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ricerche a cura del dott. Luigi Braco
Vita
Scipione Capece, Napoli, 1480 – Napoli, 9 dicembre 1551, è stato un giurista e poeta italiano. Esperto giurista, fu professore universitario di diritto a Napoli. Nel 1535 pubblicò i commentari su Virgilio di Tiberio Claudio Donato; inoltre compose due poemi didattici: "De divo Joanne Baptista", "De Principiis rerum": link alla versione Italiana. In quest'ultimo, imitava Lucrezio, ma con una teoria opposta antimaterialistica. Le principali edizioni delle sue opere furono quella di Napoli del 1584 e quella di Venezia del 1754. Sospettato di eresia, come riferito da Giulio Basalù all'Inquisizione veneziana il 21 maggio 1555, e di sedizione contro il vicerè Toledo, subì la destituzione e la soppressione dell'Accademia Pontaniana di cui ospitava le riunioni. Si rifugiò quindi presso il principe di Salerno, Ferrante Sanseverino. L'Approfondimento su Treccani
Orizzonte Filosofico
Precipitato ideologico e culturale dell’elaborazione naturalistica pontaniana si può considerare l’opera del nobile Scipione Capece, signore di Antignano e S. Giovanni a Teduccio, filosofo e giurista, allievo del Pontano, profondamente influenzato dalla predicazione di Bernardino Ochino e dagli scritti mistici di Juan De Valdes ed in qualche modo interno all’ambiente valdesiano di Napoli, che non disdegnava il recepimento di influenze luterane. Alla morte del Sannazzaro, l’accademia Pontaniana fu accolta nella sua casa, fino al suo definitivo scioglimento, che coincise con la rimozione del Capece dai suoi incarichi pubblici ed il suo esilio di fatto presso un protettore salernitano, ad opera di Pedro da Toledo, il ferreo Vicerè che vedeva di mal occhio il raggrupparsi degli intellettuali e dei nobili napoletani in conventicole in cui potevano fomentarsi ideologie eretiche e posizioni politiche di opposizione.
Nel De Principiis rerum, 1546, la visione cosmologica capeciana, prendendo le
mosse dal naturalismo pontaniano, si regola su di una visione dell’universo come
dispiegamento di una rivelazione divina, in cui non trovano posto le dottrine
casualistiche lucreziane, in cui si nega l’atomismo, in cui la materia non
può, in quanto creazione, essere eterna ed in cui la stessa teoria aristotelica
dei quattro principi (caldo, secco, freddo, umido) viene contestata, dal momento
che inaffidabile, per l’autore, è l’identificazione della terra come formata
dalle nature fredda e secca, e la terra, sottolinea il Capece, contiene
palesemente nelle sue viscere la qualità calda,
la stessa aria, al contrario di quanto sostiene lo stagirita, è invece
palesemente fredda e non può dunque essere formata dall’unione delle qualità
calda ed umida. La genesi della creazione, nella visione del Capece, avviene a
partire dall’Aria, elemento che contiene le forme potenziali e che sostiene la
creazione, l’elemento in cui tutto si crea e tutto si risolve, elemento
intangibile a partire dal quale si concretizza ogni corpo. In questo modo, la
visione naturalistico-filosofica del Capece affida all’aereo, all’intangibile il
seme traslucido della generazione, lanciando lo sguardo del filosofo
investigante oltre il confine della corporeità sensibile.
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