ricerche a cura di IniziazioneAntica
Giordano Bruno nacque a Nola, presso Napoli, nel 1548, da una famiglia di
modeste condizioni. Il padre Giovanni era un militare di professione e la madre
Fraulissa Savolino apparteneva ad una famiglia di piccoli proprietari terrieri.
Gli fu imposto il nome di battesimo di Filippo. Compì i primi studi nella città
natale, da lui molto amata e spesso ricordata anche nei lavori più tardi, ma nel
1562 si trasferì a Napoli dove frequentò gli studi superiori e seguì lezioni
private e pubbliche di dialettica, logica e mnemotecnica presso l'Università.
Nel giugno 1565 decise di intraprendere la carriera ecclesiastica ed entrò, col
nome di Giordano, nell'ordine domenicano dei predicatori nel convento di S.
Domenico Maggiore. Si fa rilevare come l'età di 17 anni sia da considerare
piuttosto elevata, nel contesto, per decisioni del genere. Nel convento cominciò
subito a manifestarsi il contrasto tra la sua personalità inquieta, dotata di
viva intelligenza e voglia di conoscere e la necessità di sottostare alle
rigorose regole di un ordine religioso: dopo circa un anno era già accusato di
disprezzare il culto di Maria e dei Santi e corse il rischio di essere
sottoposto a provvedimento disciplinare. Percorse peraltro rapidamente i vari
gradi della carriera: suddiacono nel 1570, diacono nel 1571, sacerdote nel 1572
(celebrò la sua prima messa nella chiesa del convento di S. Bartolomeo in
Campagna ), dottore in teologia nel 1575. Ma contemporaneamente allo studio
serio e profondo dell'opera di S. Tommaso non rinunciò a leggere scritti di
Erasmo da Rotterdam, rigorosamente proibiti e la cui scoperta causò l'apertura
di un processo locale a suo carico, nel corso del quale emersero anche accuse di
dubbi circa il dogma trinitario. Era il 1576 e l'Inquisizione aveva ormai da
tempo dato clamorosi esempi di rigore e di efficienza per cui il B., temendo per
la gravità delle accuse, fuggì da Napoli abbandonando l'abito ecclesiastico. Secondo una leggenda orale che si trasmette negli ambienti
iniziatici partenopei esisterebbe un luogo al cimitero di Poggioreale in Napoli
dove si trovava un piccolo monumento, forse una cappella o una semplice
tomba in pietra recintata a memoria di Giordano Bruno, sempre secondo queste
testimonianze raccolte dal
dott. Luigi Braco
nella stessa tomba furono deposte alcune delle ossa che non vennero distrutte
durante il rogo e probabilmente degli oggetti. E' solo una storia, ma qualcuno
provò a scavare sotto ad una Lapide che si trovava nelle vicinanze del luogo
favoleggiato, si trattava di un marmo senza data di nascita e di morte, senza
altre parole che il nome Giordano Bruno. Qualcuno afferma che non fu trovato
nulla per il semplice fatto che scavarono nel posto sbagliato.
Ebbe così inizio la serie incredibile delle sue peregrinazioni, durante le quali
si mantenne impartendo lezioni in varie discipline (geometria, astronomia,
mnemotecnica, filosofia, etc.).Nell'arco di due anni (1577-1578) soggiornò a
Noli, a Savona, a Torino, a Venezia e a Padova dove, su suggerimento di alcuni
fratelli domenicani e pur in mancanza di una formale reintegrazione nell'ordine,
rivestì l'abito. Dopo brevi soste a Bergamo e a Brescia, alla fine del 1578 si
diresse verso Lione ma, giunto presso il convento domenicano di Chambery, fu
sconsigliato di fermarsi in quella città di confine con i paesi riformati e
soggetta a particolari controlli, per cui decise di recarsi nella non lontana
Ginevra, la capitale del calvinismo.
Qui venne accolto da Gian Galeazzo Caracciolo marchese di Vico, esule
dall'Italia e fondatore della locale comunità evangelica italiana. Deposto di
nuovo l'abito e dopo una esperienza di "correttore di prime stampe" presso una
tipografia, il B. aderì formalmente al calvinismo e fu immatricolato come
docente nella locale università (maggio 1579). Già nell'agosto però, avendo
pubblicato un libretto in cui stigmatizzava il titolare della cattedra di
filosofia evidenziando ben venti errori nei quali costui sarebbe incorso in una
sola lezione, fu accusato di diffamazione e quindi arrestato, processato e
convinto a pentirsi sotto pena di scomunica. Il B. ammise la sua colpevolezza ma
dovette lasciare Ginevra, non senza conservare in sé un forte risentimento.
Quasi per reazione si recò allora a Tolosa, in quegli anni baluardo
dell'ortodossia cattolica nella Francia meridionale, dove cercò, senza
ottenerla, l'assoluzione presso un confessore gesuita, ma poté comunque ottenere
un posto di lettore di filosofia nella locale università e per due anni circa
commentò il "De anima" di Aristotele. Nel 1581 lasciò anche Tolosa, dove si
profilava una recrudescenza delle lotte religiose tra cattolici e ugonotti e si
recò a Parigi dove tenne, in qualità di "lettore straordinario" (quelli
"ordinari" erano tenuti a frequentare la messa, cosa a lui interdetta come
apostata e scomunicato) un corso in trenta lezioni sugli attributi divini in
Tommaso d'Aquino. La notizia del successo del corso pervenne al re Enrico III al
quale B. dedicò subito dopo (1582) il suo "De umbris idearum" con l'annessa "Ars
memoriae" ottenendo la nomina a "lettore straordinario e provvisionato".
L'appartenenza al gruppo dei "lecteurs royaux" gli consentiva una certa
autonomia anche nei confronti della Sorbona, della quale non mancò di criticare
il conformismo aristotelico. E' questo un periodo di grande fecondità nella
produzione filosofica e letteraria del B., che pubblica in breve successione il
"Cantus circaeus", il "De compendiosa architectura et complemento artis Lullii"
e "Il Candelaio". Con il favore del re divenne "gentilomo" (ma ben presto
apprezzato amico) dell'ambasciatore di Francia in Inghilterra Michel de
Castelnau, che raggiunse a Londra nell'aprile del 1583, e grazie al quale
frequentò la corte della "diva" Elisabetta. Continuò qui a pubblicare opere
importanti: "Ars reminiscendi", "Explicatio triginta sigillorum" e "Sigillus
sigillorum" in unico volume e subito dopo la "Cena delle ceneri", il "De la
causa, principio et uno", il "De infinito, universo et mondi" e lo "Spaccio
della bestia trionfante". Nell'anno seguente, sempre a Londra, diede alle stampe
"La cabala del cavallo pegaseo" e il "Degli eroici furori". Quest'ultima opera,
al pari dello Spaccio, è dedicata a sir Philip Sidney, nipote di Robert Dudley
conte di Leicester. Alcuni di questi testi risentono di polemiche con
l'Università di Oxford e con una parte dell'aristocrazia inglese. Venuto a
contatto con la famosa università oxoniana, sospinto dall'irruenza del suo
carattere, durante un dibattito mise in difficoltà, senza troppi riguardi, uno
stimato docente: John Underhill, e restò così inviso a una parte dei suoi
colleghi che non mancarono di manifestare in seguito la loro animosità. Ottenuto
infatti, dopo alcuni mesi, l'incarico di tenere una serie di conferenze in
latino sulla cosmologia, nelle quali difese tra l'altro le teorie di Niccolò
Copernico sul movimento della terra, fu accusato di aver plagiato alcune opere
di Marsilio Ficino e costretto a interrompere le lezioni. Ma al di là dei
risentimenti personali, confliggevano con la temperie culturale e religiosa
inglese del tempo alcune idee di fondo del B., quali appunto la sua cosmologia
ed il suo antiaristotelismo...
...L'episodio del giorno delle ceneri del 1584 (14 febbraio) è significativo: il B. era stato invitato dal nobile inglese Sir Fulke Greville ad esporre le sue idee sull'universo. Due dottori di Oxford presenti, anziché opporre argomento ad argomento, provocarono un acceso diverbio ed usarono espressioni che il B. ritenne offensive tanto da indurlo a licenziarsi dall'ospite. Da questo fatto nacque "La cena delle ceneri" che contiene acute e non sempre diplomatiche osservazioni sulla realtà inglese contemporanea, attenuate poi, anche per la reazione di alcuni che si sentivano ingiustamente coinvolti in tali giudizi, nel successivo "De la causa, principio et uno". Nei due dialoghi italiani, Bruno contrasta la cosmologia geocentrica di stampo aristotelico-tolemaico, ma supera anche le concezioni di Copernico, integrandole con la speculazione del "divino Cusano". Sulla scia della filosofia cusaniana, infatti, il Nolano immagina un cosmo animato, infinito, immutabile, all'interno del quale si agitano infiniti mondi simili al nostro. Tornato in Francia a seguito del rientro del Castelnau, il B. si occupò di una recente scoperta di Fabrizio Mordente, il compasso differenziale, per presentare la quale scrisse - su invito dell'inventore - una prefazione in latino nella cui stesura prevalevano talmente le applicazioni che il B. faceva dello strumento per avvalorare le sue tesi filosofiche sul limite fisico della divisibilità, da oscurare o ridurre a un fatto "meccanico" l'invenzione. Offeso, il Mordente si affrettò a comprare tute le copie disponibili e le distrusse. Bruno rinfocolò la polemica pubblicando un dialogo dal titolo e dal tono sarcastico "Idiota triumphans seu de Mordentio inter geometras deo" che indirettamente rese più difficile la sua permanenza a Parigi, essendo il Mordente un cattolico ligio alla fazione del duca di Guisa, che di li a poco avrebbe raggiunto il massimo della sua parabola ascendente, mentre il B. ribadiva la sua fedeltà ad Enrico III. Reazioni negative suscitarono di li a poco a Cambrai le tesi fortemente antiaristoteliche contenute nell'opuscolo "Centum et viginti articuli de natura ed mundo adversos peripateticos" discusse a nome del maestro dal suo discepolo J. Hennequin. L'intervento critico di un giovane avvocato che B. sapeva appartenere alla sua stessa parte politica, convinsero il filosofo nolano che la permanenza a Parigi non era ulteriormente possibile. Di nuovo ramingo per l'Europa, il B. approda nel giugno 1586 a Wittemberg, in Germania, dove insegna per due anni nella locale università come "doctor italus", al termine dei quali si congeda (anche per il prevalere in città della parte calvinista) con una "Oratio valedictoria" con la quale ringrazia l'università per averlo accolto senza pregiudizi religiosi. L'orazione contiene anche un caloroso elogio di Lutero per il suo coraggio nell'opporsi allo strapotere della Chiesa di Roma che ha grande valore come difesa della libertà religiosa ma non rinnega i convincimenti critici del B. circa la dottrina luterana rilevabili in altre opere (specialmente "Cabala" e "Spaccio"). Gli "eroici furori" sembravano al B. incompatibili con la paolina teologia della croce.
Dopo un breve soggiorno nella Praga di Rodolfo II, cui dedicò gli "Articuli
adversos mathematicos", alla fine del 1588 si reca a Helmstedt dove, per poter
insegnare nella locale "Accademia Iulia" aderisce al luteranesimo. Ma i problemi
di fondo rimangono: dopo nemmeno un anno è scomunicato dal locale pastore
Gilbert Voet per motivi non ben chiariti e che il B. sostiene fossero di natura
privata. E' in questa città comunque che vennero pubblicate gran parte delle
opere c.d. "magiche": "De magia , De magia mathematica", "Theses de magia", ecc.
Il 2 giugno 1590 il B. giunge a Francoforte dove chiede ma non ottiene il
permesso di soggiorno e rimane precariamente ospitato in un convento di
carmelitani. Pubblicati tre poemi latini (De triplice minimo, De monade, De
innumerabilis) e dopo alcuni mesi di permanenza a Zurigo dove tiene lezioni di
filosofia, torna a Francoforte dove nella primavera del 1591 viene raggiunto da
due lettere del nobile veneziano Giovanni Mocenigo che lo invitano a Venezia per
insegnargli l'arte della memoria. I motivi per i quali B. si decise ad accettare
l'invito, con tutti i rischi connessi ad un rientro in Italia, sono tuttora
dibattuti tra gli studiosi. Probabilmente a ragione, Michele Ciliberto è
convinto che convergessero in questa scelta una pluralità di cause. Scomunicato
dalle chiese riformate non meno che dalla cattolica, in rotta con gli ambienti
puritani e con la fazione allora dominante in Francia, era isolato e
indesiderato a livello europeo. Aveva fiducia nella tradizionale autonomia della
Repubblica veneta (dove di fatto sopravvivevano circoli aristocratici orientati
in senso "liberale") rispetto al Papa, ed aspirava alla cattedra di matematica
dell'università di Padova, allora vacante, che sarà poi di Galileo Galilei. A
queste considerazioni, peraltro, il Ciliberto ne aggiunge un'altra, direttamente
connessa con gli ultimi raggiungimenti della filosofia del nolano: una sorta di
forte autocoscienza, di vocazione in senso riformatore, quasi si sentisse un
"Mercurio mandato dagli dei" per diradare le tenebre del presente. Una cosa,
rileva ancora Ciliberto, B. non aveva previsto: "che razza di uomo fosse il
Mocenigo" (Giordano Bruno, cit. pagg. 259 sgg.). Comunque sia, a fine marzo 1592
l'inquieto pellegrino giunge in casa Mocenigo a Venezia. Dopo alcuni mesi il
patrizio veneziano, forse insoddisfatto nella sua aspettativa di mirabolanti
tecniche magico- mnemoniche, forse anche indispettito per il carattere
indipendente del B. che mal si adattava alla condizione di "famiglio",
specialmente di una persona così insipiente (egli si apprestava tra l'altro ad
andare a Francoforte per far stampare libri e continuava a sperare in una
cattedra a Padova), contravvenendo alle più elementari regole dell'ospitalità,
rinchiuse B. nelle sue stanze e lo denunciò alla locale Inquisizione asserendo
di averlo sentito profferire bestemmie e frasi eretiche. Dopo un paio di mesi
peraltro il processo, subito iniziato, si presentava in modo abbastanza
favorevole al B., che si era difeso sostenendo di aver formulato ipotesi
filosofiche e non teologiche e che per quanto riguardava le cose di fede si
rimetteva pienamente alla dottrina della Chiesa chiedendo perdono per qualche
frase sconsiderata che potesse aver pronunciato. Ebbe inoltre attestazioni
favorevoli o per lo meno non ostili da parte di diversi testimoni del patriziato
veneto. Quando tutto faceva sperare in una prossima assoluzione, giunse
improvvisamente da Roma la richiesta del trasferimento del processo al tribunale
centrale del S. Uffizio. La prima risposta del senato, geloso custode
dell'autonomia della Serenissima, fu negativa, ma dietro le insistenze vaticane,
nella considerazione che l'inquisito non era cittadino veneziano e che il suo
processo era iniziato prima del suo arrivo nella città lagunare (ci si riferiva
ai fatti del 1575) giunse alla fine il nulla-osta e nel febbraio 1593 il gran
peregrinare del B. terminò in una cella del nuovo palazzo del S. Uffizio, fatto
costruire da Pio V nei pressi di Porta Cavalleggeri. Del processo, che si
protrasse per ben sei anni e durante il quale per una volta almeno si ricorse
con ogni probabilità alla tortura, ci rimane una "sommario", ritrovato
stranamente nell'archivio personale di Pio IX e pubblicato da A. Mercati nel
1942. Si tratta quasi certamente di una sintesi compilata ad uso dei giudici,
per consentire loro una visione d'insieme che non era facile avere nella gran
congerie dei documenti originali. Un fondamentale studio di questo estratto è
contenuto nel libro di L. Firpo "Il processo di Giordano Bruno", Napoli, 1949,
al quale si rinvia per i particolari drammatici e significativi dell'intricato
procedimento che, oltre a fornire numerosi dati sulla vita del B., mostra il
progressivo sgretolamento della sua tesi difensiva della separatezza tra il
piano filosofico (sul quale, soltanto, lui asseriva di aver speculato) e quello
teologico, che non gli interessava. Decisivo al riguardo fu l'ingresso nel
tribunale nel 1597 del teologo gesuita Roberto Bellarmino, chiamato ad esaminare
gli atti processuali e soprattutto le opere a stampa per enuclearne il contenuto
eterodosso. Quando il nolano, che pure durante il processo aveva cercato di
dissimulare, attenuare e talvolta anche accettato di ripudiare talune sue
posizioni in più aperto conflitto con la dottrina cattolica si trovò di fronte
alla necessità - per salvarsi - di rifiutare in blocco le sue idee, giudicate
radicalmente incompatibili con l'ortodossia cristiana, si irrigidì in un fermo e
sprezzante rifiuto e fu la fine. Il 20 gennaio 1600 Clemente VIII, considerando
ormai provate le accuse e rifiutando la richiesta di ulteriore tortura avanzata
dai cardinali, ordinò che l'imputato, "eretico impenitente", pertinace ,
ostinato", fosse consegnato al braccio secolare. Ciò significava, nonostante la
presenza nella sentenza della solita ipocrita formula che invocava la clemenza
del Governatore, la morte per rogo. L'8 febbraio la sentenza fu letta nella casa
del Card. Madruzzo e fu allora che il B., come riferisce un attendibile
testimone oculare (lo Schopp) rivolto ai giudici pronunciò la famosa frase
"Forse avete più paura voi che emanate questa sentenza che io che la ricevo"
(trad. dal latino). Il successivo giovedi 17 febbraio 1600 - anno santo - venne
condotto a Campo de' Fiori con la lingua in giova" cioè con una mordacchia che
gli impediva di parlare e qui, spogliato nudo e legato a un palo venne bruciato
vivo ostentatamente distogliendo lo sguardo da un crocefisso, del quale stava
condividendo la sorte ma che gli volevano far apparire come carnefice. Aveva
messo in pratica e purtroppo sperimentato sulla sua pelle una considerazione di
molti anni prima e cioè che "dove importa l'onore, l'utilità pubblica, la
dignità e perfezione del proprio essere, la cura delle divine leggi e naturali,
ivi non ti smuovi per terrori che minacciano morte" (Dialoghi Ital. a cura di G.
Gentile Firenze 1985 pp. 698-99). Nel sommario del processo ci sono tramandati i
capi d'accusa (24) ma non quelli ritenuti provati nella sentenza, che peraltro
ci sono così riferiti dallo Schopp, a memoria:
1. Negare la transustanziazione;
2. Mettere in dubbio la verginità di Maria;
3. Aver soggiornato in paese d'eretici, vivendo alla loro guisa;
4. Aver scritto contro il papa lo "Spaccio della bestia trionfante";
5. Sostenere l'esistenza di mondi innumerevoli ed eterni;
6. Asserire la metempsicosi e la possibilità che un anima sola informi due
corpi;
7. Ritenere la magia buona e lecita;
8. Identificare lo Spirito Santo con l'anima del mondo;
9. Affermare che Mosé simulò i suoi miracoli e inventò la legge;
10.Dichiarare che la sacra scrittura non è che un sogno;
11 .Ritenere che perfino i demoni si salveranno;
12.Opinare l'esistenza dei preadamiti;
13.Asserire che Cristo non è Dio, ma ingannatore e mago e che a buon diritto fu
impiccato;
14.Asserire che anche i profeti e gli apostoli furono maghi e che quasi tutti
vennero a mala fine.
Di tali errori il quarto risulta manifestamente infondato essendo lo "Spaccio"
piuttosto antiluterano che antipapista; le volgari invettive contro Cristo, i
profeti e gli apostoli dei nn. 13 e 14 sono evidentemente echi di sfoghi
contingenti di una persona esasperata. Dove il contrasto con l'Istituzione
appare insanabile è piuttosto con il nucleo centrale della dottrina del B.,
adombrato nei punti 5, 6 e 8. Non è qui il caso di approfondire il sistema
filosofico del nolano, ma il solo pensare che la terra, da centro di un limitato
universo, oggetto specifico e privilegiato dell'azione creatrice di Dio, diventi
un minuscolo puntolino in un universo infinito e tra mondi infiniti; che tale
universo è pervaso e vivificato da uno spirito divino immanente; che nel
continuo trasformarsi della vita anche le anime, immortali, informano corpi
diversi, ecc. rendeva le Scritture, Cristo, la Vergine, i profeti e i dogmi come
imperfettissime ombre di una realtà che la filosofia mostrava ben più grande, e
tutt'al più utili a tenere quieti i popoli. Probabilmente le idee di Bruno non
sarebbero mai riuscite a far presa sulle masse, a sollecitare scismi
lontanamente paragonabili a quello luterano; ma insomma di trattava, in un certo
senso, di un tentativo di sostituire una nuova "summa" sull'universo a quella
tradizionale di S. Tommaso. E questo fu considerato un pericoloso esempio, un
attentato alla supremazia della teologia sulla filosofia, della religione sulla
ragione. Continuiamo analizzando la
Metafisica dell'Infinito...
L'Ombra delle Idee -
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