donna più importante della sua giovinezza ed influenzerà, spesso negativamente, gran parte della sua vita a causa della sua estrema vulnerabilità fisica e psichica che la ridurranno ad essere una perenne malata (stato che la condurrà alla morte nel febbraio del 1862 a seguito dell’ingestione di una dose eccessiva di laudano).
Nel 1856 l’artista entra in contatto con due giovani studenti dell’Exeter College di Oxford, anch’essi cultori del primitivismo: William Morris ed Edward Burne-Jones. Tra i tre nasce un’amicizia intensa ed entusiastica che, artisticamente, porterà ad anticipare il clima estetico degli anni ’60.A partire dalla fine degli anni ’50 Rossetti tornerà alla pittura ad olio e dipingerà esclusivamente ritratti femminili. La sua nuova musa sarà Jane Morris, nella quale si incarna la donna ideale. Nei primi anni ’70 Rossetti è soggetto a pesanti critiche ed attacchi provenienti dall’ambiente moralista della società vittoriana. I pre-raffaelliti e lui, ritenuto ancora un loro caposcuola, sono accusati di depravazione ed immoralità. Questi attacchi andranno a ledere la psiche già turbata dell’artista. Rossetti sprofonderà in progressivo isolamento, turbato da insonnia e abuso di cloralio. L’artista è ormai un uomo finito, molto più vecchio dei suoi anni, quando muore il giorno di Pasqua del 1882.
Riferimenti:
Centro Rossetti - Rossetti Archive - Ten Dreams - Art Cyclopedia
Home - Messaggi - Maestri - Autori - Arcana Arcanorum - Corpus Magiae - Biblioteca - Dossier - Napoli - Religioni - Luoghi - Vitriol - Miscellanea - Filmati