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ricerca a cura del dott. Luigi Braco
Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus
von Hohenheim detto Paracelsus o Paracelso (Einsiedeln, 14 novembre 1493 –
Salisburgo, 24 settembre 1541) è stato un medico,
alchimista e
astrologo
svizzero.
Paracelso o "Paracelsus" significa "eguale a" o "più grande di" Celsus, e si
riferisce all'enciclopedista romano del primo secolo
Aulus Cornelius Celsus, noto per il suo trattato di medicina è una delle
figure più rappresentative del Rinascimento. Egli è anche noto per aver
battezzato lo zinco, chiamandolo zincum, ed è considerato come il primo botanico
sistematico. Si laureò all'Università di Ferrara, più o meno negli stessi anni
in cui si laureò
Niccolò Copernico.
Fino al 1500 la composizione e i mutamenti della materia erano spiegati sulla
base della dottrina dei quattro elementi di
Aristotele:
acqua, aria, terra e fuoco. Paracelso, per la prima volta, aggiunse ad essa una
teoria che contemplava tre nuovi principi della materia sale, zolfo e mercurio,
contrassegnata dalla presenza di spiriti della natura responsabili delle sue
trasformazioni e cambiamenti. Egli inoltre rifiutò l'insegnamento tradizionale
della medicina, dando vita a una nuova disciplina, la
iatrochimica, basata sulla cura delle malattie attraverso l'uso di sostanze
minerali.
Paracelso era figlio di Wilhelm von Hohenheim e di una serva ecclesiastica. Nacque ad Einsiedeln, in una delle case vicine al monastero di Unsere Liebe Frau, una delle stazioni di sosta per i pellegrini diretti a Santiago de Compostela. La figura di sua madre è avvolta dal mistero; secondo alcune voci del tempo sarebbe stata un'isterica, idea forse diffusasi a partire dall'esperienza di Paracelso riguardo a questa malattia nelle donne. Pare, inoltre, che da lei il figlio avrebbe ereditato la bruttezza fisica e le maniere rozze. Nel 1502 si stabilì con il padre in Carinzia, a Villaco. Fu da suo padre, laureato in medicina presso l'Università di Tubinga, che egli ricevette i primi insegnamenti in medicina e in chimica. In seguito, sotto l'abate ed alchimista Giovanni Tritemio, studiò chimica ed occultismo. Per quanto riguarda la sua formazione universitaria, che avvenne tra il 1509 e il 1515, lui stesso dice di aver frequentato varie università. A quanto pare, non subì alcun fascino da parte della Sorbona di Parigi, che pure era all'avanguardia dal punto di vista del sapere anatomico. La sua fortuna fu quella di venire a contatto con la medicina innovativa dell'Italia settentrionale. Si laureò in medicina presso l'Università di Ferrara, alla quale però non sarebbe rimasto molto fedele, poiché essa si opponeva a un cambiamento del sistema medico.
La sua vita fu estremamente movimentata,
ma difficile da ricostruire perché notoriamente Paracelso abbellì la sua
biografia di particolari inventati e avventurosi. Secondo quanto lui dice dopo
aver lavorato nelle miniere in Germania e in Ungheria, dove apprese i segreti
dei metalli, intraprese lunghi vagabondaggi che lo portarono in Italia,
soggiornando a Torino e poi in Spagna, in Germania, in Inghilterra, in Svezia,
in Polonia, in Transilvania; mete plausibili, mentre è molto meno probabile che,
come egli stesso dice, sia stato in India e in Cina. Pare che si fosse recato
anche in Russia, alla ricerca delle miniere dei Tartari, dove sarebbe stato
fatto prigioniero dal Khan, che gli avrebbe svelato dei segreti.
Molto importante fu per lui l'esperienza di medico militare, prima durante la
guerra veneziana, più tardi in Danimarca e in Svezia. Tornato in Germania, la
sua fama aumentò rapidamente e nel 1527 gli fu offerta la cattedra di medicina
all'Università di Basilea. Paracelso, nello stesso anno, fece bruciare
pubblicamente dai suoi studenti i testi di Galeno ed Avicenna, bollandoli come
ignoranti in materia medica, e sostenendo che ognuno possiede dentro di sé le
doti necessarie per esplorare il mondo.
Poco dopo iniziò a perdere anche quella stima e fiducia da parte degli studenti
che fino ad allora lo avevano salvato dal rischio di allontanamento
dall'ambiente universitario. La sua opposizione aperta sia alla medicina
tradizionale sia alla nuova medicina nata tra Italia e Francia e la sua indole
polemica lo portarono a perdere il lavoro fisso di insegnante presso
l'Università di Basilea. Lasciò infatti la città nel gennaio del 1528. Negli
stessi anni tra le università francesi e quelle italiane si andavano riscoprendo
i classici di Galeno e Avicenna, purificati filologicamente dalle glosse
medioevali e integrati da trattati di anatomia "scientifici", oltre a ricerche
empiristiche che andavano ad attaccare direttamente la tradizione popolare (come
per esempio le opere di Laurent Joubert della facoltà di medicina di
Montpellier) e quelle platoniche.
A San Gallo, cittadina dell'est della
Svizzera, visse un secondo breve periodo positivo della sua vita. Qui, nel 1531,
gli vennero affidate le cure del borgomastro del paese Christian Studer per
ventisette settimane. Tuttavia, Paracelso non era tenuto in gran considerazione
dai medici teorici di allora. Durante questi anni, infatti, la sua figura si
contrappone a quella di Joachim Vadiano, medico e luminare più in vista a San
Gallo, del quale è anche sindaco, umanista che però prediligeva la teoria alla
pratica e al contatto diretto con il malato. Le fonti fanno sembrare che
Paracelso fosse spesso consultato per problemi allo stomaco e all'intestino,
probabilmente perché la sua fama era maggiore in questo campo che nella
chirurgia.
Durante il soggiorno a San Gallo si verificò un evento a partire dal quale si
può intuire l'inclinazione profetica della personalità di Paracelso: come questi
scrive nella sua opera Paramirum, il 28 ottobre del 1531 avvistò un gigantesco
arcobaleno. Egli notò che questo indicava la stessa direzione da cui, due mesi
prima, era venuta la cometa di Halley. Secondo Paracelso, l'arcobaleno, da lui
chiamato arco della pace, avrebbe portato un messaggio salvifico dopo la
discordia annunciata dalla cometa.
Dopo aver passato i restanti anni della sua vita a vagare di città in città,
morì a Salisburgo il 24 settembre 1541. È sepolto nella chiesa di S. Sebastiano.
Le scene più commoventi presso la sua tomba si sono verificate nel 1831 quando,
durante le terribili settimane del colera indiano, gli abitanti delle Alpi
Salisburghesi si recarono in pellegrinaggio a Salisburgo per implorare non il
Santo patrono, ma il medico Paracelso, di risparmiarli dall'epidemia.
Dottrina
Secondo questo singolare personaggio, i migliori insegnamenti per un medico non provenivano affatto dai veneratissimi medici del passato, come Ippocrate, Galeno o Avicenna, bensì dall'esperienza, quella stessa che lui aveva raccolto nei suoi numerosi viaggi e che voleva trasmettere ai suoi alunni. Allo sguardo rivolto al passato, agli antichi, egli voleva contrapporre il progresso, uno slancio verso uno studio più approfondito della natura, in cui lui era convinto ci fosse la cura per ogni sorta di malattia (riprende la concezione ippocratica della "vis medicatrix naturae"). In particolare, come egli spiega nei dieci libri degli Archidoxa, nella natura ci sono delle forze guaritrici chiamate Arcana che vengono portate alla luce dall'arte alchemica. I quattro arcana principali sono la prima materia, il lapis philosophorum, il mercurium vitae e la tintura.
Nella visione paracelsiana tutti i corpi, organici e inorganici, l'uomo compreso, sono costituiti da tre elementi basilari: il sale, lo zolfo e il mercurio. Lo stato di salute è quello in cui queste tre sostanze formano una perfetta unità e non sono riconoscibili singolarmente, mentre nella malattia si separano. Il medico si getta quindi alle spalle la teoria degli umori da tutti condivisa. Inoltre alla teoria dei contrari egli opponeva la teoria dei simili, già presente presso i primitivi e gli egiziani, secondo la quale una malattia può essere curata con la stessa sostanza da cui è stata causata.
Paracelso rifiuta l'interpretazione
metallurgica del sapere alchemico e la sua ricerca della produzione di metalli
preziosi da quelli più vili. L'alchimia paracelsiana si concentra invece sulle
sue ricadute medicinali, collegate ai concetti di elixir, sviluppando le
premesse di Raimondo Lullo.
Da un punto di vista più intimo, Paracelso dava molta importanza, non meno di
Ippocrate, all'integrità personale del medico, al suo agire secondo coscienza.
Inoltre, vedeva nel celibato un mezzo che permetteva al medico di dedicarsi
totalmente alla cura dei pazienti, anche in caso di malattie contagiose e quindi
per lui pericolose. Pare, infatti, che egli fosse casto. Secondo Paracelso le
malattie, come la salute, provenivano da Dio, dunque il medico non era altro che
colui che faceva avvenire quella guarigione che altrimenti sarebbe venuta
direttamente da Dio, se il paziente avesse avuto abbastanza fede.
Interessante è la dottrina, anch'essa originale, costruita da Paracelso intorno
alla donna. Innanzitutto, egli riconosce che anche alcune figure femminili,
nella sua vita, hanno contribuito a formare il suo sapere di medico. Distingue
nettamente l'anatomia e lo spirito della donna rispetto a quelli dell'uomo. Per
lui la donna è matrix (matrice), termine con cui non si intendono solo gli
organi riproduttivi, ma la totalità di essa. Quello della donna è un piccolo
mondo a parte in cui però è racchiuso il grande mistero della vita, che la mette
a stretto contatto con il grande mondo della natura. Mentre secondo la
tradizione, a partire da Ippocrate, la donna è solo il recipiente che raccoglie
il seme, per Paracelso la capacità immaginativa della donna incinta è decisiva
per la formazione spirituale del figlio. Si hanno sue descrizioni dell'anatomia
femminile, anche se molto meno dettagliate rispetto a quelle di Vesalio, in
quanto basate principalmente sull'osservazione esterna.
Quella di Paracelso è una medicina che
pone al centro l'uomo vivo. Egli dava molta importanza a un'attenta osservazione
del paziente ed era molto capace nell'immedesimarsi nei suoi disturbi.
L'anatomia di Paracelso, infatti, non si basa sulla dissezione come quella di
Vesalio, bensì sull'esteriorità, sulla capacità del medico di ricollegare i
segni sul corpo all'agente interno causa della malattia. Si può dire dunque che
pone le basi della semeiotica. Nei suoi scritti, nel descrivere le parti
anatomiche, inserisce contemporaneamente le sue interpretazioni di esse, non
distingue ciò che vede da ciò che pensa. Nel Volumen Paramirum elenca i cinque
possibili principi delle malattie: ens astrale, ens venale, ens naturale, ens
spirituale ed ens dei. Un buon medico, per capire la causa della malattia, deve
basarsi su tutti e cinque gli enti.
Per quanto riguarda la chirurgia, il fondamento è conservativo e non aggressivo:
bisogna solo stimolare la natura ed essa provvederà da sé. Tuttavia, l'uso di
anestesie molto blande faceva sì che egli non praticasse vivisezioni e che le
sue operazioni fossero dolorose. Si dedicò particolarmente a studi sulla
sifilide; secondo la sua teoria la malattia era generata da due fattori
connessi: l'influsso astrale, di per sé innocuo, e l'atto impuro, che sorge
dalla libido. La sua importanza in campo farmacologico è dovuta al fatto di
essere stato il primo a raccomandare l'uso di sostanze minerali e di prodotti
chimici per la cura delle malattie dell'uomo, diversamente da quanto esposto
nelle precedenti dottrine dove ci si limitava all'uso di piante ed estratti
vegetali.
Bibliografia
"Sette libri dei supremi insegnamenti
magici", Giunti-Demetra, 2007.
"Paragrano", trad. it. di F. Masini,
Laterza, Bari, 1973.
"Scritti alchemici e magici", Phoenix, Genova, 1981.
"Il labirinto dei medici", Il Basilisco, Genova, 1982.
"De homunculis", Phoenix, Genova, 1992.
"Il fondamento della sapienza", Il Leone verde, Torino, 1998.
"Paracelso, medico e profeta", Salerno Editrice, Roma, 2000
"Insegnamenti magici", Atanor, Roma, 2002.
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