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Ricerche a cura del dott. Braco Luigi


 

 

Biografia


Domenico Angherà, Potenzoni 1803 – Napoli 1873, è stato un patriota italiano, abate benedettino, arciprete e massone, capo del Grande Oriente di Napoli, zio del patriota Francesco Angherá, fu fondatore nel 1846 di una società evangelica di stampo massonico il cui motto era "Religione e Libertà". Dopo l'arresto partecipò alla rivolta di Catanzaro e fece parte del comitato di salute pubblica. A Malta, ove fu esiliato in seguito, fu in stretti rapporti con il celebre patriota Nicola Fabrizi. Tornò in patria nel 1860, dando vita a logge massoniche come la G. Madre L. Nazionale la Sebezia; pubblicó "il Rituale di 30 grado" (vedi fine pagina) a Napoli nel 1869.



 

Testimonianze

 

ROMA — (Nostra corrispondenza) — Un po'di luce sopra la presente batracomiomachia massonica italiana.

Mentre che io, errando per la selva fatata ed ormai sfatata delle antichità massoniche, andava combattendo massoni morti; cotesti mal viventi, cioè mal vivi di adesso, rissavano tra loro, come i loro confratelli cavalieri d'industria, prò aris et focis, cioè per il Tempio e per la Vera Luce, ossia per la pagnotta; pretendendo ognuna delle Agenzie o Grandi Orienti rivali, e specialmente il napoletano ed il romano, di rimaner soli in Italia a vendere ai profani lucciole per lanterne. E per non aver concorrenti nello spaccio delle loro sciarpe vecchie e patenti sporche, ognuno di questi mercanti di Vera Luce, o vero lucido inglese, sta ora decantando il proprio Tempio, come il sole illuminato, e denigrando l'altrui e spegnendone, per gelosia di mestiere, i moccoletti: con vituperoso baccano di lettere circolari e di articoli giornalistici, svillaneggiandosi e discoprendosi l'un l'altro gli altarini più segreti del Tempio, con pericolo di far fiorire un fil di riso perfino sulle austere labbra di chi piange, perchè io rido dei frammassoni. Del resto io vi narrerò qui le cose come stanno: ed ognuno poi riderà o piangerà, secondo che gli tornerà più comodo.
Benché siano ora quattro, e forse cinque, i Grandi Orienti, o vogliam dire, uccellari, paretai e frasconaie che in Italia fanno a rubarsi i raassoncini di passaggio; la più grande e la più puerile gara ferve però da un pezzo tra i due Tempii di Napoli e di Roma: nel primo dei quali sgocciola le ampolle l'ex-arciprete calabrese Domenico Angherà, e nel secondò presiede ai lavori di masticazione l'ex-triumviro toscano Giuseppe Mazzoni; nobile coppia di Presidenti, ciascuno con un proprio supremo Consiglio di Trentatrè, non che Prìncipi potentissimi e serenissimi a parole: giacché a fatti sono tanto potenti, quanto possono essere sereni, in mezzo allo schioppettio dei fatatili delle loro vicendevoli scomuniche. Si tratta, infatti, di nulla meno che di scomuniche. Cotalchè si può dire che i fratelli hanno uccisii i frateili. Che se la notizia non è orrenda, è però autentica; giacché si odono a destra ed a sinistra squilli di trombe massoniche. Il primo squillo squillò da Squillare.
Squillare è la Diocesi calabrese, dove è la Parrocchia di San Vito, di coi è Parroco ed Arciprete titolare Don Domenico Angherà, presidente il supremo Consiglio dei frammassoni di Napoli. Se egli pasca incora in spiritualibus i Sanvitesi, non so. So bensì che ne è pasciuto in temporalibus, colla pensione o congrua che, sopra le rendite della Parrocchia, ai posti tempi gli s'invia puntualmente (Diis manibus ne noceant) a Napoli; dove, come i Napoletani sanno, risiede nella villa Menzione presso Sant'Elmo questo maraviglioso Arciprete pastore dei frammassoni, non che geloso custode dei suoi diritti ecclesiastici e del proprio dominio temporale. E per questo egli tocca parimente, alia solite scadenze, il reddito di un Benefizio semplice, da lui goduto in Zaccanopoli nella diocesi di Mileto.
Il che già di por sé solo avrebbe dovuto capacitare il suo miagherlin rivale romano, che invano egli tenta dar di cozzo in un Trentatrè di questa sorta: il quale, se si contenta di levar per arme l'aquila bicipite, lo fa per pura modestia. Giacché egli avrebbe il diritto di levar la tricipite di Cerbero, che con ire gole cartina-mente latra, ed anche mangia. Ma io gli consiglierei piuttosto quell'altra, di cui parla pure Dante, del Cavalier sovrano die recherà la tasca coi tre becchi. Nel qual Cavaliere sovrano nessuno dui Commentatori delle antichità e cabale massoniche seppe finora riconoscere (cosa da vergognarsene tutti gli antiquarii della massoneria), un autentico antecessore di questo tricipite e trifauce Trentatrè. Il quale anche si potrebbe non inelegantemente raffigurare in quell'/mperator del doloroso regno che ha tre facce alla sua testa. L'una dinanzi, e quella era vermiglia di quell' amabile rosso democratico e garibaldino, onde volentieri s'invermigliano i Trentatrè dopo i travagli rituali di masticazione: la destra mi pareo tra bianca e gialla: colori papali, che significano i benefizii semplici e parrocchiali: la sinistra a veder era tal, quali vengon di là ove il Nilo si avvalla : cioè nera come il gabinetto massonico di riflessione, che riflette il colore della coscienza di chi vi entra. E da ogni bocca dirompea coi denti un benefizio, in Zaccanopoli. in San Vito e nel Tempio della villa Menzione, esercitando i diritti di tre stole, cosa finora inaudita negli annali degli arcipreti. E quando dico stola, non dico per modo di dire. Giacché tra gli altri finimenti delle gualdrappe massoniche, vi è anche la stola bianca con ricami di martelli, squadre, compassi ed altre corbellerie; la quale il Sovrano Principe e presidente del supremo Consiglio dei Trentalrè, quando fa funzione, si veste solennemente per darsi importanza agli occhi degli attoniti massoncini. E chi vuol vedere l'Arciprete Don Domenico Angherà stolato alla massonica, vada a riverirlo su a sant'Elmo, secondo che molti massoni napoletani e forastieri fanno sovente. Tanto più che l'Arciprete, come calabrese, è naturalmente generoso. Né nel suo Tempio si muore di fame, e molto meno di sete, secondo che pur troppo accade nel Tempio di Roma; dove mi narrò già frate Ulisse Bacci (ed io ve lo scrissi a suo tempo) che per mancanza di danari non si era potuto offrire neanche una frittata ai visitatori forestieri.

 

    


Vede ognuno che, quando a Roma si fa una vita massonica cosi magra, ed in Napoli, invece, il valoroso Arciprete tiene spanto convito e corte bandita, è naturalo che il grosso dei massoncini si gitti all'uccellare più seducente. Ed ora intendo perchè frate Bacci accennasse già più volte, nella sua Rivista della massoneria, al danno gravissimo che all'Ordine massonico è provenuto dalla cieca fiducia, con cui vi si è ricevuto più di un ecclesiastico. Veramente non mi era ignoto che, nei rituali più segreti, esistono giuramenti formali di non ricevere in certi alti gradi gente di Chiesa. Leggo in fatti in un Rituale manoscritto del Grande Ispettore: 30 grado, o Nec plus ultra (appartenuto già ad un Archivio massonico che è ora in mia mano), che nel suo sesto giuramento il candidato a giura e promette K di non ricevere alcun fratello in questo grado, sotto qualsivoglia a pretesto, il quale non sia libero: come i monaci e tutti quelli che K hanno fatto dei voti. Inoltre l'articolo nono degli Statuti del 31 grado: grande Ispettore inquisitore, dice che: Non si può ricevere in questo grado alcun sovrano, ecclesiastico, cavaliere di Malta, né di qualunque altro Ordine cavalleresco ecclesiastico. E la ragione è chiara: giacché in questi gradi di massoneria si giura appunto guerra e morte a tutti costoro.

 


Cosicché io credeva che frate Bacci, lamentando più volte l'accettazione di ecclesiastici negli alti gradi di adesso, parlasse soltanto per zelo generale dell'osservanza delle regole, né avesse, come ora ho capito che ha, motivo specialissimo di lamentarsi di questo Arciprete. Costui infatti è ora uno dei tormenti principali di frate Bacci e della massoneria romana, la quale non sa più come sbarazzarsene, e vede anzi crescere ogni giorno più rigogliosa e lussureggiante la sua vigna di Napoli; donde il tricipite presidente si levò testé, come un forte inebriato, e lanciò la sua scomunica. Essa era destinata alla notizia del solo popolo massonico. Ma si divulgò quasi subito nel mondo profano, per mezzo delle Gazzette, specialmente di Sicilia; dove vi è un altro Supremo Consiglio del Grande Oriente d'Italia sedente a Palermo, che se la ride dei Sedenti in Napoli ed in Roma, e fa anche lui, da se e pel profitto esclusivo della sua cassa privata, gli affari della sua mafia o camorra massonica regionale.
Chi non ha veduto l'originale di quella scomunica angheresca non sa che cosa sia il mondo massonico. Trionfa in alto un delta, che la buona gente piglia per la SS. Trinità, ed è invece il triangolo della Libertà, Fratellanza ed Uguaglianza universale e totale nel senso dei presenti internazionali. Apre, di sotto, le ali di cartone, quali si conveniano a tanto uccello, l'aquila bicipite del Presidente Arciprete: e sopra i becchi si legge Ordo ab Chao; il che significa che l'ordine non comincerà prima che siano finiti questi tempi caotici di arcipreti beccanti in chiesa ed in massoneria. Sotto la coda dell'uccello arcipretale si legge: Deus meumque ius; che vuol dire: Ho per Dio ciò che mi pare. E poi viene la scomunica ad universi terrarum Orbis summi Architecti gloriam; cioè, in volgare, a gloria del diavolo; che, per farla corta, intima qualmente benché la massoneria sia, in generale, tutta antidiluviana, pure la più vecchia è senza dubbio la napoletana del 1813; di cui Domenico Angherà è solo e legittimo rappresentante prò tempore. Il centro che ora si pretende fondato in Roma non è stato riconosciuto, avendo avuta la vita nella culla di un'Assemblea (quell'assemblea costituente di Roma di cui vi scrissi più volle) irregolarmente convocata, con manifesto mendacio e per ingannare i massoni pusilli, quelli cioè che io chiamo massoncini. E l'Arciprete conchiude che voi (massoni di Roma) avete perpetrato uno scisma ed ingannati i massoni di buona fede di Napoli. E che perciò il Tempio della a saggezza, nell' Oriente di Roma, è rovesciato. I quali rovesciamenti sono dati e datati a dal grande Oriente di Napoli, Valle del Sebeto il XXII. G. del III Mes. Sivon...an. diV. L. 5814. Ossia (per parlare come i cristiani), in Napoli, nella Villa Menzione, presso Sant'Elmo, il dopo pranzo del 22 maggio dell'anno passato.
Frate Bacci e gli altri inquilini del Tempio rovesciato della i saggezza massonica romana non seppero mai niente di questa scomunica angheresca, prima di esserne stati informati dai giornali: né la Rivista della Massoneria ne parlò prima del 1° dicembre 1814, quando noi profani la conoscevamo già da un pezzo; verificandosi ora, spesso, che delle cose massoniche di adesso (delle antidiluviane no lasciamo loro il monopolio) ne sappiamo noi più di loro, compreso l'Arciprete, che forse ignora ancor adesso la restituzione che frate Bacci gli fece, nel decembre scorso, della sua scomunica. Ila frate Bacci molto imprudentemente cominciò la sua legittima ritorsione col parlare di ali, non considerando che già si è riso abbastanza in Italia delle ali di cartone di frate Bacci. Bisogna dice  il 1° dicembre a pagina 2 - bisogna troncare le ali a certe speu rame di stolti e volgari specolatori che, a quando a quando, dispensano a migliaia di copie carte stampate, con in testa il delta simbolico e l'aquila bicipite dai vanni spiegati, e si prodicano non solo discendenti di Pittagora ed eredi di un'autorità che nessuno ha mai in essi riconosciuta: ma assoluti padroni ed arti latri del rito scozzese in Italia, e rappresentanti attuali di un supremo Consiglio che maledice tutta la massoneria militante, minacciando e blandendo, secondo il vento che spira, e vendendo a a manca ed a diritta diplomi e sciarpe ricamate. Dove io non negherò che l'arciprete Angherà non venda a manca ed a diritta sciarpe ricamate e diplomi. Ma, per amore della verità, debbo aggiungere che lo stesso si è sempre fatto e si fa in tutti i Grand'Orienti del mondo; i quali in tanto riescono a far ben o male i loro lavori di masticazione, in quanto trovano chi vuol comprare le loro sciarpe e i loro diplomi. Che se l'arciprete Angherà dee, per questo, venir accusato di essere un volgare specolatore, bisognerà dire che tutta la massoneria viva di volgare specolazione. Del che io, a dir vero, non ho mai dubitato; né so che gli altri opinino diversamente. Ma non doveva confermarmelo la venerabile e troppo alata bocca dello stesso frate Bacci.


Quanto poi alla vendita di roba massonica che, a pronti contanti, si fa, continuamente, a diritta ed a manca, nella villa Menzione sopra Sant'Elmo, vicino alla fortezza, accanto alla villa Alberti, dove risiede l'Arciprete dei frammassoni napoletani; io so di buon luogo che tutto vi si fa onestissimamente, come nelle altre botteghe di libri, di sciarpe, di ricami e di oreficeria volgare. E se frate Bacci non me lo crede, faccia come fanno tanti altri, a Napoli, ogni giorno. La salita è erta e lunga; ma a piedi, per le scorciatoie, se il tempo e le gambe favoriscono, o in carrozzella con quattro lire (il prezzo di un grembialuccio massonico di Maestro in cuoio bianco) vi si arriva in circa un'ora di tempo medio. Presso la villa Alberti, per entro un giardinetto, si apre un viale che conduce alla Villa Menzione, cioè al Tempio che è al pian terreno. Saliti dodici scalini, si è ad un ripiano di scala, dove, a manca, si presenta una porta, sulla quale è scritto (un buon massone direbbe inciso) Arciprete Domenico Angherà professore di matematici. Sonate il mistico campanello e vedrete comparire o esso Angherà, o per lo meno un suo segretario (che mi si assicura chiamarsi Donato Maraviglia Trentatrè) che pare un ugonotto, pallido, secco, malinconico, cogli occhi bassi e coi capelli arruffati. Costui sembra occupatissimo nel ricopiare circolari, scomuniche, diplomi, patenti di rario grado e di vario prezzo. Ma il prezzo non gli è lecito di toccarlo. Questo compito delicatissimo, come dappertutto, così special sente nella massoneria napoletana, è esclusivamente riservato ad esso Arciprete. Provate e vedrete. L'arciprete è un bel Trentatrè: quasi sempre in abito nero e talare con calzette resse; alto della persona, ciglia folte e nere, occhi vivi, naso cospicuo, viso lieto e ridente, anche prima dei lavori di masticazione, voce bassa ed autorevole, cuore calabrese, cioè generoso; si vanta di esser figliuolo di un ciabattino, e non mostra i settant'anni che tocca. Nessuno ha mai avuto che dire contro l'illibatezza dei suoi costumi: cosa che si può asserire di pochi Trentatrè. Rare volte lo trovato solo. Il suo supremo Consiglio (stando ad un documento autentico, stampato a pag. 410 del Bollettino ufficiale massonico di Charleston in America N° del dicembre 1871) è composto di Luigi De Negri, già Maggiore garibaldino, cho ora si occupa di utile piscicoltura; Gubilosi Vincenzo; Luigi Raspantini proprietario del Gran caffè in piazza del Plebiscito di Napoli; Simone Capodieci, poeta o legale; Ciro Marciale; Angelo Terzaghi, ora negoziante in Bari e diventato ostile all'Arciprete; Leopoldo Gallazzo; Uriele Vitale; Francesco Cusino; Donato Maraviglia, attuale segretario del Tempio di Angherà: ed infine Stocco, Generale garibaldino, già dittatore di Nicastro, sua patria. Spesso poi l'Arciprete ha la casa piena di capitani di nave ed altri forastieri del Messico, di Buenos Ayres, di Alessandria d'Egitto, di Costantinopoli, di Scozia, d'Inghilterra, e degli Stati Uniti dove, per tutto, si stende la sua giurisdizione, e donde non arriva in Napoli un massone che non si creda
tenuto di presentarglisi riverentemente. Nessuno indonatus abil. Anche la sua cucina è lodevole. Perciò la sua casa è sempre piena, come quella di Via della Valle è sempre vuota. Che se egli vende, nessuno può dire che egli non venda a prezzi fissi, come si fa negli altri Orienti grandi e piccoli; col divario che dalla bottega di Angherà si gode tutta Napoli e il golfo, mentre quella di Via della Valle guarda nel vicolo più stretto della via papale. Oltre al vantaggio dei prezzi fissi, vi è anche quello dell'imbarazzo della scelta. Il bazar è rioco di sciarpe, grembiali, fasce, decorazioni, stole, patenti di ogni forma, di ogni rito e di ogni grado. Quanto a libri, libretti, rituali, catechismi, manuali, ed altra cianfrusaglia massonica, l'Angherà ne possiede un'intera biblioteca. Tutto è dinanzi a voi, in vendita, a prezzi giusti. Quando vi siete decorato della decorazione preferita, e siete stato squadralo (che vuol dire quitanzato) nel grado massonico di vostra scelta (con ottantacinque lire potete diventare potentissimo e serenissimo), l'Arciprete vi regala ancora, per soprappiù e gratis, di una sua cabala sopra il senso recondito del I. N. R. I., che i cristiani sanno voler dire Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum, ma che l'Arciprete massone interpreta per Igne Natura Renovatur Integra. Qua i visitatori bisogna che usino giudizio. Chi non conosce il debole dell'Arciprete corre pericolo di sorbirsi una lunga tiritera sopra l'Aria creatrice, l'Acqua corruttrice ed il Fuoco purificatore, che secondo l'Angherà, formano la Trinità massonica. E la cosa, in breve, significa che il petrolio dovrà presto bruciare il mondo presente, per dar luogo al futuro regno della massoneria. Il che il pio Arciprete suole anche esornare con un altro suo bel motto; dicendo che egli è un buon a cattolico. E come no, poiché egli è Arciprete? Ma egli non vuole il Papa nero: bensì vuole il Papa bianco. Dove a prima vista pare che il Papa nero significhi l'orrido gesuitismo, e il Papa bianco il Papa del Vaticano. Ma l'Angherà s'intende da sé nelle sue divozioni: e vuol dire che il Papa vero, ossia il bianco, è egli medesimo Presidente prò tempore del supremo Consiglio de'Trentatrè: il quale, come sapete, quando è in funzione, veste la stola bianca. E benché abbia già settantanni, in circa, spera nondimeno di vedere il giorno, in cui il Papa sarà lui, non solo nel pianterreno della Villa Menzione, ma in tutto il mondo.
Sogliono i visitatori sbrigarsi da questi discorsi, col'introdurre furbescamente l'altro della Trisezione dell'Angolo e della Quadratura del Circolo, dove l'Angherà, Professore di Matematica (come dice la porta d'ingresso) é nella sua beva. Ed ha anche, sopra questi interessanti problemi, stampato, nel 1861 coi tipi del Fibreno in Napoli, un suo volumetto, il quale non costa che quattro lire; ed offre agli acquirenti anche il ritratto dell'Arciprete, coronato di lauro trionfale e imberrettato di un circolo quadrato: cosa che fa un bellissimo vedere.

 

  

 

"Quadratura del Cerchio" - Foto da un Originale: 001 - 002 - 003 - 004

 

Altri visitatori guardano qua e colà per le mura della sala, tutta tappezzata a festoncini di ritratti fotografici di Garibaldi e Garibaldini, Mazzini e Mazziniani, Proudhon e Proudhoniani, Gambetta e Gambettiani, Kossut e Kossuttiani e di ogni altra generazione dei più matti socialisti, internazionali e democratici vivi e morti, che sono i Santi del Tempio di Angherà, non meno che di quello di frate Bacci. Il quale perciò dovrebbe venerare questo Arciprete e, in grazia dei suoi meriti massonici, perdonargli la concorrenza che egli fa alla bottega di Roma: e non sentenziare cosi crudamente che a bisogna alzar la voce contro le sue asserzioni, rivendicare la ì supremazia del comando sulla massoneria scozzese in Italia, et condannare recisamente le sue mene antimassoniche e le sue basse i speculazioni. Tutte invettive che puzzano fieramente di bottega e di gelosia di mestiere e sono remotissime da quella filantropia umanitaria e cosmopolitica, di cui frate Bacci è professore titolare, nella sua qualità di direttore di una Rivista, destinata a formare a tutte le virtù il tenero cuore dei massoncini di Roma. Ond'è che la massoneria romana ha molto ancora da imparare dalla napoletana dell'Arciprete calabrese. Il quale se del Tempio fece bottega, ne fece anche locanda ospitale; e se becca con tre becchi, ne disseta anche le centinaia alle varie sorgenti della sua cantina, della sua matematica e della sua massoneria. E per questo poi l'Arciprete batte le sue ali per terra e per mare e il suo nome si spande pei due mondi; né vi ha capitan di nave (quasi tutti massoni, com'è nato) che appena toccata Napoli non corra a respirare l'aria creatrice, e bere il fuoco purificatore dell'Arciprete di sant'Elmo, nemico dell'acqua corruttrice, la quale ormai impaluda tutta la massoneria romana.

 

 

 

Si guardi però le spalle l'Arciprete. Giacché egli ha più nemici che non crede. Perfino nel suo regno natio di Calabria, Saffi e Campanella, appena usciti dalle carceri di Ravenna, gli stanno ora formando dietro le spalle una massoneria rivale. Già superano i trecento nel solo distretto di Monteleone e di Catanzaro gli affigliati alla nuova massoneria, ostile ad Angherà. E quale fu l'arma perfida con cui questi innocenti di Villa Rufl, che in fondo poi mirano allo stesso scopo dell'Arciprete, stanno ora attraendo a sé medesimi i figliuoli spirituali dell'Angherà? La perfida arma è di far pagare dieci lire le patenti che l'Angherà fa pagare venti. I poveri Calabresi sono compatibili, quando preferiscono la Luce di Saffi e di Campanella, che costa dieci lire, a quella di Angherà, che ne costa venti. Ma non sono compatibili coloro che sviliscono la merce, vendendola al ribasso, come roba rubata, e di strapazzo. Io spero che l'arciprete Angherà raunerà presto, nel Tempio della Villa Menzione, il suo supremo Consiglio del Generale Stocco, del caffettiere Raspantini, del piscicultore Di Negro, del poeta Capodieci, del segretario Maraviglia e delle altre teste forti del suo presbiterio, per provvedere al lucro cessante ed al danno emergente che dal Saffi e dal Campanella si prepara in Calabria alla massoneria Arcipretale; d'accordo, forse, colla romana del Bacci. Io spero di potervi presto scrivere di una seconda scomunica angheresca, che sarà come un fuoco purificatore di tutte queste massonerie rivali e corruttrici delle finanze del Tempio di sant'Elmo. II. - Fonte: La Civiltá Cattolica, anno Vigesimosesto, 18 Dicembre 1874 pp. 218-226 - Su Angherá vedasi anche l'articolo "L'Antichitá dei Frammassoni" di pp 94-100. Ulteriori riferimenti su Domenico Angherá in "Statuti generali ed altri documenti dei Framassoni pubblicati per la prima volta"
 

 

Lavori della Gran Madre Loggia Nazionale la Sebezia all'Oriente di Napoli

 

 

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