Morieno alias Marianos alias Morieno
Romano, è un leggendario eremita cristiano della
fine del VII secolo, si dice abbia vissuto nelle montagne vicino a Gerusalemme.
Roberto di Chester
tradusse dall'arabo in latino il suo trattato alchemico col titolo "Liber de Compositione
Alchimiae" - contenente un dialogo tra Morieno e
Khalid ibn
Yazid, il testo è
stato stampato successivamente a Parigi nel 1559, col titolo "De Transfiguratione Metallorum
".
Il volume di Morieno segna l'inizio degli studi occidentali sull'Alchimia,
che prima era in gran parte sconosciuta in Europa centrale. Si dice che
Morieno abbia carpito dal principe Khalid il segreto della Pietra Filosofale, ma
probabilmente si tratta di una storia di fantasia per dimostrare la priorità
degli studiosi cristiani rispetto a quelli mussulmani in merito all'alchimia.
Morieno viene indicato da Michael Maier tra i grandi alchimisti della storia. Morieno Romano é conosciuto
in Italia soprattutto per il suo "Testamento Alchemico".
Da "Arcana
Sapienza, l'Alchimia dalle origini a Jung" di Michela Pereira
"D’altra parte proprio il primo testo alchemico arabo tradotto in latino, il già
rammentato Testamento di Morieno, delinea un percorso del sapere trasmutatorio
che tocca Roma, città d’origine dello stesso Morieno; Bisanzio, con l’imperatore
Eraclio e l’alchimista Stefano; Gerusalemme, la città dove Morieno opera; e il
califfato di Baghdad con il re Khàlid, che richiede la presenza
dell’alchimista e ottiene che questi gli insegni i segreti dell’arte. Il
racconto collega cioè in forma mitica tutte le civiltà mediterranee dell’epoca
attraverso i passaggi del sapere segreto della trasmutazione, dando un ruolo
fondante proprio all’alchimia bizantina: Morieno dichiara infatti di aver
ricevuto il proprio sapere da Stefano, denominato con forma islamizzata Adfar, e
di essersi trasferito a Gerusalemme solo dopo la morte dell’imperatore Eraclio
(610-641 d.C.)"
"Dell’atto culminante del processo alchemico Morieno dice: «Questa è la
composizione della cui difficoltà si sono rammaricati moltissimi sapienti, che
dissero: Se qualcuno riesce a trovare con la propria scienza questa
composizione, allora potrà imparare facilmente tutta quest'opera.
E chi non riuscirà a scoprire questa composizione, resterà completamente
all’oscuro dell’opera [...]. È tale quale i sapienti dissero essere la
trasformazione delle nature, e fra esse la mescolanza meravigliosa del caldo col
freddo, cioè del fuoco con l’acqua; e dell’umido col secco, cioè dell’aria con
la terra, secondo una composizione molto sottile 9 (58-9)».
Poco oltre precisa che questo composto «in arabo si chiama acir» Morieno insegna dunque che
l'elixir si fa
attraverso un processo analogo a quello della trasformazione degli elementi (le
“nature”) l’uno nell’altro, di cui sia la filosofia aristotelica nel "De
Generatone et Corruptione" che quella ermetica nel "Libro dei Segreti della
Creazione" offrivano spiegazioni interessanti per gli alchimisti. La composizione
dell’elixir costituisce, nel testo di Morieno, il punto d’arrivo di un processo
che inizia con l’ottenimento della materia prima, offrendo un modello operativo
che gli alchimisti occidentali terranno come base del loro sapere. Ma la
descrizione dell'opus è preceduta da un’ampia parte introduttiva che mette in
primo piano il carattere segreto dell’alchimia, mostrando come tale sapere non
possa essere ottenuto se non con l’assunzione della fatica e della pazienza che
la ricerca richiede, e come non possa essere dato se non in seguito allo
stabilirsi di una relazione di reciproca fiducia fra chi insegna e chi apprende.
Morieno narra di aver ricevuto la dottrina dal suo maestro Adfar (Stefano
d’Alessandria) non nel momento in cui l'aveva chiesta, ma quando Adfar aveva
deciso che egli era pronto ad essere «il figlio a cui trasmettere tutta la mia
dottrina»; e a sua volta Morieno la trasmette al sovrano Khàlid dopo una
lunga frequentazione in cui ne ha messo alla prova le qualità morali: «Per la
tua devozione, la tua bontà, il tuo affetto, ho capito che non è opportuno che
uno come me ti tenga all’oscuro delle cose che vuoi sapere». Lo sviluppo di
queste qualità è necessario in primo luogo perché il sapere dell’alchimia è un
sapere che conferisce potenza, ma anche perché il processo alchemico richiede
prima di ogni altra una dote del carattere, la pazienza, che dona all’artefice
la capacità di inserirsi con rispetto e senza violenza nel tempo della natura.
Poiché l’alchimista è “ministro” della natura, infatti, il tempo del lavoro
alchemico non può essere determinato estrinsecamente e la durata dell'opus
coincide con la cura del processo che deve essere pazientemente auscultato.
L’affermazione, presente in numerosi testi, che l’alchimista fa in pochi giorni
quello che la natura fa in millenni non va dunque interpretata come
un’arbitraria e frettolosa determinazione temporale, ma come la consapevolezza
che l’opera è tutta nella responsabilità dell’artefice umano. «E stai attento a
non diminuire i giorni e a non dimenticartene» ammonisce Morieno, che non
insegna ricette ma una modalità dell’operare paragonabile piuttosto alla
generazione umana che non ad una tecnica. Nel portare avanti quest'opera ti sono
necessarie le nozze, il concepimento, la gravidanza, la nascita e l'allevamento.
Quando infatti c’è una congiunzione, c’è il concepimento, che dà inizio alla
gravidanza, e questa è seguita dalla nascita. Dunque portare avanti
quest’opera somiglia alla creazione di un uomo. Infatti il creatore sommo ha
creato l’uomo non come si edifica una casa, né ciò assomiglia alla costruzione
di una casa o ad un'altra cosa fatta dalle mani dell’uomo. In questo
paragone sta racchiusa una possibilità fondamentalmente ambigua di pensare
l’operare umano: può infatti essere inteso come una duplicazione dell’opera del
creatore, secondo un’interpretazione che sembra già gravida della
tecnologia della modernità; ma si può anche intendere che l’alchimia si
sviluppa seguendo il modello della sessualità e della generazione umana, che
continuano nella storia l’opera creatrice di Dio. Intesa in questo senso,
l’alchimia richiede la congiunzione della mente umana con la natura, il
matrimonio di due entità viventi. Il legame dell'opus coi processi vitali è il
dato di fondo dell’insegnamento di Morieno, dove è detto che ciò che si chiama
col nome della pietra in realtà non è una pietra e che la misteriosa radice
unica dell’opera, la materia prima che i filosofi hanno chiamato con nomi
molteplici, risiede nell’artefice stesso: «si estrae da te, tu sei la sua
miniera, la si può trovare presso di te e trarla da te, e dopo che ne avrai
fatto esperienza aumenterà in te l’amore per essa». La materia prima è «per
i ricchi e per i poveri, per i generosi e per gli avari, per chi viaggia e per
chi sta fermo, viene gettata per le vie e viene calpestata nei letamai [...]. E
solo i sapienti sanno che è una cosa sola, nascosta, ed i quattro elementi sono
in essa, ma essa è più forte di loro». Tali affermazioni, che a partire
dal Rinascimento saranno poste a fondamento delle interpretazioni spirituali
dell’alchimia, furono lette da molti alchimisti medievali come indicazione della
continuità fra l’artefice e la sua opera, una continuità materiale per cui è il
corpo stesso dell’uomo che fornisce la materia prima dell'opus. Quest’idea si innesta su una concezione dell’essere umano in cui corpo e
anima sono tenuti assieme da un’istanza intermedia, che la letteratura medica e
filosofica dell’epoca chiama col nome di spiritus, e di cui il sangue è il
principale veicolo. L’interpretazione “spirituale” del detto di Morieno è dunque
legittima, purché non si dimentichi che lo spirito di cui parlano gli alchimisti
non è l’opposto della materia, come nella cultura post-scolastica e
post-cartesiana, ma è concepito come il “corpo sottile” che è la matrice
unitaria del mondo e dell’uomo, dell’artefice e della materia su cui opera."