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ricerche a cura del dott. Luigi Braco


Arturo Reghini nacque in Firenze il 12 novembre 1878 da antica ed illustre famiglia. Dotato d’intelligenza vivacissima e non comune, di profondo spirito critico, d’ampia chiarezza di vedute, ebbe in dono dalla terra natale la pura eleganza dell’espressione, l’arguzia profonda e talora mordace, l’impulso polemico. Lo studio diligente d’ogni disciplina sviluppò le sue doti, arricchendo la mente di vaste e profonde cognizioni, equilibrando le conquiste dell’interna discendi cupiditas con le esigenze della critica più rigorosa, onde l’azione interiore ed esteriore trovò norma severa nell’abitudine alla scienza. L’ambiente fiorentino che frequentava valse ad affinare l’arma della dialettica, ponendolo a contatto con letterati, artisti, filosofi, scienziati ed uomini politici dalle tendenze più varie, con le più belle intelligenze dell’epoca. Ritengo che raramente possa raccogliersi in una sola persona tal somma di conoscenze: una preparazione umanistica da consentire l’approfondimento del pensiero classico nei testi originali, la conoscenza delle principali lingue moderne e di molte antiche, un gusto raffinato e capacità di comprendere l’arte in tutte le sue manifestazioni. Divenne quel che si suol chiamare un erudito. Oltre a ciò, doti rarissime, di gran lunga eccedenti quelle dei migliori, guidate e sviluppate nella disciplina dell’Arte, ne fecero un essere eccezionale. Fu a Roma varie volte, anche per lunghi periodi, prima di stabilirvisi. A Roma venne nel ’96, conobbe la Sig.ra Isabel Cooper-Oakley, delegata da Helena Petrovna Blavatsky; insieme a lei ed altri fondò, nel 1898, la sede centrale italiana della Società Teosofica, alla cui attività partecipò con conferenze, spesso movimentate per l’acume della critica. Sul finire del ’98 si recò a Torino dove costituì quel gruppo teosofico che fece capo al dotto G. Sulli Rao ed alla Ars Regia. Nel 1902, a Palermo, fu iniziato alla R. Loggia «I Rigeneratori», di Rito A. e P. di Memphis e Misraim; tornato a Firenze, nel 1903 si affiliò alla R. L. «Michele di Lando», alle dipendenze del Gr. O. Italiano sedente a Milano, di cui era Gr. Maestro Malachia De Cristoforis. La Loggia «Michele di Lando» si sciolse e si riordinò, senza interruzione dei lavori, nel 1905, col nome di «Lucifero», ed A. R. ne fu uno dei fondatori; in quello scorcio di tempo fu compiuta la fusione tra il Gr. O. di Milano e quello di Palazzo Giustiniani. A Firenze, A. R. frequentò il Caffè delle Giubbe Rosse e qualche volta il Paszkowski, partecipò al movimento de «La Voce» e de «La Fronda», conobbe Papini, Prezzolini, Campa, Macinai, Augusto Hermet, Roberto Assagioli, il gruppo di «Lacerba» ecc. Nel 1903 fondò la Biblioteca filosofica che diresse sino al 1908, dove raccolse preziosissime opere anche massoniche. Accolto nella migliore società, ricercato per la sua conversazione e pel suo sapere, contribuì alla ripresa dei valori dello spirito che alla fine del secolo reagirono al soffocante materialismo; era l’epoca in cui teosofia e spiritismo, occultismo e magia e tutte le cosiddette scienze iniziatiche destavano il maggiore interesse. Qualcuno forse rammenta di aver udito accennare, o di aver letto, fugaci accenni ad una Tradizione autoctona, di pretto carattere Italico, trasmessa da epoca arcaica e tuttora esistente; qualche studioso di cose massoniche sa che, dopo la creazione della Gran Loggia di Londra, nel periodo della massima espansione della fratellanza iniziatica così rinnovata nella forma, vi fu chi, dall’Inghilterra e dalla Francia, venne qui, a cercare quelle regole dell’Arte che si sapevano qui note, e non altrove. A. R., studente a Pisa, udì una sera chiamarsi da un giovane sconosciuto; furono insieme, e con altri, per molti anni, in una comunione d’opera e di spirito, che talora apparve all’occhio attonito del volgo come prodigio e fiaba. Quell’incontro segnò l’origine di ciò che fu la missione di A. R. nella massoneria italiana e nella massoneria universale, nel campo politico ed in quello degli studi iniziatici. A. R. fu iniziato nel senso più alto della parola: le prove dei cinque elementi furono da lui vissute non solo come attore d’una cerimonia che è oggi appena un’eco lontana ed ha conservato un’esteriore affinità cogli antichi misteri, ma furono realtà profonda, tenace anelito, ardua realizzazione del suo spirito; l’oltrepassare la soglia della morte fu non solo simbolo rituale, ma reale esperienza, visione, conoscenza. Raggiunta l’illuminazione, concretò rapidamente l’azione da svolgere, unica nell’essenza, duplice nella forma: ricondurre la massoneria alla sua funzione iniziatica, sfrondandola dagli elementi deteriori; orientare la società verso un ordinamento basato sui valori spirituali. Un’azione dall’interno, nella massoneria così com’era costituita, trovava la massima difficoltà di attuazione negli attriti che avrebbe indubbiamente provocato in fratelli che seguivano altri indirizzi; onde si pensò di creare una nuova organizzazione, che fu il Rito Filosofico Italiano, fondato nel 1909 da Eduardo Frosini, A. R., Alessandro Cavalli, Umberto Maggi, Amerigo Bianchini, Alberto Gennari, Vittorio Falorsi ed altri. Il Rito Filosofico, oltre il contenuto iniziatico, ebbe per scopo di giungere alla fusione in unico organismo delle varie massonerie italiane, da attuarsi in un primo tempo mediante un sistema federativo, che fu realizzato col Rito Scozzese di Cerneau, col Rito Orientale A. e P. di Memphis e Misraim, col Rito Martinista, più tardi con i Templari e con altri gruppi minori. Ebbe una notevole fortuna, riuscendo a raggruppare elementi di prim’ordine, ma fu scompaginato nelle sue file dagli eventi della prima guerra  mondiale; si fuse nel 1919 con la Massoneria di Rito Scozzese A. ed A. di P.za del Gesù; più tardi, E.Frosini la ricostituì indipendente e tuttora esiste, nuovamente ricostituita dopo la caduta del fascismo. Per agire sul piano sociale, A. R. immaginò un movimento, il cui contenuto ideale venne dichiarato in un articolo, scritto nel 1913 e pubblicato nel ’14 sulla rivista «Salamandra», col titolo: «Imperialismo pagano». In esso A. R., richiamandosi alle doti migliori ed universalmente riconosciute del popolo Italiano, al talento comune, alla genialità di molti, all’operosità costante, a tutto quanto dalla nostra terra era stato donato all’umanità nel corso dei secoli, auspicava un rinnovamento di azione concorde, tale da consentire di riprendere il perduto primato in ogni campo, spirituale, morale, artistico, legislativo, commerciale ecc.; e ristabilire l’imperium non con la violenza delle armi, ma col divenire e coll’essere migliori di tutti gli altri popoli. La storia insegna che nell’ebraismo, nel cristianesimo e nell’islamismo ebbe radici ed amari frutti l’intolleranza religiosa, che il paganesimo non conobbe; l’intolleranza è contraria a tutte le libertà (e non soltanto alla libertà di religione, di culto o di pensiero); e nel pensiero di A. R., nella visione di una società universale organizzata secondo la gerarchia dei valori spirituali, dove impero è sinonimo di ordine e di libertà, di tolleranza e di mutuo rispetto, questi concetti vennero espressi con l’aggettivo pagano. Non è possibile ora chiarire maggiormente questo particolare aspetto del pensiero di A. R., che solo i più intimi poterono approfondire, mentre ad altri apparve come una banale forma di anticlericalismo paganeggiante; tralascio anche il diffondermi sulle fortune e le deviazioni e derivazioni del movimento iniziato da A. R. A. R. amò profondamente la patria e predilesse Roma. Qui si trovò nel 1911 ad organizzare una manifestazione pel 21 aprile, con un manifesto che destò la sorpresa dei Romani immemori; qui si trovò ancora più tardi, quando, fervente interventista, animava con la sua eloquenza i moti popolari che chiedevano il riscatto dei fratelli dal giogo straniero; qui si trovò quando, nel maggio del 1915, al termine di una dimostrazione sul Campidoglio, alzata una bandiera, condusse la folla al Quirinale a chiedere e ad ottenere la dichiarazione di guerra, alla quale partecipò attivamente; raggiunse il grado di Capitano del Genio. Nel ’21 tornato ai prediletti studi, collaborando in giornali e riviste, si trasferì a Roma dove, già noto ed apprezzato, assunse le funzioni di redattore-capo della Rassegna Massonica, che tenne sino al ’26, svolgendo inoltre una proficua attività con le potenze massoniche estere, molte delle quali vollero nominarlo membro onorario dei rispettivi Supremi Consigli. Il nostro incontro era, in un certo senso, fatale; conobbi A. R. quando stava preparando il suo volume su «Le parole sacre e di passo ed il massimo mistero massonico», pubblicato nel ’22. Abitava in quell’epoca in una modesta stanza, dove la cosa più interessante, dopo la sua persona, era uno scaffaletto con i suoi libri; ebbi modo di vederlo sovente, stringendo quel vincolo di profonda amicizia che doveva durare per 25 anni, fino alla sua morte. Nel ’24 fondò e diresse la rivista di studi iniziatici Atanòr, che, nel ’25, continuò nella rivista Ignis; sono due annate preziose, dove in molti articoli A. R. profuse la sua erudizione, il suo spirito, il suo alto insegnamento. Poi sopraggiunse lo scioglimento della massoneria. La figura, l’opera ed il pensiero di A. R. erano troppo noti, perché egli non divenisse oggetto di particolari attenzioni da parte di chi fu, per tanti anni, arbitro dei destini d’Italia e di ogni singolo cittadino; l’attività massonica di A. R. dovette, per forza di cose, diminuire notevolmente, dopo lo scioglimento dell’ordine, la devastazione e l’occupazione delle sedi, limitandosi ai contatti con quei pochissimi più fidi che gli erano rimasti vicini e lo frequentavano a tutto loro rischio e pericolo. Sopraggiunse anche da risolvere il problema del pane quotidiano, poiché tutti i modesti cespiti venivano a mano a mano a cessare; non si poté continuare la pubblicazione della rivista Ignis, perché i numerosissimi abbonati s’erano quasi tutti squagliati; cessarono le collaborazioni a giornali e riviste, perché la firma di A. R. poteva lasciar sospettare chissà mai quali oscuri legami con la massoneria operante nell’ombra.

 

 

Così, nel ’26, A. R. si vide costretto a riprendere la sua professione libera d’insegnante. Anche senza Ignis e gravato dal lavoro professionale, A. R. non cessò mai la sua attività di ricercatore e di studioso. Tra l’inverno del ’25 e la primavera del ’26 portò a termine un’ampia monografia sulla persona e gli scritti di Enrico Cornelio Agrippa, che venne pubblicata nelle 175 pagine che precedono la traduzione italiana della Filosofia Occulta di Agrippa. Quando l’opera completa fu pronta in bozze, siccome era stata fatta su una traduzione francese, venne mandata ad A. R. per una revisione sul testo originale, ed egli se la portò in Calabria, dove andammo insieme a trascorrere l’estate. In Calabria, nella terra di Klingsor fummo insieme più d’una volta, in una delle poderose torri erette in altri tempi a difesa della costa. Era la torre alzata su di una piattaforma rocciosa poggiante sul fondo marino, fino a pochi anni addietro affatto isolata, oggi congiunta al continente da una sottile lingua sabbiosa. Il luogo è suggestivo per le molte leggende che vi si riferiscono, per essere stato una delle primissime località abitate dall’uomo nel bacino del Mediterraneo nell’epoca paleolitica, per le stratificazioni fossili, per le molte tracce, non soltanto materiali, che gli abitatori vi hanno lasciate, durante il lento scorrere dei secoli e dei millenni. A qualche cultore della cosiddetta metapsichica, potrà interessare sapere che vi sono «manifestazioni» spontanee d’ogni genere e che normalmente si vedono frammenti d’ossa che si muovono in una loro danza macabra attorno ad un teschio che talora si sposta nell’aria, talora scorre sui tavoli, battendo le mascelle, tra i rumori più strani, il tutto alla piena luce meridiana; non mancano impressioni tattili, che possono giungere alla violenta estromissione dell’ospite che non sia gradito. Dopo qualche protesta per la turbata quiete, divenimmo buoni amici degli abitanti del luogo, che furono anche nostri collaboratori e compagni. In quel singolare ambiente, isolati da ogni contatto col mondo, senz’altra cura che di provvederci d’acqua e di cibo, le giornate e le notti trascorsero come vissute in un mondo di fiaba. La revisione del testo d’Agrippa non poté essere completa: l’editore protestava che avrebbe dovuto ricomporre tutto daccapo; l’opera uscì nell’ottobre del ’26. Due cose premevano molto ad A. R.: avere un periodico dove continuare la pubblicazione di studi iniziatici, per mantenere o creare rapporti con persone idonee e prepararle a dare il contributo della loro conoscenza, quando la massoneria avrebbe potuto nuovamente riorganizzarsi; raccogliere le sparse fila della massoneria. La pubblicazione della rivista fu rapidamente progettata e decisa; vide la luce, negli anni 1927 e ’28, la rivista UR, che è stata indubbiamente la più bella e completa pubblicazione del genere che sia stata fatta sino ad oggi. Non potendo, per ovvie ragioni, essere diretta da A. R., né da me, venne dato l’incarico della direzione ad un tale 10 che finì, tra l’altro, col pretendere di cambiare il testo degli articoli nostri, per espurgarli di ciò che poteva, sia pur lontanamente, essere sospetto di aver qualche sentore di massoneria; naturalmente, UR finì col sospendere le pubblicazioni. Sullo scorcio del ’27, A. R., dopo essersi incontrato con vari fratelli, poté constatare come vi fosse in tutti il desiderio di una riorganizzazione efficiente dell’ordine e del rito; ma che troppi, tra coloro che avevano ricoperto un tempo dignità ed uffici, apparivano sbandati, esitanti, privi di collegamenti, isolati, e sconsigliavano ogni tentativo. A. R. ed altri due membri effettivi del Supremo Consiglio, dopo accurato esame della situazione, dopo aver constatato che non funzionava più in Italia un Supremo Consiglio regolarmente costituito, si costituirono ritualmente, assumendo i poteri per riorganizzare il rito, con l’osservanza di tutte quelle cautele che il momento esigeva, cioè con la rigorosa selezione degli elementi e con lo stabilire rapporti di carattere personale con singole persone, tali da poter trovare in ogni evenienza una perfetta giustificazione profana. Qualcosa si riuscì a fare e si sperava di più. Si tennero due riunioni, con la partecipazione di elementi fidatissimi, una nel giugno del 1928, una seconda qualche mese dopo. Per l’attuazione del nostro programma, tenemmo conto anche del fatto che risultavano ancora efficienti alcuni organismi che, per essere meno appariscenti, o meno noti, avevano potuto sfuggire alle violenze provocate dalla legge contro le società segrete e facevano capo al Rito di Memphis e Misraim, al Rito Filosofico, ai Martinisti ed ai Templari. Determinatasi nel frattempo la cessazione di UR, stabilimmo di riprendere la pubblicazione di Ignis; il primo numero del gennaio ’29 uscì con qualche ritardo, per l’espletamento delle relative pratiche; era già pronta la composizione dei due numeri successivi, quando s’annunciò l’uragano: fu dapprima l’improvvisa follia d’un tale che, spingendo troppo oltre talune pratiche rituali, ad un certo momento non poté mantenere l’equilibrio col troppo vino ingerito e ruzzolò, lasciandosi scappare qualche allusione compromettente; poi venne in abito talare l’agente provocatore della mai troppo infamata compagnia, che fu ad un pelo dal provvedere a salvare l’anima di A. R. e la mia a colpi di pistola. E l’uragano scoppiò, con un articolo intitolato Manovre di massoni, sul periodico Patria, contemporaneamente ad un altro su Roma fascista e poi altri ancora, pubblicati sui giornali di Roma e di provincia, tutti dovuti alla stessa penna, con poche varianti nel titolo e nel contenuto. Più che l’opera degli avvocati, fu indubbiamente la buona stella ad evitarci guai peggiori; ma da tutto quel trambusto sortì una sorveglianza delle nostre persone talmente stretta e multiforme, da inibirci ogni contatto, pel timore di compromettere finanche le persone che salutavamo. Dopo il 1930, l’attività di A. R. venne sempre più limitandosi al campo dell’insegnamento, dove il suo alto valore, la padronanza della materia ed il metodo didattico l’avevano posto tra i primissimi, nella stima degli allievi, dei colleghi, degli scienziati. Nelle ore libere dai nostri impegni professionali ci si trovava insieme e con qualcuno dei pochissimi amici ancora uniti; si giocava a scacchi, si ragionava sui guai politici del momento, ma soprattutto si parlava di quanto più ci stava a cuore: della possibilità, ancor troppo lontana, ma certa, di migliori forme avvenire di vita civile, d’un ritorno della massoneria; e si pensava alla necessità di gettare salde fondamenta, onde l’ordine ed il rito potessero sicuramente poggiare l’edificio iniziatico e ripristinare quella conoscenza e quell’Arte, ormai quasi universalmente ignorata da chi era divenuto libero muratore solo in virtù d’un brevetto. Il fine della massoneria, precisato nelle Costituzioni dell’Anderson come «perfezionamento dell’uomo», non è stato davvero raggiunto, e ciò non tanto per la deficienza dei Maestri dell’Arte, quanto pel netto prevalere in seno alla massoneria di forze esterne ed avverse che ne vollero e ne determinarono la decadenza, facendola deviare dal suo principale fine; tutti i mezzi vennero adoprati, fu lasciato libero il campo all’orgoglio ed alla vanità, furono suscitate discordie e gelosie, furono, con diabolica abilità, gettati i semi di concetti differenti, estranei, più facili a comprendersi, più allettanti, concetti che si diffusero, soverchiarono e finirono col prevalere al punto da far perdere di vista finanche le cose essenziali, o posporle ed adeguarle ad altre di minore importanza. Quanti vi sono, oggi, che conoscono le segrete leggi dell’Arte, per costruire secondo giustezza e perfezione di rapporti una loggia, un tempio? E come si può pretendere di edificare il tempio interiore secondo l’anagogico significato di norme ignote?  A. R. aveva già veduto la necessità di sfrondare la massoneria di tutto quanto il succedersi dei tempi e l’incomprensione degli uomini hanno sovrapposto alla originaria dottrina; era forse l’unico in grado di farlo, per capacità, preparazione, profondità ed equilibrio di scienziato, conoscenza e rapporti diretti con chi poteva validamente aiutarlo, ed anzi suggerì il piano di lavoro. In tre anni portò a termine la Ricostruzione della Geometria Pitagorica, che fu pubblicata nel ’35: reca sul frontespizio la stella fiammeggiante; il suo valore scientifico venne riconosciuto dalla Accademia d’Italia, con un premio. È un’opera che tutti i liberi muratori dovrebbero conoscere, non solo perché è accessibile anche a chi abbia le modeste cognizioni d’una scuola media inferiore, ma soprattutto perché contiene molte pagine che i liberi muratori potrebbero meditare con profitto. Purtroppo la nequizia dei tempi non consentì di sviluppare massonicamente il significato letterale e svolgere quello simbolico; tuttavia i fratelli avrebbero molto da apprendervi. Terminato lo studio sulla geometria, A. R. iniziò l’opera Dei numeri pitagorici, in sette libri, che richiese dieci anni di lavoro; è un’opera immensa, tuttora inedita. Nella chiusa dell’introduzione, A. R. dice: «Le leggi, le proprietà, le armonie numeriche che si offrono alla nostra contemplazione non sono invenzione umana; esse preesistono, esse sono nella profondità abissale dell’interiorità e provano che alla bellezza del cosmo visibile corrisponde una altrettanto mirabile bellezza dell’universo interiore. Dal riconoscimento di queste bellezze ed armonie sarà poi possibile, socraticamente e pitagoricamente, ascendere e trascendere, assurgendo dalla vita materiale ed umana a quella spirituale e divina ed attuare quella palingenesi che è lo scopo essenziale della Scuola Italica». L’importanza di quest’opera è assolutamente eccezionale per i molti, alti problemi che vi trovano la loro soluzione; essa è destinata a suscitare un enorme interesse nel campo della scienza. E vien fatto di considerare con malinconia come miliardi siano stati bruciati nella più insana follia, come ancor oggi milioni vengano sperperati nel gioco e nei piaceri, mentre riesce difficile trovare il necessario per una pubblicazione di tanto valore, valore che non è solo matematico e letterale, ma che trascende la forma e per la cui intelligenza è necessario possedere una chiave che sarà data a suo tempo. Intanto gli avvenimenti politici precipitavano, i problemi della vita contingente divenivano più difficili a risolvere ed il peggio si annunciava, mentre A. R. aveva assoluta necessità d’essere liberato da cure e da preoccupazioni per compiere l’opera iniziata; così, nel settembre del ’39, lasciò Roma per trasferirsi prima a Bologna, poi a Budrio, dove insegnò alla Scuola media «Quirico Filopanti». Ma la corrispondenza epistolare era fra noi più d’impaccio che d’aiuto e grande era la gioia di poterci ritrovare insieme, e se pure non v’era il totale isolamento della nostra torre calabrese, pure la grande pace del luogo era propizia alla concentrazione della mente, alla liberazione dello spirito; ci comunicavamo il risultato dei lavori compiuti, progettando quelli futuri, rammaricandoci di essere troppo pochi, di fronte alla mole immensa di quanto vedevamo necessario fosse fatto. Poi la guerra, con la cosiddetta liberazione di Roma, ci divise; A. R., rimasto a Budrio, appena ad un tiro di fucile dal corso del torrente Idice, che fu per tanti mesi la linea dove più accanita si svolgeva la battaglia, non si mosse; i proiettili delle artiglierie caddero tutt’intorno e molti esplosero nel breve giardino, danneggiando un po’ l’abitazione ed una cara persona fu abbastanza gravemente ferita. Passò la guerra, A. R., indenne, riprese più liberi contatti con gli amici d’un tempo; lo animava un fervore nuovo, un’ansia di lavoro; il tempo stringeva, ché già la Parca aveva sfiorato il filo della sua vita e l’avvertimento era stato dato. Chiesi ad A. R. lo sviluppo filosofico ed iniziatico dell’opera sui numeri pitagorici; poté condurre a termine, in circa due mesi, un volume su I numeri sacri nella tradizione pitagorica massonica, scrisse alcuni articoli, abbozzò schemi di lavori che non poté compiere. Il primo giorno del mese di luglio del 1946, lo spirito di Arturo Reghini scioglieva i legami corporei e passava nell’Eterna Luce.

 

La lapide di Arturo Reghini, cimitero di Budrio (BO)

 

Era la quinta ora pomeridiana. Il segno era apparso. Arturo Reghini si volse al Sole declinante per l’ultimo saluto, per l’ultimo rito; poi si appoggiò con la destra al vicino scaffale, piegò la gigantesca statura verso la Gran Madre, eretto il busto; e fu libero. Ha lasciato un’eredità di pensiero da meditare, un programma da realizzare: ricondurre la massoneria italiana alle più pure origini, restaurare nelle officine e nei singoli liberi muratori i valori d’un sapere e d’una scienza iniziatica, svilupparne e coordinarne gli studi, onde risollevare la comunione italiana nell’estimazione delle comunioni sorelle, onde ristabilire uno spirituale primato che consenta ai posteri di rivedere la corona turrita sulla fronte d’Italia e la mistica stella raggiare sui popoli la sua Vera Luce. Ha lasciato, A. R., un esempio di vita, di operosità, di lavoro, di elevatezza spirituale, di serenità profonda, anche quando la parola e la penna sferzavano; ha lasciato un esempio di quel che sia veramente lo spirito massonico, di fratellanza, di solidarietà, oltre ogni volgare pregiudizio, che sa apprezzare lo sforzo, la volontà di elevazione, di purificazione, di miglioramento e non va a scovar dubbi, incertezze od errori prossimi o lontani con lo scopo vile ed abietto di soffocare, di demolire, d’impedire un risollevarsi; ha lasciato un esempio di quella tolleranza che è scevra da malignità, pettegolezzi, diffamazioni, che tiene alla propria ed all’altrui libertà, qualunque sia, od appaia l’azione.  Giulio Parise, Rivista di Studî Iniziatici (Mondo Occulto) - Napoli, Anno XXI, n. 1-2-3, Gennaio-Luglio 1947 (pp. 16-26)

Atti del Convegno su Arturo Reghini
Neopaganesimo e Regime Fascista

 

Bibliografia

 

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Reghini Arturo, Ex-Imo, in ‘Ignis’, cit., agosto-settembre 1925;
Reghini A., Un’ode alchemica di Fra Marcantonio Crassellame Chinese, in ‘Ignis’, cit., 1925;
Reghini A., Le Proposizioni del Rituale della Massoneria Egiziana censurata dal Tribunale delk Sant’Uffizio (da documenti inediti del Sant’Uffizio), in ‘Ignis’, n.10, ottobre 1925;
Reghini A. [Maximus], Eccessi di parte Guelfa, in ‘Ignis’, cit., ottobre 1925;
Reghini A., in ‘Ignis’, a.I, nn.11-12, novembre-dicembre 1925;
Reghini A.[Papus], lettera prefazione al libro di Lenain L.R., La scienza cabalistica o l’arte di conoscere i genii benefici, ed.Fidi, Milano 1926;
Reghini A., traduzione I ed. it. R.Guenòn, Le Roi du Monde con note di Reghini A., Ed. Fidi, Milano, 1927;
Reghini A., Trascendenza di spazio e di tempo, in ‘Mondo Occulto’, a.VI, n.2, marzo-aprile 1926;
Reghini A., Enrico Cornelio Agrippa e la sua magia, in “Enrico Cornelio Agrippa.La Filosofia Occulta o la Magia”, ed. Fidi, Milano 1927, vol.3;
Reghini A., Ai lettori, in ‘Ignis’, n.1, gennaio 1929;
Reghini A. [Il Vicario di Satana], E’ plagio o non è plagio? Ovvero sia: Zam e il suo scongiuro, in ‘Ignis’, n.1, gennaio 1929;
Reghini A., I fasti dell’Autarca, in ‘Patria’, aprile 1929;
Reghini A., in ‘Docens’, nn.10-11, 1934 (rist. Il Basilico, Genova 1981)
Reghini A., Per la restituzione della geometria pitagorica, ed. Ignis, Roma 1935;
Reghini A., I numeri sacri nella tradizione pitagorica e massonica, ed. Ignis, Roma 1991
Reghini A. [Pietro Negri], Sub specie interioritatis (vol.I);
Reghini A. [Pietro Negri], Conoscenza del simbolo (vol.lI);
Reghini A., [Pietro Negri], Avventure e disavventure in magia (vol.I);
Reghini A., [Pietro Negri], Sulla tradizione occidentale (vol.II);
Reghini A., [Pietro Negri], Il linguaggio segreto dei “fedeli d’Amore” (vol.II);
Reghini A. [Piero Negri], note e commento di Apathanasthimos, (Rituale mithriaco del “Gran Papiro Magico di Parigi-Introduzione alla Magia’ (collezioni di ‘Ur’ e ‘Krur’)
Reghini A. [Pietro Negri],Sub specie interioritatis
Reghini A, [Pietro Negri], Conoscenza del simbolo
Reghini A., [Pietro Negri] L’androgine ermetico e un codice plumbeo alchemico italiano, ripubblicato in appendice in ‘Un libretto di alchimia inciso su lamine di piombo nel secolo XIV’, a cura di S.Andreani, cit., Roma, 1979;
Reghini A. [Pietro Negri], Sulla tradizione occidentale
Reghini A. [Pietro Negri], Il linguaggio segreto dei “Fedeli d’Amore”
Reghini A. [Pietro Negri], Dell’opposizione contingente allo sviluppo spirituale
Reghini A., Dei numeri Pitagorici. Prologo, Roma 1936;
Reghini A., Lettera di Arturo Reghini a Moretto Mori, 29 settembre 1942;
Reghini A., Commento alle ‘Massime di scienza iniziatica’ di A.Armentano, in ‘Atanòr’, a.I, giugno 1946;
Reghini A., Considerazioni sul Rituale dell’apprendista libero muratore con una nota sulla vita e l’attività massonica dell’Autore di Giulio Parise, Edizioni di Studi Iniziatici, Napoli, s.d. [1946?]
Reghini A., I numeri sacri nella tradizione pitagorica e massonica, Casa Editrice.Ignis, Roma, 1947;
Reghini A., Le Nombres Sacrés dans
Reghini A. [Pietro Negri], Avventure e disavventure in magia. Il gruppo di Ur. Introduzione alla magia, rist.,vol. I, ed.Mediterranee, Roma 1978, pg. 388;
Reghini A., Le parole sacre e di passo dei primi tre gradi ed il massimo mistero massonico, rist., ed. Atanor, Roma 1981;
Reghini A., Paganesimo, Pitagorismo, Massoneria, rist.,Società Editrice Mantinea, Funari (Messina) 1986;
Reghini A., Le Faisceau de Licteurs et son symbolisme duodécimal suivi de L’Universalité romaine et celle du catholicisme et de La tragédie du Temple, ed. Arché, Milano 1987;
Reghini A., I Numeri Sacri nella Tradizione Pitagorica Massonica , Roma 1988 (rist.);
Reghini A., Dei numeri pitagorici (Prologo), rist., ed. Ignis, Ancona 1991;
Reghini A., Aritmosofia, rist., ed. Archè-Edizioni Pi-Zeta, San Donato (Milano) 2000;
Reghini A., Il Santo Impero, Pubblicato nella rivista «Era Nuova», 1925.
Reghini A., La Morale ed il Lavoro Massonico, Pubblicato nella rivista «Era Nuova», 1925
Reghini A., L'Allegoria Esoterica in Dante, Pubblicato in «Nuovo Patto», settembre-novembre 1921
Reghini A., L'Androgino Ermetico e un Codice Plumbeo Alchemico Italiano, 1910
Reghini A., Primi Contatti tra Ermetismo e Massoneria, Pubblicato nella rivista «Era Nuova», 1925
Reghini A., Sull'Origine del Simbolismo Muratorio, Pubblicato nella rubrica "Noterelle Iniziatiche" in «Rassegna Massonica», n. 6-7, giugno-luglio 1923
Reghini A., Un’Ode Alchemica di Fra Marcantonio Crasellame Chinese, Pubblicato sotto lo pseudonimo di “Maximus” in «Ignis» I (n° 8-9), pp. 231-251, 1925.

 

Riferimenti
www.reghini.com - A.Reghini su Wikipedia - http://www.ritosimbolico.it

 

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