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Una ricerca a cura del dott. Luigi Braco
Giovanni di Rupescissa nasce intorno al 1300-1310 nel villaggio di Marcolès, pochi chilometri a sud di Aurillac, nella regione francese dell'Alvernia. Nonostante diverse ricerche siano state condotte e diverse ipotesi avanzate negli ultimi due secoli, non si sa quasi niente della sua famiglia di provenienza. Egli stesso non parla mai, nelle sue opere giunte fino a noi, della sua famiglia.
Intorno al 1328 comincia gli studi di filosofia a Tolosa, ma già
nel 1332 entra nel noviziato dell'ordine francescano; dopo avere continuato gli
studi a Tolosa per altri cinque anni, nel 1340 viene assegnato alla comunità del
convento di Aurillac. Non c'è motivo per pensare che sia stato ordinato prete.
Nell'anno 1340 egli avrebbe ricevuto la sua prima rivelazione profetica, che gli
permise di comprendere il significato di un capitolo dell'Apocalisse
di Giovanni.
Pochi anni dopo, tuttavia, per Giovanni di Rupescissa inizia l'esperienza del
carcere: dal dicembre 1344 al dicembre 1345 egli viene recluso nella prigione
del convento di Figeac per ordine del Ministro provinciale dei Francescani,
Guglielmo Farinier. Dagli scritti di Rupescissa non emerge con chiarezza il
motivo per cui egli viene incarcerato, oltretutto in un regime assai duro dal
punto di vista sia materiale sia spirituale. È probabile che i superiori
francescani, e
Guglielmo Farinier in modo particolare, lo abbiano incarcerato con l'accusa
di essere eretico. Ad ogni modo, diventa difficile discernere tra le accuse
formali mosse contro Giovanni di Rupescissa (la pratica dell'alchimia commista a
magia?
l'eresia? la predicazione di
falsità?) e le vere cause della sua incarcerazione. Dalla lettura delle sue
opere, tuttavia, emergono alcuni dettagli che ci possono far pensare a una
vicinanza di Rupescissa alla linea degli
Spirituali e forse addirittura al
Beghinismo. È dunque per lo meno lecito il sospetto che il vero motivo della
carcerazione di Rupescissa e soprattutto dell'avversione dei suoi superiori nei
suoi confronti sia da cercare più nelle sue posizioni in materia di povertà e di
obbedienza, che nella sua attività di profeta e visionario.
Tra il 1345 e il 1347 Giovanni di Rupescissa è sballottato tra le prigioni dei
conventi del Languedoc: Martel (attuale regione Midi-Pyrénées), Brive, Donzenac,
Limoges e Saint-Junien (tutti nel Limosino), Cahors, Montcuq, Penne,
Saint-Antonin e Tolosa (ancora nell'attuale Midi-Pyrénées). È credibile che i
continui trasferimenti nascondessero anche l'intenzione di impedire al recluso
di stabilire relazioni significative con i frati delle comunità che lo
ospitavano: intorno a lui veniva creata la fama di "fantasticus", di visionario,
forse di pazzoide, ma ben pochi avevano modo di stabilire con lui rapporti di
amicizia o forse anche di conoscenza autentica.
Nel 1346 è sottoposto a processo per eresia, ma l'inquisitore, il domenicano
Giovanni des Moulins, constata la sua ortodossia: il frate non è eretico;
ciononostante i Francescani si rifiutano di rimetterlo in libertà: Rupescissa
rimane detenuto nel convento di Tolosa, e poi, sino al 1349, incarcerato in un
sottoscala del dormitorio del convento di Rieux (una quarantina di chilometri a
sud-ovest di Tolosa). Forse questa sua condizione di isolamento, almeno per una
volta, insieme ad una complessione fisica che ha dimostrato una incredibile
resistenza, risulta a suo vantaggio: intanto che la peste miete strage intorno e
dentro al convento, egli scampa.
Nell'agosto 1349 avviene una svolta nella vita di Rupescissa: per l'ennesima
volta viene trasferito, questa volta è destinato alla prigione di Castres
(regione Midi-Pyrénées, vicino ad Albi); invece, egli riesce a convincere il
frate che dovrebbe accompagnarlo alla sua nuova destinazione a lasciarlo andare
fino alla Sede papale, ad Avignone, dove vorrebbe esporre le sue ragioni e
chiedere giustizia.
Qualche mese dopo, in ottobre, Giovanni di Rupescissa si presenta davanti al
concistoro pubblico presieduto da papa Clemente VI: si apre un processo che
durerà circa un anno; nel frattempo però egli non viene riconsegnato all'ordine
francescano, ma resta incarcerato nella prigione pontificia, da dove comunque ha
modo di accedere a diversi libri e di comporre le sue opere. Nel novembre dello
stesso anno 1349, su ordine del cardinale
Guglielmo Curti, termina di redigere il Liber Secretorum Eventuum, un
repertorio delle sue visioni e profezie.
Sicuramente gli anni cinquanta del XIV secolo sono quelli in cui registriamo la
più intensa produzione di testi da parte di Giovanni di Rupescissa: il
Commentario all'Oracolo di Cirillo; il Liber lucis che si diffuse anche con il
titolo De confectione veri lapidis philosophorum; un altro testo di alchimia, il
De quinta essentia; De oneribus orbis. Pur vivendo in carcere, Rupescissa è
molto conosciuto, viene contattato da diverse autorità ecclesiastiche,
probabilmente la sua voce giunge fino al Papa. Egli è anche al corrente delle
principali decisioni della politica ecclesiastica del tempo, né gli sfuggono le
drammatiche vicende della
Guerra dei Cento Anni in corso o delle conseguenze della grande peste di
pochi anni prima.
Nel 1356 egli scrive il Liber Ostensor, la sua opera principale, che sarà
conclusa, dopo un lavoro che non può che essere stato febbrile considerando la
mole del Liber, in cento giorni. Nel 1356 Rupescissa redige anche un altro testo
profetico, più breve: il Vade mecum in tribulatione. Queste due opere, però,
sembrano essere le ultime di Giovanni di Rupescissa, almeno tra quelle giunte a
noi; e siccome la principale fonte di informazioni biografiche su Rupescissa si
trova proprio nei suoi trattati, ciò che sappiamo di lui dopo il 1356 si fa
molto più indistinto. Nel 1360 lo incontra lo storico francese Jean Froissart
che parla di lui nelle sue Chroniques.
Nel luglio 1366 sicuramente Giovanni di Rupescissa è già morto (il suo nome
compare nei libri contabili della Curia: si versa del denaro come rimborso delle
spese effettuate per il «quondam fratri Johanni de Rupescisa, ordinis minorum,
qui detinebatur captus in palatio Avinionis, de fide suspectus», per il fu fra'
Giovanni di Rupescissa, dell'Ordine dei Minori, che era detenuto come
prigioniero nel palazzo di Avignone, sospettato in materia di fede).
Alcuni storici del passato hanno tramandato informazioni abbastanza confuse e
contraddittorie sulla morte di Rupescissa: per qualcuno egli sarebbe morto sul
rogo ad Avignone, mentre per altri avrebbe predicato addirittura a Vienna e a
Mosca e sarebbe poi rientrato in patria nonagenario. Molto probabilmente si
tratta di sovrastrutture leggendarie accumulatesi nel corso dei secoli.
Gli scritti di Giovanni di Rupescissa conobbero ben presto una discreta diffusione: a lui si ispirò il frate e scrittore catalano Francesc Eiximenis che modificò l'interpretazione delle profezie di Rupescissa, attribuendo ai sovrani di Aragona il ruolo escatologico positivo che invece Rupescissa attribuiva ai sovrani di Francia. Un anonimo lollardo, in carcere in Inghilterra per la sua adesione al movimento di riforma della Chiesa iniziato da John Wyclif, commentando l'Apocalisse, ricordava che gli scritti di Giovanni di Rupescissa, insieme con quelli di Pietro di Giovanni Olivi, erano stati distrutti a Oxford e Salisbury per ordine dei vescovi. Il Vade mecum in tribulatione si diffuse rapidamente in Europa, soprattutto in ambienti in cui la protesta sociale o religiosa montava tra le popolazioni: così nella Francia della Grande Jacquerie, nel 1358, quando l'operetta, tradotta in francese, veniva copiata a Parigi; ugualmente a Praga, tra il 1400 e il 1424, quando diverse compilazioni e rielaborazioni si sarebbero diffuse prima in ambienti attenti al tema della Riforma della Chiesa, e poi durante l'esperienza taborita, il momento più radicale della Riforma hussita. In Spagna, prima dell'espulsione degli Ebrei nel 1492, alcuni Giudei di Segovia calcolavano la data della venuta del Messia a partire dagli scritti di un certo fray Juan de Rozas Ysla: alcuni studiosi hanno ipotizzato che si trattasse proprio di Giovanni di Rupescissa. Rupescissa fissava la data per la venuta di un anticristo intorno al 1365: gli Ebrei di Segovia aggiornavano di un secolo questa profezia e naturalmente vedevano nell'Anticristo che i Cristiani temevano il Messia atteso dal popolo ebraico.
Le Profezie
Sicuramente la principale attività di Giovanni di Rupescissa fu
la scrittura. Dalla lettura delle sue opere abbiamo notizia di molti titoli.
Soltanto una piccola parte di queste opere è giunta fino a noi, solitamente
attraverso la testimonianza di pochissimi manoscritti. Possiamo elencare le
seguenti opere di Giovanni di Rupescissa di argomento profetico o apocalittico:
- Commentum in oraculum beati Cyrilli (1345-49)
- Liber Secretorum Eventuum (1349)
- Sexdequiloquium (1352/53)
- De oneribus orbis (1354/55): commentario della profezia “Vae mundo in centum
annis” composta forse dal catalano Arnaldo da Villanova
- Liber Ostensor (1356)
- Vade mecum in tribulatione (1356)
- Tre lettere.
Per non trascurare nulla della produzione di Rupescissa dovremmo anche citare un
brevissimo commento ad alcune profezie tratte dalla
Prophetia Merlini di
Goffredo di Monmouth; probabilmente qualcuno aveva chiesto al frate una
spiegazione e questi aveva risposto per iscritto.
Sta suscitando un certo scalpore tra gli studiosi di profezie medievali la
recente scoperta, da parte dello studioso francese Sylvain Piron, di un'altra
opera di Giovanni di Rupescissa: il Sexdequiloquium, che si credeva perduto per
sempre fin quando è stato ritrovato un manoscritto in Lorena che ci tramanda il
testo di quest'opera del profeta francescano.[1]
Moltissime sono le altre opere di Giovanni di Rupescissa, ora perdute: di esse
conosciamo soltanto i titoli.
L'Alchimia
Giovanni di Rupescissa non fu soltanto veggente e commentatore di
profezie: il suo nome viene citato anche nella storia dell'alchimia. Sono
soltanto due le sue opere di alchimia giunte fino a noi: un trattato De quinta
essentia e il Liber lucis. Queste opere conobbero una diffusione sicuramente
maggiore rispetto alle opere "profetiche": si conoscono circa duecento
manoscritti del De quinta essentia, il Liber lucis venne tradotto in inglese,
italiano, tedesco e catalano nel XV secolo, e ancora in francese, svedese e ceco
nel XVI. Entrambe le opere furono anche pubblicate a stampa nel XVI secolo.
Non abbiamo a disposizione notizie sulla formazione alchemica del frate
francescano, ma con grande probabilità l'inizio di essa risaliva agli anni degli
studi a Tolosa.
Il trattato De quinta essentia si colloca a metà strada tra l'alchimia e la
farmacia: è infatti dedicato soprattutto alla ricerca della «cosa creata,
opportuna all'uso degli uomini, che possa preservare dalla putrefazione il corpo
che è soggetto a corruzione». Per raggiungere questo obiettivo, grande
importanza rivestono i medicamenti a base di alcool, preparati secondo la teoria
dei quattro elementi, delle complessioni e dei temperamenti umorali, mediante
distillazioni ripetute di sostanze di origine organica.
Il Liber
lucis affronta invece uno dei temi tipici dell'alchimia: il procedimento per
trasformare in oro i metalli più vili. Naturalmente lo scopo di Giovanni di
Rupescissa, forte difensore della assoluta povertà della Chiesa, non era
l'arricchimento personale, ma quello di offrire alla Chiesa la possibilità di
soccorrere i poveri nei tempi di carestia e spogliazione che presto sarebbero
giunti.
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