La Festa Cristiana di San
Valentino e la Festa Pagana dei LupercaliaUna ricerca a cura di
IniziazioneAntica
San Valentino, detto anche San Valentino da Terni o San Valentino da Interamna, Terni, 176 circa
– Roma, 14 febbraio 273, è stato un vescovo romano, martire.Venerato
come santo dalla Chiesa cattolica, da quella ortodossa e successivamente
dalla Chiesa anglicana, è considerato patrono degli innamorati e protettore
degli epilettici. La più antica notizia di San Valentino è in Martyrologium
Hieronymianum, un documento ufficiale della Chiesa dei secc. V-VI dove
compare il suo nome e anniversario di morte. Ancora nel secolo VIII un altro
documento, Passio Sancti Valentini, ci narra alcuni particolari del martirio:
la tortura, la decapitazione notturna, la sepoltura a Terni ad opera dei
discepoli Proculo, Efebo e Apollonio, il successivo martirio di questi e la loro
sepoltura.
Agiografia
Nato a Interamna, oggi Terni, in una famiglia patrizia, fu convertito al
cristianesimo e consacrato vescovo di Terni nel 197, a soli 21 anni. Nell'anno
270 Valentino si trovava a Roma, giunto su invito dell'oratore greco e latino
Cratone, per predicare il Vangelo e convertire i pagani.
Invitato dall'imperatore
Claudio II il Gotico a sospendere la celebrazione religiosa e ad abiurare la
propria fede, rifiutò di farlo, tentando anzi di convertire l'imperatore al
cristianesimo. Claudio II lo graziò dall'esecuzione capitale affidandolo a una
nobile famiglia.
Valentino venne arrestato una seconda volta sotto
Aureliano,
succeduto a Claudio II. L'impero proseguiva nelle sue persecuzioni contro i
cristiani e, poiché la popolarità di Valentino stava crescendo, i soldati romani
lo catturarono e lo portarono fuori città lungo la via Flaminia per flagellarlo,
temendo che la popolazione potesse insorgere in sua difesa. Fu decapitato il 14
febbraio 273, a 97 anni, per mano del soldato romano Furius Placidus, agli
ordini dell'imperatore Aureliano. Secondo
alcune fonti Valentino sarebbe stato giustiziato perché aveva celebrato il
matrimonio tra la cristiana Serapia e il legionario romano Sabino, che invece
era pagano: la cerimonia avvenne in fretta, perché la giovane era malata; e i
due sposi morirono, insieme, proprio mentre Valentino li benediceva. A chiudere
il cerchio della tragedia sarebbe poi intervenuto il martirio del celebrante. Il
Culto
Le sue spoglie furono sepolte sulla collina di Terni, al LXIII miglio della via
Flaminia, nei pressi di una necropoli. Le reliquie del Santo sono nella Chiesa
della Madonna di Loreto a Rovereto. Sul luogo sorse nel IV secolo una basilica
nella quale attualmente sono custodite, racchiuse in una teca, le reliquie del
santo: pare che esse siano state portate nella città dai tre discepoli del
filosofo Cratone, Apollonio, Efebo e Procuro, convertiti dal futuro santo, e che
per questo motivo siano stati martirizzati.Sono
molte le leggende entrate a far parte della cultura popolare, su episodi
riguardanti la vita di San Valentino:
Una di esse narra che Valentino, graziato ed "affidato" ad una nobile famiglia,
compì il miracolo di ridare la vista alla figlia cieca del suo "carceriere":
Valentino, quando stava per essere decapitato, teneramente legato alla giovane,
la salutò con un messaggio d'addio che si chiudeva con le parole: « [...] dal
tuo Valentino...».
Un'altra, di origine statunitense, narra come un giorno il vescovo,
passeggiando, vide due giovani che stavano litigando ed andò loro incontro
porgendo una rosa e invitandoli a tenerla unita nelle loro mani: i giovani si
allontanarono riconciliati. Un'altra versione di questa storia narra che il
santo sia riuscito ad ispirare amore ai due giovani facendo volare intorno a
loro numerose coppie di piccioni che si scambiavano dolci gesti d'affetto; da
questo episodio si crede possa derivare anche la diffusione dell'espressione
piccioncini.I LupercaliaLa
festa di San Valentino ricorre annualmente il 14 febbraio, ed oggi è
conosciuta e festeggiata in tutto il mondo. È molto probabile che le sue origini
affondino nel IV secolo, per sostituire la festa pagana dei Lupercalia, gli
antichi riti pagani dedicati al dio della fertilità Luperco: questi riti si
celebravano il 15 febbraio e prevedevano festeggiamenti sfrenati ed erano
apertamente in contrasto con la morale e l'idea di amore dei cristiani. In
particolare il clou della festa si aveva quando le matrone romane si offrivano,
spontaneamente e per strada, alle frustate di un gruppo di giovani nudi, devoti
al selvatico Fauno Luperco. Anche le donne in dolce attesa si sottoponevano
volentieri al rituale, convinte che avrebbe fatto bene alla nascita del pargolo.
In fondo, ad alleviare il dolore bastava lo spettacolo offerto dai corpi di quei
baldi giovani, che si facevano strada completamente nudi o, al massimo, con un
gonnellino di pelle stretto intorno ai fianchi. Per "battezzare" la festa
dell'amore, il Papa Gelasio I nel 496 d.C. decise di spostarla al giorno
precedente - dedicato a San Valentino - facendolo diventare in un certo modo il
protettore degli innamorati.
Tale tradizione fu poi diffusa dai benedettini, primi custodi della basilica
dedicata al santo in Terni, attraverso i loro monasteri prima in Italia e quindi
in Francia ed in Inghilterra. Molte tradizioni legate al santo sono
riscontrabili nei paesi in cui egli è venerato come patrono.
La figura di Valentino come santo patrono degli innamorati viene tuttavia messa
in discussione da taluni che la riconducono a quella di un altro sacerdote
romano, anch'egli decapitato pressappoco negli stessi anni.I
Lupercali in latino: Lupercalia, erano una festività romana che si celebrava
nei giorni nefasti di febbraio, mese purificatorio dal 13 fino al 15 febbraio,
in onore del dio Fauno nella sua accezione di Luperco, in latino Lupercus, cioè
protettore del bestiame ovino e caprino dall'attacco dei lupi. Secondo Plutarco
sembra fossero dei riti di purificazione.
Secondo un'altra ipotesi, avanzata da
Dionigi di Alicarnasso, i Lupercalia ricordano il miracoloso allattamento
dei due gemelli Romolo e Remo da parte di una lupa che da poco aveva partorito;
Plutarco dà
una descrizione minuziosa dei Lupercalia nelle sue
Vite
parallele. I Lupercalia venivano celebrati nella grotta chiamata appunto
Lupercale, sul colle romano del Palatino dove, secondo la leggenda, i fondatori
di Roma, Romolo e Remo, sarebbero cresciuti allattati da una lupa. Properzio
accennò al culto di Luperco nella prima elegia del quarto libro delle Elegie,
descrivendone in un verso l'origine, risalente a suo dire agli albori dell'Urbe.La
festività si svolgeva a metà febbraio, con il suo culmine il 15 febbraio, perché
questo mese era il culmine del periodo invernale nel quale i lupi, affamati, si
avvicinavano agli ovili minacciando le greggi. Era quindi situata quasi alla
fine dell'anno, considerando che i Romani festeggiavano il nuovo anno il 1º
marzo. Le
origini della festa sono avvolte nella leggenda: secondo Dionisio di
Alicarnasso e Plutarco, i Lupercali potrebbero essere stati istituiti da
Evandro, che aveva recuperato un rito arcade. Tale rito consisteva in una
corsa a piedi degli abitanti del Palatino, allora chiamato Pallanzio, dalla
città dell'Arcadia di Pallanteo, senza abiti e con le pudenda coperte dalle
pelli degli animali sacrificati, tutto in onore di Pan Liceo "dei lupi".
Secondo una leggenda narrata da Ovidio, al tempo di re Romolo vi sarebbe stato
un prolungato periodo di sterilità nelle donne. Uomini e donne si recarono
perciò in processione fino al bosco sacro di Giunone, ai piedi dell'Esquilino, e
qui si prostrarono in atteggiamento di supplica. Attraverso lo stormire delle
fronde, la dea rispose, sgomentando le donne, che le donne dovevano essere
penetrate inito, che rimanda a Inuus, altro nome di Fauno, da un sacro caprone,
ma un augure etrusco interpretò l'oracolo nel giusto senso, sacrificando un
capro e tagliando dalla sua pelle delle strisce con cui colpì la schiena delle
donne e dopo dieci mesi lunari le donne partorirono.
I Lupercalia hanno alcuni elementi comuni con il culto falisco di
Hirpi Sorani
"Lupi di Soranus", dalla lingua Sabina hirpus = "lupo", praticato sul Monte
Soratte.
I Lupercalia furono una delle ultime feste romane ad essere abolite dai
cristiani. In una lettera di papa Gelasio I si riferisce che a Roma durante il
suo pontificato, quindi negli anni fra il 492 e il 496, si tenevano ancora i
Lupercali, sebbene ormai la popolazione fosse da tempo, almeno nominalmente,
cristiana. Nel 495 Gelasio scrisse questa lettera, in realtà un vero e proprio
trattato confutatorio, ad Andromaco, l'allora princeps Senatus, rimproverandolo
della partecipazione dei cristiani alla festa. Si ignora se la festa sia stata
abolita quell'anno, come riteneva il cardinale Cesare Baronio o se sia
sopravvissuta per qualche tempo ancora. William Green riteneva che probabilmente
il significato religioso della festa fosse andato perduto, del resto era già
trascorso un secolo dalla proibizione dei culti romani decretata per legge da
Teodosio I e che ormai avesse un carattere puramente folklorico. Più tardi, nel
VII secolo, venne istituita la festa della Candelora e collocata al 2 febbraio.
Tra le cerimonie pagane romane che Giacomo Boni mise in programma per il primo
anniversario della marcia su Roma, ci fu anche il ripristino delle corse dei
Lupercalia, inaugurate con l'esplorazione dell'antro celeberrimo, scrive Boni.La
festa era celebrata da giovani sacerdoti chiamati Luperci, seminudi con le
membra spalmate di grasso e una maschera di fango sulla faccia; soltanto intorno
alle anche portavano una pelle di capra ricavata dalle vittime sacrificate nel
Lupercale.
I Luperci, diretti da un unico magister, erano divisi in due schiere di dodici
membri ciascuna chiamate Luperci Fabiani, "dei Fabii" e Luperci Quinziali, "dei
Quinctii", ai quali per un breve periodo Gaio Giulio Cesare aggiunse una terza
schiera chiamata Luperci Iulii, in onore di sé stesso. Secondo Dumézil
è probabile che in origine le due schiere fossero formate dai membri delle
gentes dalle quali prendono il nome cioè i Fabii e i Quinctii. Secondo
Mommsen
un indizio potrebbe essere il fatto che il nome Kaeso si trova soltanto tra i
membri di quelle due gentes e sarebbe collegato al februis caedere, cioè al
tagliare, caedere, le strisce, februa, dalla pelle delle capre sacrificate.
Sulla base di alcuni passi di Livio, si è ritenuto generalmente che i luperci
Fabiani fossero originari del Quirinale e i Quinziali del Palatino, ma ciò è
contestata da Dumézil, per il quale non ci sono sufficienti motivi per trarre
questa deduzione, anche perché i riti dei Lupercalia sono strettamente legati
soltanto al colle Palatino e non anche al Quirinale.
In età repubblicana i Luperci erano scelti fra i giovani patrizi ma da Augusto
in poi la cosa fu ritenuta sconveniente per loro e ne fecero parte solo giovani
appartenenti all'ordine equestre. Plutarco riferisce nella vita di Romolo che il
giorno dei Lupercalia, venivano iniziati due nuovi luperci, uno per i Luperci
Fabiani e uno per i Luperci Quinzialim nella grotta del Lupercale; dopo il
sacrificio di capre e pare di un cane, i due nuovi adepti venivano segnati sulla
fronte intingendo il coltello sacrificale nel sangue delle capre appena
sacrificate. Il sangue veniva quindi asciugato con lana bianca intinta nel latte
di capra, al che i due ragazzi dovevano ridere.Grotta
del Lupercale - Play
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004Questa
cerimonia è stata interpretata come un atto di morte e rinascita rituale, nel
quale la "segnatura" con il coltello insanguinato rappresenta la morte della
precedente condizione "profana", mentre la pulitura con il latte, nutrimento del
neonato e la risata rappresentano invece la rinascita alla nuova condizione
sacerdotale.
Venivano poi fatte loro indossare le pelli delle capre sacrificate, dalle quali
venivano tagliate delle strisce, le februa o amiculum Iunonis, da usare come
fruste. Dopo un pasto abbondante, tutti i luperci, compresi i due nuovi
iniziati, dovevano poi correre intorno al colle saltando e colpendo con queste
fruste sia il suolo per favorirne la fertilità sia chiunque incontrassero, ed in
particolare le donne, le quali per ottenere la fecondità in origine offrivano
volontariamente il ventre, ma al tempo di Giovenale ai colpi di frusta tendevano
semplicemente le palme delle mani.
In questa seconda parte della festa i luperci erano essi stessi
contemporaneamente capri e lupi: erano capri quando infondevano la fertilità
dell'animale, considerato sessualmente potente, alla terra e alle donne
attraverso la frusta, mentre erano lupi nel loro percorso intorno al Palatino.
Secondo Quilici, la corsa intorno al colle doveva essere intesa come un
invisibile recinto magico creato dagli scongiuri dei pastori primitivi a
protezione delle loro greggi dall'attacco dei lupi; la stessa offerta del capro
avrebbe dovuto placare la fame dei lupi assalitori. Tale pratica inoltre non
doveva essere stata limitata al solo Palatino ma in epoca preurbana doveva
essere stata comune a tutte le località della zona, ovunque si fosse praticato
l'allevamento ovino.
C'è incertezza sull'etimologia delle parole Lupercalia, Luperci e Lupercus,
anche se la base è sicuramente costituita dalla parola lupus, "lupo". Secondo
Karl Kerényi, il carattere dei Luperci farebbe pensare alla sovrapposizione in
loro di due rappresentazioni opposte: da una parte quella del lupo che sarebbe
originaria e proveniente dal nord Europa, dall'altra il capro, successivo e
proveniente dal sud. Per Andreas Alföldi i Luperci sarebbero un relitto del "Männerbund"
che avrebbe fondato Roma. Secondo Dumézil, invece, i Luperci rappresentavano gli
spiriti divini della natura selvaggia subordinati a Fauno. Nel giorno dei
Lupercalia, infatti, l'ordine umano regolato dalle leggi si interrompeva e nella
comunità faceva irruzione il caos delle origini, che normalmente risiede nelle
selve.Secondo Dumézil, i Lupercali avrebbero avuto in origine anche la funzione
di conferma della regalità adducendo come indizi alcuni passi compiuti da Cesare
nel suo piano di restaurazione della monarchia a Roma. Egli infatti istituì una
terza schiera di Luperci che intitolò a sé stesso i Luperci Iulii e inscenò un
tentativo di incoronazione durante i Lupercali dell'anno 44 a.C., facendosi
offrire una corona intrecciata d'alloro da Marco Antonio che era uno dei Luperci;
viste le reazioni del pubblico, Cesare rifiutò la corona e la fece portare come
offerta al tempio di Giove in Campidoglio[30]. In particolare l'atto di Marco
Antonio che esce dal gruppo dei Lupercali e, nudo, balza sui rostri per
incoronare Cesare, potrebbe essere, sempre secondo Dumézil, la riproposizione di
una scena antica all'epoca ancora viva nella memoria popolare.