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a cura di IniziazioneAntica


Publio Virgilio Marone

Nacque il 15 di ottobre del 70 a.C. vicino Mantova, e precisamente nel villaggio di Andes, località identificata dal XIII secolo con il borgo di Pietole in tal senso si esprime Dante nella Divina Commedia (Purgatorio, 18,83) Il padre, di nome Stimicone Virgilio Marone (citato nelle Bucoliche, V,55), era un piccolo proprietario terriero arricchitosi tramite l’apicoltura, l’allevamento e l’artigianato mentre la madre, di nome Polla Magio, era la figlia di un facoltoso mercante, Magio, al servizio di cui aveva lavorato il padre del poeta. Virgilio studiò prima a Cremona, poi a Milano ed infine a Roma studiando lettere greche e latine ma anche matematica e medicina. Nel suo soggiorno romano, il futuro poeta fu infatti anche veterinario per i cavalli dell’imperatore Augusto. Inoltre nella capitale portò a termine la propria formazione oratoria studiando eloquenza alla scuola di Epidio, un maestro importante di quell’epoca. Lo studio dell’eloquenza doveva fare di lui un avvocato ed aprirgli la via per la conquista delle varie cariche politiche. L’oratoria di Epidio non era certo congeniale alla natura del mite Virgilio, riservato e timido, e dunque quantomai inadatto a parlare in pubblico. Infatti nella sua prima causa come avvocato non riuscì nemmeno a parlare. In seguito a ciò Virgilio entrò in una crisi esistenziale che lo porterà a spostarsi dopo il 44 a.C. a Napoli, dove si recò alla scuola dei filosofi Sirone e Filodemo per apprendere i precetti di Epicuro, e dove conobbe diversi importanti personaggi nel campo politico ed artistico (tra cui Orazio). Gli anni in cui Virgilio si trova a vivere sono anni di grandi sconvolgimenti a causa delle guerre civili: prima lo scontro tra Cesare e Pompeo, culminato con la sconfitta di quest’ultimo a Farsalo (48 a.C.), poi l’uccisione di Cesare (44 a.C.) in una congiura e lo scontro tra Ottaviano e Marco Antonio da una parte e i cesaricidi (Bruto e Cassio) dall’altra, culminato con la battaglia di Filippi (42 a.C.). Virgilio fu toccato direttamente da queste tragedie: infatti la distribuzione delle terre ai veterani dopo la battaglia di Filippi mise in grave pericolo le sue proprietà nel mantovano che furono confiscate al padre ed ai fratelli, i quali si spostarono poi a Napoli con il poeta. Da allora per tutta la vita Virgilio, attraverso la sua opera, cercherà appoggi ed aiuto presso diversi personaggi politici (Pollione, Varo, Gallo, Mecenate e lo stesso Augusto) ma senza mai riuscire ad ottenere alcunché. Dopo il successo delle Bucoliche, venne in contatto con Mecenate ed entrò a far parte del suo circolo, che raccoglieva molti letterati famosi dell’epoca. Il vate frequentava le tenute terriere di Mecenate, che egli possedeva in Campania nei pressi di Atella ed in Sicilia. Attraverso Mecenate Virgilio conobbe Augusto e collaborò (forse in maniera forzata) alla diffusione della sua ideologia politica. Divenne il maggiore poeta di Roma e dell’impero. Morì a Brindisi il 21 settembre del 19 a.C. (calendario giuliano), di ritorno da un improvviso viaggio in Grecia, secondo i biografi per un colpo di sole. Infatti, prima di partire, Virgilio raccomandò ai suoi compagni di studio Tucca e Varo di distruggere il manoscritto dell’Eneide. Ma i due, per timore o per colpa, consegnarono i manoscritti all’imperatore. I resti del grande poeta furono poi trasportati a Napoli, dove sono custoditi in un tumulo tuttora visibile, sulla collina di Posillipo. Purtroppo l’urna che conteneva i suoi resti andò dispersa nel Medioevo.

 

      

"Mi generò Mantova, la Calabria mi rapì: ora mi custodisce Partenope; cantai i pascoli, i campi, i capi guerrieri".

 

Opere

 

Un primo gruppo di opere (noto dal Cinquecento come Appendix Vergiliana) fu composto tra il 44 a.C. ed il 38 a.C. tra Roma e Napoli;

  • Alla spicciolata (Catalepton)

  • Focaccia (Moretum)

  • Canti a Priapo (Priapea)

  • Epigrammi (Epigrammata): che comprendono le Rose (Rosae), E non è (Est et non), Uomo buono (Vir bonus), Elegia in Maecenatis obitu, Hortulus, Il vino e Venere (De vino et Venere), Il livore (De livore), Il canto delle Sirene (De cantu Sirenarum), Il giorno natale (De die natali), La fortuna (De fortuna), Su Orfeo (De Orpheo), Su sè stesso (De se ipso), Le età degli animali (De aetatibus animalium), Il gioco (De ludo), De aerumnis Herculis, De Musarum inventis, Lo specchio (De speculo), Mira Vergilii versus experientia, Mira Vergilii experientia, I quattro tempi dell'anno (De quattuor temporibus anni), La nascita del sole (De ortu solis), I lavori di Ercole (De Herculis laboribus), La lettera Y (De littera Y), ed I segni celesti (De signis caelestibus).

  • Oste (Copa) (solo secondo il biografo Servio)

  • Maledizioni (Dirae)

  • Airone (Ciris)

  • Zanzara (Culex)

  • Etna (Aetna)

  • Gesta romane (Res romanae), opera solo progettata e poi abbandonata

Opere successive:

  • Bucoliche (Bucolica): composte nel triennio tra il 42 ed il 39 a.C., sono una raccolta di dieci ecloghe di stile perlopiù bucolico e che seguono il modello del poeta siciliano Teocrito. La quarta ecloga è dedicata a Pollione, la sesta a Varo, e la decima a Gallo: tre potenti governatori della provincia cisalpina presso cui il poeta sperava di trovare favore per rientrare in possesso delle proprie terre perdute durante l’esproprio.

  • Georgiche (Georgicon): composte a Napoli in sette anni (tra il 36 a.C. ed il 29 a.C.) e suddivise in quattro libri. È un poema didascalico sul lavoro dei campi, sull’arboricoltura (in particolare della vite e dell’olivo), sull’allevamento e sull'apicoltura come metafora di un’ideale società umana.

 

 

Ciascun libro presenta una digressione: il primo sulla morte di Cesare, il secondo con un elogio all’Italia, il terzo sulla peste. Il poema si conclude con l’esposizione del mito di Aristeo. In realtà, nella prima stesura delle Georgiche, la conclusione del IV libro era dedicata a Cornelio Gallo ma, caduto questi in disgrazia presso Augusto, a Virgilio fu poi ordinato di concludere l’opera in modo diverso. L’opera fu dedicata a Mecenate. Si tratta sicuramente di uno dei più grandi capolavori della letteratura latina e l’espressione più alta dell’autentica e vera poesia virgiliana. I modelli qui seguiti sono Esiodo e Varrone.

 

 

  • Eneide (Aeneis): poema epico composto a Napoli, Atella ed in Sicilia in dieci anni (tra il 29 a.C. ed il 19 a.C.) e suddiviso in dodici libri. Opera monumentale, considerata dai contemporanei alla stregua di un’Iliade latina, fu il libro ufficiale sacro all’ideologia del regime di Augusto sancendo l’origine e la natura divina del potere imperiale. Naturalmente il modello fu Omero. Essa narra la storia di Enea, esule da Ilio e fondatore della divina gens Giulia. Secondo alcuni biografi l’opera si sarebbe dovuta articolare in ventiquattro libri, che comprendevano la storia romana fino ai tempi di Augusto. Il poema rimase privo di revisione, e nonostante Virgilio prima di partire per l’Oriente ne chiedesse la distruzione e ne vietasse la diffusione in caso di sua morte, esso fu pubblicato per volere dell’imperatore.

Nel XV secolo il poeta Maffeo Vegio compose in esametri il Supplementum Aeneidos, cioè il tredicesimo libro a completare il poema virgiliano.

 

La Fama

La fama del vate dopo la morte fu tale che egli fu considerato una divinità degna di ricevere onori, lodi, preghiere, e riti sacri. Già Silio Italico (appena un secolo dopo), che acquistò la villa e la tomba di Virgilio, istituì una celebrazione in memoria del Mantovano nel suo giorno di nascita (le Idi di Ottobre). In tal modo questa celebrazione si tramandò anno per anno nei primi secoli dell'era volgare, diventando un punto di riferimento importante soprattutto per il popolo napoletano che vide in Vergilius il suo secondo patrono e spirito protettore della città di Napoli, dopo la vergine Partenope. Ai suoi resti (cenere ed ossa), conservati nel sepolcro da lui stesso concepito secondo forme e proporzioni pitagoriche, fu attribuito il potere di proteggere la città dalle invasioni e dalle calamità. Nonostante le divinità pagane venissero dimenticate, di Virgilio si mantenne comunque intatto il ricordo, e le sue opere furono interpretate cristianamente.

 

 

Egli divenne in particolare un simbolo dell’identità e della libertà politica di Napoli: fu per questo che nel XII secolo i conquistatori normanni, col consenso interessato della Chiesa di Roma, acconsentirono ad un filosofo e negromante inglese di nome Ludowicus di profanare il sepolcro di Virgilio con lo scopo di rimuovere ed asportare il vaso con le sue ossa, al fine di indebolire e sottomettere Napoli al potere normanno distruggendo l’oggetto di culto che era la base simbolica della sua autonomia. I resti di Virgilio furono salvati dalla popolazione che li trasferì all’interno di Castel dell'Ovo...

 

Nota di IniziazioneAntica: "è plausibile un'ipotesi al riguardo, ovvero che la leggenda di Castel dell'Ovo debba attribuirsi proprio all'urna a forma ovoidale contenente le ceneri di Virgilio."

 

...ma in seguito vennero qui sotterrati e nascosti per sempre ad opera dei Normanni. Da allora i napoletani ritennero che il potere protettivo del Poeta verso la città fosse vanificato. E la storia di Napoli (caratterizzata da lunghe dominazioni straniere e dalla mancanza di autonomia) nei secoli successivi al XII sembra confermare la loro convinzione. Il ricordo di Virgilio però, soprattutto nel popolo napoletano, rimase sempre vivo. Alla fama di sapiente per la tradizione colta, con il tempo si affiancò quella di mago nella tradizione popolare, inteso come uomo che conosce i segreti della natura e ne fa uso a fin di bene. Di tale interpretazione ci resta un corpus basso-medievale di leggende che hanno come sfondo soprattutto le città di Roma e Napoli: ad esempio, tanto per citarne una, quella che lo vede costruttore del Castel dell'Ovo magicamente edificato sopra il guscio di un uovo magico di struzzo che si sarebbe rotto solo quando la fortezza fosse stata definitivamente espugnata, oppure quella che riguarda la creazione e l’occultamento sotterraneo di una specie di palladio (una riproduzione in miniatura della città di Napoli contenuta in una bottiglia vitrea dal collo finissimo) che per magia protesse la città dalle sciagure e dalle invasioni finché non fu trovato e distrutto da Corrado di Querfurt, cancelliere dell’imperatore Enrico VI inviato nel XII secolo a conquistare il Regno di Sicilia (che allora comprendeva anche la città di Napoli). Durante l’alto Medioevo Virgilio fu letto con ammirazione, il che permise alle sue opere di essere tramandate completamente. L’interpretazione dell’opera virgiliana utilizzò largamente lo strumento dell’allegoria: al poeta fu infatti attribuito un ruolo di profeta di Cristo, basandosi su un brano delle Bucoliche (la IV ecloga) annunciante la venuta di un bambino che avrebbe riportato l'età dell'oro e identificato per questo con Gesù.

 

 

Oh Muse sicule, alziamo un poco il tono del canto:
non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici;
se cantiamo le selve, le selve siano degne di un console.
E' arrivata l'ultima età dell'oracolo cumano:
il grande ordine dei secoli nasce di nuovo.
E già ritorna la vergine, ritornano i regni di Saturno,
già la nuova progenie discende dall'alto del cielo.
Tu, o casta Lucina, proteggi il fanciullo che sta per nascere,
con cui finirà la generazione del ferro e in tutto il mondo
sorgerà quella dell'oro: già regna il tuo Apollo.
Sotto di te console inizierà la gloria di quest'era,
o Pollione, e i grandi mesi cominceranno a trascorrere.
Con te guida, se resteranno vestigia dei nostri delitti,
esse saranno vanificate e le terre sciolte da perpetua paura.
Egli riceverà la vita degli dei, egli vedrà gli eroi
misti agli dei, ed egli stesso apparirà ad essi,
e reggerà l'orbe pacato dalle virtù patrie.
Per te, o fanciullo, la terra senza essere coltivata,
spargerà i primi piccoli doni, le edere erranti
qua e là con la baccara e la colocasia con il ridente acanto.
Le capre riporteranno da sole le mammelle piene
di latte, e gli armenti non temeranno i grandi leoni.
La stessa culla spargerà per te blandi fiori.
Anche il serpente scomparirà, anche la fallace erba di veleno
scomparirà; ovunque nascerà l'assiro amomo.
E quando già leggerai le lodi degli eroi
e le imprese del padre, e potrai conoscere cosa sia la virtù,
a poco a poco la campagna imbiondirà di molle spiga,
dagli incolti pruni penderà l'uva rosseggiante,
e le dure querce stilleranno miele rugiadoso.
Tuttavia resteranno poche vestigia dell'antica frode,
che faranno affrontare Teti, che faranno cingere di mura
le città, che faranno incidere di solchi la terra.
Allora vi sarà un altro Tifi e un'altra Argo
che trasporti eroi scelti; vi saranno anche altre guerre,
e di nuovo sarà mandato a Troia il grande Achille.
Poi, quando la salda età ti avrà fatto uomo,
il mercante da solo si ritirerà dal mare, né le navi di pino
scambieranno merci; la terra produrrà tutto.
Il suolo non patirà rastrelli, né la vigna la falce;
anche il robusto aratore scioglierà i tori dal giogo;
e la lana non imparerà più a fingere i vari colori,
ma l'ariete da sé nei prati muterà il colore del vello
con la porpora soavemente rosseggiante, con giallo del croco:
spontaneamente il carminio vestirà gli agnelli pascolanti.
"Tali secoli affrettate", dissero ai loro fusi
le Parche concordi nell'immutabile volontà del Fato.
Sarà già tempo di raggiungere gli alti onori,
o cara prole degli Dei, o grande rampollo di Giove!
Guarda il mondo che scuote la convessa mole,
e le terre e le distese del mare, e il profondo cielo!
O mi rimanga l'ultima parte di una lunga vita,
e mi basti lo spirito per celebrare le tue imprese:
Né il tracio Orfeo né Lino mi potranno vincere
nel canto, sebbene l'uno assista la madre, l'altro
il padre, Orfeo Calliope, il bel Lino Apollo.
Anche se Pan gareggiasse con me, a giudizio di Arcadia,
persino Pan si dichiarerebbe vinto, a giudizio di Arcadia.
Comincia, o piccolo fanciullo, a riconoscere col sorriso la madre:
alla madre nove mesi arrecarono lunghi travagli.
Comincia, o piccolo fanciullo: a chi non sorrisero i genitori,
né un dio concesse la mensa, né una dea un letto.

VIRGILIO, Bucoliche, Egloga IV

 

Virgilio venne quindi rappresentato come vate, maestro e profeta nella Divina Commedia (Purgatorio, canto XXII, vv. 67-72) da Dante Alighieri, il quale ne fece la propria guida attraverso i gironi dell'Inferno e del Purgatorio.

 

 

« O de li altri poeti onore e lume,
vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore
che m' ha fatto cercar lo tuo volume. 
»

 

(Inferno, Canto I, 81-83)

 

La Leggenda Virgiliana

 

Come stretto amico di personaggi di potere e di grandissima influenza come l’imperatore Augusto, del governatore provinciale dell’Egitto Gaio Asinio Pollione e del ricco Gaio Cilnio Mecenate, il grande poeta poté beneficare in molti modi la città di Napoli in cui tanto amava risiedere. I suoi biografi medioevali infatti ci narrano che fu Virgilio a consigliare all’imperatore di costruire un acquedotto (proveniente dalle sorgenti nei pressi di Serino nell’avellinese) che servisse questa ed anche altre città, come Nola, Avella, Pozzuoli e Baia. Inoltre esortò Augusto a creare per Napoli una rete di pozzi e fontane per l’approvvigionamento idrico, un sistema fognario di cloache e complessi termali terapeutici a Baia e Pozzuoli, per cui fu anche necessario scavare un grandioso traforo nella collina di Posillipo, l’odierna "Grotta di Posillipo", nota per tale motivo fino al XIV sec. come "Grotta di Virgilio".

 

 

Un altro provvedimento che il vate fece adottare all’imperatore fu l’istituzione di un particolare gioco di lotta tra gladiatori, allora noto come "gioco della Carbonara", da cui probabilmente deriva l'odierno toponimo della via della Carbonara (sita nel quartiere di S. Lorenzo). Infine, Virgilio, essendo grandemente appassionato di divinazione e del mondo della religione in generale (come traspare anche dalle sue opere letterarie), fece installare due sculture di teste umane in marmo, una maschile e allegra, l’altra femminile e triste, sulle mura della città e precisamente ai lati della porta di Forcella al fine di fornire un presagio casuale fausto o infausto (una sorta di innocua cefalomanzia minerale) per i cittadini di passaggio. Con l’allargamento delle murazioni orientali in epoca aragonese, le teste furono trasferite nella lussuosa villa reale di Poggioreale che andarono però perdute a causa della distruzione del complesso. Come riportano i suoi più antichi biografi, Virgilio aderì al neopitagorismo, corrente filosofica e magica allora molto diffusa nella Magna Grecia, ed in particolare a Neapolis, una delle poche città del Meridione che dopo la conquista romana aveva conservato la sua vita culturale genuinamente ellenica. In quanto filosofo neopitagorico e mago gli sono attribuiti nove talismani di protezione per la città di Napoli che tanto amò, secondo i biografi medioevali e rinascimentali (tra cui spicca Paracelso).

 

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