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a cura di IniziazioneAntica


La Sibilla Cumana

Nessun mito, come quello della Sibilla, ha attraversato i millenni, conservando il fascino della superstizione primitiva dalla quale trae origine, nonostante gli adattamenti alle differenze etniche, culturali e psicologiche delle antiche popolazioni mediterranee che l'hanno coltivato. Dagli oscuri tempi pre-omerici, la Sibilla è giunta fino al medio-evo sostanzialmente immutata nel suo significato. Il suo ciclo non è stato mai concluso perchè la sua presenza sopravvive nel folclore religioso, fino ai primi decenni del XX sec. in alcune regioni e città di Italia. Ma soprattutto vive il suo ricordo, oltre che nelle opere di scrittori e artisti nel nostro Rinascimento, nella suggestione che ancora ispirano il Lago d'Averno e la grotta della Sibilla Cumana, famosa nel mondo.


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Nella mitologia greca e romana, era una qualsiasi donna dotata di poteri divinatori donatigli da Apollo. Le Sibille vivevano in grotte o nei pressi di corsi d'acqua e vaticinavano in stato di inconsapevole frenesia, abitualmente scrivendo in esametri greci. Gli antichi scrittori greci citavano una sola Sibilla, probabilmente Erofile di Eritre, che aveva predetto la guerra di Troia. Circa il significato della parola, sappiamo che rimane decisamente oscuro. La parola "Sibilla" potrebbe avere il significato di "VERGINE NERA", cioè la vergine o divinità che opera in un luogo oscuro, com'è l'antro nel quale la tradizione la colloca nei momenti in cui pronuncia i suoi "VATICINI". La Sibilla, posseduta dalla divinità, è una creatura sconvolta, che cerca di resistere ad una condizione di sofferenza alla quale viene trascinata da una forza superiore: i suoi vaticini sono perciò duri e spesso angosciosi. Le leggende posteriori enumeravano nove Sibille: "la CUMANA (denominata da altri autori DEIFOBE, EROFILE, AMALTEA, DEMIFELE), la DELFICA, la LIBICA, la SAMIA, l'ELLESPONTICA, la FRIGIA, la PERSICA, l' ERITREA, la TIBURTINA. I più acuti studiosi del fenomeno sibillino sono: "Klausen" e "Bouchè". Secondo Klausen il personaggio della Sibilla nasce in virtù dell'incontro fra Dioniso, che fornisce l'elemento più significativo del suo culto, cioè la "BACCANTE ENTUSIASTICA" e Apollo al quale presta la voce per la predizione del futuro. Il Bouchè ne fa discendere il culto da Cassandra e Manto, mentre la divinazione rimane più semplice e libera rispetto a quella della Pizia. La Sibilla come la Pizia nasce dal mito di Apollo, infatti entrambi prestano la voce al dio oracolare in preda alla sofferenza che la possessione comporta, esistono però sostanziali differenze. Infatti la Pizia è vincolata a un santuario ed al periodo dell'anno in cui si supponeva che il dio fosse presente al tempio. I suoi vaticini sono soggetti all'interpretazione di un collegio sacerdotale; essa viene "invasata dal potere divino", respirando i vapori che escono da una fenditura del terreno nei pressi dell'antro, beve l'acqua di una certa fonte e ingerisce foglie di lauro, simboleggianti l'ingresso in lei del dio. Inoltre viene imposto all'interrogante l'esecuzione di determinati atti rituali, quali quelli di cingersi il capo di una corona di alloro, di tenere in mano un ramo con fascette di lana intrecciata, di conferire doni per il santuario del tempio e di sacrificare un animale; inoltre l'interrogante doveva attendere l'ammissione o meno del quesito a seconda dell'esito degli auspici. Niente di tutto questo accade per la Sibilla: di analogo non c'è che la sofferenza fisica e l'antro nel quale proferisce i suoi vaticini. Per il resto, niente tempio, e riti, e donazioni, e assistenza di sacerdoti. Come tutte le sacerdotesse, naturalmente la Sibilla non si sottrae al mistero del sacro matrimonio col dio. La sposa scelta da un dio non può essere che vergine, nè lo stato di verginità è per essa inconciliabile con quello di gravidanza perchè l'amplesso divino non è che "Mixis ", un soffio, un afflato con il quale Apollo trasmette alla sua " sposa" la purezza del suo amore. La verginità della Sibilla, nonostante la fecondità oracolare, non viene posta in discussione, così come secondo una delle più antiche concessioni religiose la terra, "madre comune", è considerata eternamente vergine ed eternamente fecondata.

Particolare importanza riveste il mito della "SIBILLA CUMANA", sviluppatosi in una regione che ebbe correnti di civilizzazione bene anteriori all'epoca della collocazione della comunità greca dedotta dai Calcidesi di Pitecusa. Essa rafforzò in ogni tempo, prima e dopo la dominazione di Roma, il culto della divinità, meritò la venerazione delle genti, alimentò le speranze e placò i turbamenti delle folle in tempi difficili della storia di Roma. A questo punto viene da riflettere sul leggendario rapporto tra Erofile e la Cumana, la cui esistenza pare svolgersi in un'unica vita vissuta in due tempi diversi ma senza soluzione di continuità. La fama della Sibilla Cumana sorge in tempi antichissimi e si perpetua per una serie di motivi: per il mistero che avvolgeva la paurosa sede presso la quale proferiva i suoi vaticini; per la preesistenza di una facoltà oracolare connessa ai luoghi che ispirano i riferimenti omerici sul viaggio di Ulisse; per i versi virgiliani e perchè , infine, essa è in qualche modo collegata con la storia di Roma. Secondo la leggenda, Apollo le aveva promesso di esaudire qualunque suo desiderio in cambio del suo amore, ella gli chiese di poter vivere altrettanti anni quanti erano i granelli di sabbia che poteva tenere nella sua mano. Trascurò, tuttavia, di domandare al dio anche l'eterna giovinezza, che Apollo le offrì in cambio della sua verginità. In seguito al suo rifiuto la Sibilla Cumana iniziò ad invecchiare e a rinsecchire fino ad assomigliare ad una cicala e a essere appesa in una gabbia del tempio di Apollo, a Cuma. In queste condizioni la Sibilla aveva un solo desiderio la "morte" che tuttavia, non fu soddisfatto. La notevole longevità della Sibilla la fa spesso raffigurare molto vecchia e addirittura immortale. Ovidio ce la presenta con 300 anni ancora da vivere, ma anche dopo le sopravviverà la voce. Tanto per rifersi alla sola Erofile, si narra che, dopo essere stata a Delo, Delfi, Klaro e Samo, sia ritornata nella Troade, dove venne colta dalla morte. Un'altra leggenda narra di un considerevole prolungamento della vita concessole da Apollo, a condizione di abbandonare la sua patria per poi stabilirsi a Cuma. In una versione posteriore, guidò il principe troiano Enea nel mondo sotterraneo in cerca di suo padre Anchise; secondo un'altra leggenda apparve sotto le sembianze di una donna anziana a Tarqunio il Superbo, settimo ed ultimo re di Roma, e gli offrì i suoi nove libri profetici ad un prezzo elevato. Poichè questi rifiutò, la Sibilla distrusse tre libri e poi gli offrì gli altri sei allo stesso prezzo; Tarquinio rifiutò di nuovo e lei ne distrusse altri tre. Alla fine il re comprò i tre libri rimasti al prezzo richiesto per nove, e i volumi furono posti nel Tempio di Giove a Roma e consultati in situazioni di emergenza. I "LIBRI SIBILLINI" autentici bruciarono in un incendio dell'83 a.C., ma in seguito ne fu compilata una nuova serie che venne distrutta in epoca tardoimperiale, all'inizio del V secolo.

 



Cuma è un'antica città della Campania, presso il litorale tirrenico, a nord-ovest del lago d'Averno. Secondo le fonti è la più antica colonia greca dell'Italia meridionale. Eusebio la pone addirittura nel 1051 a. C., ma in realtà la sua fondazione va collegata con l'arrivo nel basso Tirreno, tra il sec. IX e l'VIII a..C., di coloni provenienti da Calcide (Eubea). Nella sua espansione, culminata con la fondazione di parecchie città (Napoli, Abella, Zancle, ecc.), si scontrò con gli Italici, ma soprattutto con gli Etruschi, sui quali riportò due grandi vittorie riuscendo a conservare la propria indipendenza. Mezzo secolo dopo essa cadde però sotto la dominazione dei Sanniti e si trasformò gradatamente in una città osca; passò, quindi, sotto il controllo romano come civitas sine suffragio (338 a.C.). Fedele a Roma durante la seconda guerra punica e quella sociale ed entrata sempre più nell'ambito della cultura latina, Cuma ricevette il pieno diritto di cittadinanza forse prima degli altri soci italici. Ma la sua importanza diminuì, nonostante la deduzione di una colonia militare, contemporaneamente al crescente sviluppo di Napoli, di Baia e di Pozzuoli. Il cristianesimo vi si affermò molto precocemente; nel 560 d.C. fu l'ultima roccaforte dei Goti assediati da Narsete e nel 1216 fu distrutta dai Napoletani. Proprio a Cuma troviamo il leggendario "Antro della Sibilla". Il monumento, tutto scavato nel tufo, affascina e incute paura, per l'atmosfera di mistero che lo circonda. Stando alla descrizione di Virgilio (Eneide, libro VI), è proprio in questo luogo da ricercare la sede della leggendaria sacerdotessa di Apollo. Ma potrebbe essere anche un raro esempio di architettura funeraria di ispirazione cretese-micenea ,anche se ,recenti studi attribuiscono alla struttura una funzione difensiva della sottostante area portuale. Dell'antica colonia greca resta l’ acropoli, che conserva ancora le mura del V sec. e comprende i resti del Tempio di Apollo (collegato attraverso un cunicolo all'antro della Sibilla), del Tempio di Giove e la Cripta Romana. Dell'area urbana restano soprattutto i ruderi romani con la piazza porticata del foro, il Capitolium ed edifici termali (a sud della città era l'anfiteatro). Di grande importanza le necropoli che vanno dal sec. VIII a. C. all'età imperiale romana; sono di particolare interesse due tombe a camera dipinte, l’una del III e l’altra del IV sec. a..C., nei pressi delle quali si trova il piccolo centro moderno di Cuma.

 



Un compito non poco controverso ha rappresentato sin dall'antichità il tentativo d'identificare l'esatta collocazione dell'antro dove la Sibilla Cumana invasata dal dio Apollo vaticinava. I più antichi riferimenti ad un antro della Sibilla si trovano in un testo pseudoaristotelico (De mirab. ausc., IV-III sec. a.C.) e in Licofrone (III sec. a.C..), ma l'evocazione più famosa, che tende però più a riprodurre un'immagine suggestiva e misteriosa del luogo che a fornirci riferimenti concreti sulla sua reale collocazione, è sicuramente quella di Virgilio nel VI libro dell'Eneide. Per avere una descrizione più compiuta e una rappresentazione topografica più reale della sede oracolare della Sibilla si dovranno attendere parecchi secoli. Infatti saranno lo pseudo-Giustino (IV sec. d.C), Procopio e Agathias a fornirci dati e indicazioni più concrete ma, queste come è stato attestato da recenti studi, si riferiscono alla Crypta romana, costruzione augustea destinata a collegare la città bassa con la zona del porto, per cui non sono di aiuto per l'identificazione dell'antro. Ci sono poi delle fonti che escludono, almeno in età tarda, l'esistenza di un'apposita sede oracolare; Infatti secondo Pausania (II sec. d. C.) i cumani non avevano da mostrare alcun oracolo della Sibilla ma soltanto un'urna con le ceneri della profetessa custodita nel tempio di Apollo. Una notizia tramandata nella vita dell'imperatore Clodio Albino, secondo la quale l'imperatore avrebbe interrogato l'oracolo nel tempio di Apollo Cumano (196-197 d.C.), potrebbe avvalorare questa tesi. Questa tradizione, però, non sembra essere molto attendibile perché se la Sibilla si fosse sempre trovata nel tempio di Apollo nessuno avrebbe potuto interrogarla visto che il tempio come luogo sacro non era accessibile a tutti.

La permanenza del mito della Sibilla alla scomparsa del mondo antico ha rafforzato nel medioevo il problema della localizzazione dell'antro.Primo fra tutti è stato riletto e ristudiato il VI libro dell'Eneide che, con il rilievo e l'importanza dell'incontro di Enea e della Sibilla e dell'episodio della discesa agli inferi sotto la guida della profetessa, spinse per lungo tempo a cercare proprio sulle rive del lago Averno la sede dell'oracolo sibillino dove fu rinvenuta una lunga spelonca nota ancora oggi come Grotta della Sibilla.


Per lungo tempo si credette di aver finalmente trovato il luogo sacro tanto cercato e questa convinzione, ripresa anche dal Petrarca e dal Boccaccio, è stata sostenuta in tutto il Rinascimento. Anche quando sulla scia degli studi dell''Alberti e il Capaccio si respinse la localizzazione presso l'Averno per la suggestione del luogo e il fascino della tradizione la visita alla spelonca come antro dell'oracolo è rimasto quasi fino al secolo scorso una delle mete più ambite dei viaggiatori del Grand Tour. Soltanto verso la metà dell'800 l'interesse degli archeologi si portò sulle rovine dell'Acropoli di Cuma. Dopo il 1910 E. Gabrici rivolse la sua attenzione esclusivamente al colle di Cuma perché, fallite ormai le ricerche del secolo precedente, si riteneva che l'antro dovesse trovarsi proprio nei pressi della città. Dal 1925 al 1932 ci furono ancora intense ricerche e ai primi tentativi fallimentari del Gabrici si affiancarono quelli del Maiuri che, in un primo momento, identificò l'antro con una galleria che attraversava il monte di Cuma, la Crypta romana descritta dallo pseudo-Giustino. Nel 1932, ritenuta errata tale identificazione, Amedeo Maiuri riprese le ricerche scoprendo un ambiente a pianta quadrangolare, utilizzato come cellaio. La grotta identificata come l'antro della Sibilla ha subito interventi romani e bizantini e per il caratteristico taglio trapezoidale della parete è databile in età molto arcaica, probabilmente alla seconda metà del IV secolo a.C. L'antro è costituito da un lungo corridoio (met. 131,20) con nove bracci nella parte accidentale di questi sei comunicanti con l'esterno e tre chiusi: verso la metà del secolo scorso, sulla sinistra vi è un braccio articolato in tre ambienti rettangolari disposti a croce, usati in età romane come cisterne. Sul fondo delle cisterne alcune fosse in muratura e fosse sepolcrali indicano che questa parte della galleria svolse in età cristiana funzione di catacomba. Alla stessa epoca risale un Arcosolium (arco scavato nel tubo e ornato di dipinti, sormontate di loculi) visuale poco più avanti lungo il corridoio c'è una sala rettangolare. Da qui un vestibolo a sinistra, anticamente chiuso da un cancello, introduce in un piccolo ambiente che si suddivide in tre nelle minori disposte a croce. Questa stanza è stata interpretata come Oikos Endotatos, in cui la Sibilla, assisa su un trono avrebbe pronunciato i suoi vaticini. La copertura a volte ha fatto però ipotizzare per la sua sala una datazione alla tarda età imperiale. Dopo un mese dalla sua scoperta l'antro liberato da tutti i detriti delle vecchie cave di tufo utilizzate in età borbonica, apparve molto simile ad un dromos. Dopo la sua scoperta il Maiuri poteva affermare "Il lungo corridoio trapezoidale alto e solenne come la navata di un tempio, e la grotta a volta e a nicchioni, formano un unico insieme. Era la grotta della Sibilla, l' antro del vaticinio quale ci apparve dalla poetica visione di Virgilio e della prosaica e non meno commossa descrizione dell' Anonimo scrittore cristiano del IV secolo". Recentemente, tuttavia, si è ritenuto che l'antro fosse struttura difensiva. A sostegno di quest'ultima ipotesi vi sono la posizione della galleria posta sotto la sella che unisce l'acropoli con la collina meridionale e l'analogia con altre strutture difensive. La ricerca del vero antro della Sibilla non è ancora conclusa, infatti ora lo si cerca nei pressi del peribolo del tempio di Apollo , dove è situato un ambiente quasi completamente sotterraneo "la cisterna greca".




 

Secondo un’antica leggenda romana una vecchia profetessa offrì a Tarquinio (a Tarquinio Prisco secondo Varrone, a Tarquinio il Superbo secondo Plinio) nove libri oracolari. Poiché il re rifiutò l’aquisto, la vecchia ne distrusse tre e offrì nuovemente gli altri allo stesso prezzo. Data l’insistenza della donna che ad un secondo rifiuto ne distrusse altri tre, Tarquinio su suggerimento dei sacerdoti acquistò i libri rimasti che furono affidati a dei sacerdoti. La stessa venditrice avrebbe raccomandato prima di sparire misteriosamente, che venissero conservate e difese con ogni cura queste istruzioni atte a fronteggiare le crisi future del popolo romano e per questo chiamate "fata et remedia romana" (Servio auct VI 72). La raccomandazione della Sibilla fu osservata scrupolosamente, infatti quei libri così legati alla sacralità tanto che sono stati definiti da Cicerone come versi che imprigionano il "furor insanus" di chi "cumanos sensus amisit metre divinos ad secutus est" (Cicerone, div II 54110sg), sono stati sempre protetti, sempre irragiungibili per la gente comune. Forse perché la scrittura ancora poco diffusa in quell’epoca era sospettata e temuta o forse perché era più facile manipolare una voce anziché testi scritti. Caratteristico è il fatto che la Sibilla dotata dello straordinario potere non solo di profetizzare ma anche di scrivere il volere del dio, sia stata rinchiusa in cavea ferrea (Ampelio, 8 16) o in ampulla (Petronio sat. 48-8), in questi due autori emerge dunque chiaramente la volontà di tener rinchiusa la Sibilla in quanto considerata da molti potenzialmente pericolosa, ma soprattutto la volontà di ridurla a pura voce. I preziosi testi dopo essere stati acquistati, sarebbero stati sistemati entro un contenitore di pietra nascosto nei sotteranei del tempio capitolino sino all’incendio di questo avvenuto nel corso della guerra civile dell’83 (Dionisio di Alicarnasso IV 62). Dopo l’incendio per far ricostruire tale patrimonio Augusto inviò un’ambasceria nei luoghi celebri di dimora della Sibilla. Questa ritornò con un migliaio di versi che nel 76 vennero depositati nel ricostituito tempio capitolino, essi da questo momento sanciranno il potere divino di Giulio Cesare, di Antonio e di Ottaviano. Poiché in progresso di tempo si erano infiltrate falsificazioni di carattere politico, Augusto fece sottoporre ad una rigorosa revisione questi versi e li collocò nel nuovo tempio da lui dedicato ad Apollo Palatino (Svet.Aug. 31). Ordinando che le falsificazioni che circolavano privatamente fossero consegnate al pretore urbano, egli fece in modo che tutti gli scritti potenzialmente sovversivi fossero distrutti tra le fiamme, furono bruciati oltre duemila volumi e si risparmiarono solo i libri sibillini (Svetonio, Aug. 31). Augusto e l’autorità statale in genere volevano oltre che manipolare a proprio vantaggio quei testi, soprattutto fare in modo che non si compromettesse il loro contenuto sacrale. Molto difficile fu questo compito basta pensare che ancora nel 32 della nostra era, l’imperatore Tiberio ingiunse con durezza affinchè si indagasse circa l’opportunità di aggiungere un altro scritto ai libri sibillini (Tacito an. VI 12). Ricostituitosi tale patrimonio divinatorio in altri edifici sacri, a secondo del periodo storico nel tempio di Apollo (Serbio, auct VI 72) e precisamente alla base della statua del dio (Svetonio, Aug. 31), oppure nel pantheon (SHA, Aurel. 204), il triangolo tra potere, tradizione e religione era ricomposto. Da quel momento l’impero troverà la propria conferma nelle antiche profezie. Ogni loro riapparizione dalla chiusa segretezza del sasso onde essere consultati in occasione di una crisi statale doveva essere, come si è visto, autorizzata dal senato, altrimenti sarebbe stata ascritta a colpa dei custodi (prima due, poi dieci, quindici e, infine, sessanta: Lido de mens. IV 34) e punita duramente, alla stregua del parricidio. Anche Valerio Massimo racconta che M. Tullio duumviro (o M. Attilio secondo Dionigi di Alicarnasso), per aver permesso a Petronio Sabino di farne una copia, fu punito con il supplizio destinato ai parricidi, cioè cucito vivo in un sacco di cuoio e gettato in mare, onde le diverse componenti dell’universo non ne restassero contaminate. Gli storici testimoniano che essi furono consultati per tutta l’età repubblicana e imperiale almeno fino all’imperatore Giuliano l’Apostata.La lettura dei libri sibillini oltre che limitata agli esperti sacrali ad essi adibiti, era riservata a circostanze di estrema gravità, per le quali la loro consultazione veniva, si, autorizzata, ma con tutte le cautele del caso, tendenti constantemente a tenere questi scritti il più possibile staccati dalla sfera esistenziale. Il potere dei libri sibillini era enorme, infatti essi sapientemente manipolati ed interpretati potevano dare addirittura indirizzi politici. Diversi furono i Princeps che seppero utilizzare a loro vantaggio i libri sibillini come è stato scritto da Giampaolo Infusino. Un chiaro esempio di manipolazione si ha con lo stesso Augusto che nel 18 a.C. ordinò ad Ateio Capitone, capo di una grande scuola giuridica e aderente entusiasta al regime, di consultare i libri sibillini, affinchè facesse coincidere l’inizio dell’età dell’oro, tanto attesa dai romani, con l’anno 17 a.C. Per accedere a questi libri oltre al consenso dei senatori occorreva un vero e proprio rito di iniziazione: innanzi tutto bisognava essere puri nel corpo, nell’animo e negli abiti, quindi si doveva salire al tempio deorum omnium in cui erano custoditi, provvedere ad adornare di lauro i seggi, e solo allora si potevano srotolare gli scritti sacri, ma non certo a mani nude, bensì accuratamente coperte (SHA Aurel. 18 14-21 4).

In Virgilio,la figura della Sibilla Cumana è presente anche nella sua prima opera, "le Bucoliche", composta tra il 42 e il 39 a.C. in esametri e divisa in 10 ecloghe. Nella IV si fa riferimento alla Sibilla ed ad una sua profezia.


"Ultima Cymaei venit iam carminis aetas,
Magnus ab integro saeclorum nascitur ordo;
Iam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna,
Iam nova progenies caelo demittitur alto.
Tu modo nascenti puero, quo ferrea primum
Desinet ac toto surget gens aurea mundo,
Casta fave Lucina; tuus iam regnat Apollo."
IV Ecl. ver....

In questi versi, Virgilio, rifacendosi a profezie Sibilline, canta l'avvento di una nuova era, ovvero il ritorno all'antica età dell'oro, periodo di pace e di benessere tanto atteso, proprio come sottolinea l'avverbio "iam" (vv.4), e la fa coincidere con quello di un "puer". Ancora oggi non si è concordi sull'identità del puer e molte sono le ipotesi. C'è chi lo identifica con Asinio Gallo, figlio di Asinio Pollione console nel 40 a.C., al quale del resto è dedicata l'ecloga secondo la testimonianza di Asconio Pedano (scrittore padovano del I sec. D.C.) che affermava "a Gallo audisse se... hanc eclogam in honorem eius factam". Qualcuno ha pensato ad un altro figlio di Asinio Pollione, chi ad un figlio di Ottaviano e chi allo stesso Ottaviano. Ma, comunque, restano soltanto supposizioni e proprio questa mancanza di certezze permise ad Ottaviano di identificarsi e farsi identificare con la figura del puer e di proporsi come l'iniziatore di quell'età la cui alba era stata attesa con tanto struggente desiderio. Fu con la vittoria di Azio nel 31 a.C. che quest'eroe si propose come restauratore della nuova era in quanto sin da allora era stato protetto dall'arco di Apollo, divinità che, secondo la profezia, doveva sostenerlo. Dopo queste vittorie Augusto si affrettò a restaurare il tempio di Apollo, dando nuovo impulso al culto di questo dio e facendone uno dei cardini del suo piano di rinnovamento religioso. Infatti Augusto si rese conto che per concretizzare il sentimento che animava milioni di persone doveva muoversi non solo nell'ambito religioso, ma anche, in quello politico. Ciò era legittimo, in quanto con il titolo di "Augustus" aveva eliminato la tradizionale separazione tra il sacro e il pubblico". Ulteriore conferma del ruolo di Augusto si trova nell'Eneide, da lui stesso commissionata, in cui viene cosi' celebrato: "Augustus Caesar divi genus aurea condet saecula" (Eneide, VI, 792). In età medievale,essendoci mancanza di prospettiva storica,Virgilio fu ritenuto un grande sapiente dotato di dottrina profetica e magica per aver annunciato la nascita del puer identificato immediatamente con Cristo. Di certo,questa interpetrazione per noi risulta essere la più importante,in quanto è l'elemento principale,da cui scaturisce la cristianizzazione della Sibilla Cumana e da qui,di seguito,emerge la sua rappresentazione simile alla Madonna, come in Pisano o, addirittura nel Cinema con "Giro di Lune tra terra e mare". Nel Medioevo, l'appartenenza di Virgilio e della Sibilla Cumana al mondo romano-pagano, e la loro cristinizzazione a (la cui investitura ufficiale venne addirittura dall'imperatore Costantino che, convertitosi al Cristianesimo, si preoccupò di trovare una continuità tra i nuovi dogmi teologici e le vecchie credenze), fece dell'antica sacerdotessa di Febo un profeta pari quasi a quelli della tradizione biblica, appunto per questo autori cristiani come Lattanzio e Eusebio di Cesarea vedranno in seguito nei versi della IV ecloga una profezia legata alla nascita di Gesù e quindi il primo annuncio del Cristianesimo.
 


 

Nell'antichità greca e latina le Sibille erano vergini, giovani ma pensate talora come decrepite, che svolgevano attività mantica in stato di trance. L'origine dell'appellativo e', per cosi' dire, avvolto nel mistero né tanto meno, sappiano con esattezza quante e quali fossero le Sibille. Varrone, per esempio, ne conta ben dieci, la persiana, l'eritrea, l'elespontia, la frigia, la cimmeria, la libica, la samia, la tiburtina e la cumana. Una delle più famose era, per l'appunto la Cumana, detta anche Amaltea, Demofila o Erofila di cui abbiamo testimonianza in Licofrone, uno scrittore greco del III secolo a.c. e in Eraclito (Heraclit, 92). In verità nella letteratura greca si parla in principio per lo più di una sola Sibilla (Aristoph, Peace 1095 e 1116; Plat., Phaedrus 244b) localizzata in Eritre, in Lidia, e a Cuma. In seguito ne furono menzionate altre (cfr. Strab, 14.1.34; Paus., 10.12.1 SS.). La Sibilla cumana è una delle figure più intriganti e misteriose della letteratura latina: personaggio semimitico ella è strettamente legata al culto di Apollo ma anche a quello di un'antica dea madre, come la disanima attenta di uno dei suoi nomi, Amaltea, rivela. Ella svolgeva la sua attività oracolare nei pressi di un antro comunemente conosciuto come "antro della Sibilla", la sacerdotessa, ispirata dal dio, vaticinava in esametri greci, su foglie di palma.
 

La Sibilla nell'Eneide di Virgilio In Virgilio, nel sesto libro dell'Eneide, la Sibilla Cumana è il personaggio centrale, con la doppia funzione di veggente e sacerdotessa di Apollo e, contemporaneamente, di guida di Enea nell'oltretomba. La presentazione della sacerdotessa viene accompagnata dal fosco ritratto dei luoghi in cui ella vive che formano un tutt'uno a suggerire un'immagine di paura e, allo stesso tempo, di mistero:

At pius Aeneas arces quibus altus Apollo
praesidet,horrendaque procul secreta Sybilla
antrum immane petit magnum cui mentem animumque
Delius inspirat vates,aperitque futura.
(vv. 9-12)

Caratteristico è l'aggettivo col quale Virgilio definisce la sacerdotessa,"horrenda", termine usato forse anche per ragioni metriche ma soprattutto per l'aspetto della sacerdotessa durante l'invasamento: in quella occasione il dio la possiede completamente, prendendo il sopravvento sulle sue facoltà superiori dello spirito, sulla ragione, sull'intelligenza ("mentem") e sull'animo inteso come sede delle passione e dei sentimenti ("animum"). D'altro canto nell'immaginario collettivo la figura di queste sacerdotesse che vivevano in grotte poco accessibili ("secreta"), dovevano incutere molto terrore così come temutissimi erano i loro oracoli. Appare evidente, inoltre, in questi versi il legame tra la Sibilla ed Apollo, anche se successivamente, laddove Virgilio presenta la profetessa con il nome di Deifobe, il poeta mantovano associa al culto di Febo quello di una divinità ctonia, Trivia, cui erano consacrati la grotta, il bosco ed il lago, che fanno da sfondo al vaticinio:

Quin protinus omnia perlegerent oculis, ni iam praemissus Achates
adforet, atque una Phoebi Triviaeque sacerdos,
Deiphobe Glauci, fatur quae talia regi:
(versi 36-37)

Excisum Euboicae latus ingens rupis in antrum,
quo lati ducunt aditus centum, ostia centum;
unde ruunt totidem voces, responsa Sibyllae.
Ventum erat ad limen, cum virgo. "Poscere fata
tempus" ait; "deus, ecce, deus!"
(versi 43-47)


E' probabile che l'antro stesso i cui la Sibilla vaticinava fosse ricco di vapori sulfurei che producevano la trance profetica, di fatti è proprio all'ingresso della grotta che la sibilla Virgiliana sente l'imminenza della profezia:

Ventum erat ad limen, cum virgo. "Poscere fata
tempus" ait; "deus, ecce, deus!"
(versi 45-47)

Caratteristica e' la definizione della Sibilla come "VIRGO nome col quale viene definita Deifobe prima o dopo essere stata invasata dal Dio, ma mai durante l'invasamento. La possessione è, infatti, concepita come una "mixis" sessuale e come tale la condizione migliore in cui la donna può presentarsi al Dio è quella della verginità, che resta inalterata, sebbene la donna porti in sé, dopo l'invasamento, la parola del dio come un embrione.

La mistica unione con Apollo viene preceduta da una vera e propria trasfigurazione della Sibilla:

"...Poscere fata
tempus" ait; "deus, ecce, deus!" Cui talia fanti
ante fores subito non voltus, non color unus,
non comptae mansere comae; sed pectus anhelum,
et rabie fera corda tument; maiorque videri,
nec mortale sonans, adflata est numine quando
iam propiore dei. "Cessas in vota precesque,
Tros" ait "Aenea? Cessas? Neque enim ante dehiscent
attonitae magna ora domus."
(versi 45-53)

Il cambiamento del colore del volto, il petto ansante e il cuore selvaggio che si gonfia di furore sembrano voler dimostrare una ribellione della Sibilla al Dio stesso. Virgilio la definirà' in seguito come una baccante che infuria per scacciare Apollo dal suo petto; ancora dunque un segno dell'insofferenza della Sibilla che termina solo quando cessa il furore e la rabbiosa bocca rimane quieta e Apollo l'abbandona, ancora dunque un segno dell'insofferenza della Sibilla che forse emblematicamente adombra il rifiuto totale del maschio e una dissociazione dalla cultura patriarcale.

At, Phoebi nondum patiens, immanis in antro
bacchatur vates, magnum si pectore possit
excussisse deum; tanto magis ille fatigat
os rabidum, fera corda domans, fingitque premendo.
Ostia iamque domus patuere ingentia centum
sponte sua, vatisque ferunt responsa per auras:
(vv.76-82)

Il responso della Sibilla si effonde nell'aria: significativa è la preferenza accordata da Virgilio alla maniera più antica di oracolare, cioè in stato di furia e verbalmente, rispetto alla scrittura su foglie in ottemperanza forse al disegno augusteo di imbrigliare e sfruttare a proprio vantaggio la profezia della "vegliarda". Per cui più semplice poteva risultare la manipolazione di una profezia orale rispetto ad una scritta. Di qui la raccomandazione di Enea di non scrivere sulla foglie ripetendo in sostanza il consiglio di Eleno ( Cfr. Aen, III 445-457)


Foliis tantum ne carmina manda,
ne turbata volent rapidis ludibria ventis;
ipsa canas oro.
(vv74-76)
 

La Sibilla dopo aver vaticinato i suoi orrendi enigmi, domata come un animale reso docile da redini e sproni, si placa così che Enea può di nuovo cominciare a parlare.

Talibus ex adyto dictis Cymaea Sibylla
horrendas canit ambages antroque remugit,
obscuris vera involvens: ea frena furenti
concutit, et stimulos sub pectore vertit Apollo.
Ut primum cessit furor et rabida ora quierunt,
incipit Aeneas heros:
 

Quando la Sibilla riprende l'aspetto consueto, Enea le chiede di accompagnarlo nel mondo dei morti. La vergine gli risponde che ciò e consentito solo a pochissimi eletti. Se Enea vuole affrontare il duro viaggio, deve venire in possesso del ramo d'oro da offrire a Proserpina, seppellire un compagno morto e sacrificare pecore nere. Eseguiti gli ordini della sacerdotessa Enea può finalmente introdursi nell'Ade dietro l'attenta guida della Sibilla che lo inizia ai misteri dell'oltretomba. L'elemento iniziatico e negromantico si fonde così con quello oracolare e furente nell'unica figura della Sibilla, fornendo un modello che troverà ampio seguito nella produzione letteraria successiva.




Apollo e la Sibilla, pittura di Ercolano, conservata attualmente nel Museo Nazionale, è dominata da atteggiamenti antitetici anticipati dal titolo stesso, nel quale, per l’appunto, è manifestata l’umiltà della Sibilla rispetto alla divinità. Una divinità, che, riccamente abbigliata, in posizione eretta e a testa alta, dichiara la sua autorità in opposizione alla sottomissione della Sibilla, che, invece, è rappresentata con lo sguardo rivolto verso il basso e con una semplice tunica che le scopre la spalla. La sovrastante presenza della figura maschile fa supporre che in esordio il mito era strettamente connesso al Dio, per poi essere estrapolato come testimoniano le successive rappresentazioni. Alcuni elementi del dipinto riscontrati e commentati anche in altre opere identificano il ruolo svolto dai due personaggi. Infatti, l’alloro oltre a rappresentare la funzione profetica della Sibilla le attribuisce il compito virgiliano di guida. Le caratteristiche fisiche della Sibilla, quali i capelli raccolti, il colore e l’espressione del volto indicano indubbiamente lo stato di "Virgo" in cui si trova. Altro elemento, il serpente, ha molteplici significati, quali la forza vitale, la fecondità, la crescita; da ciò possiamo dedurre che è considerato anche come una creatura benevola, quando non si fa riferimento alle forze distruttive del suo veleno. Quindi il serpente sorretto da Apollo è simbolo di fecondità, in quanto la parola del Dio è concepita come embrione, frutto dell’invasamento inteso come mixis sessuale. Confrontando questo raffigurazione della profetessa con quelle sulle monete romane dell’età repubblicana, abbiamo individuato caratteristiche comuni, delle quali la principale è sicuramente il suo aspetto giovanile. Potremo così ipotizzare, essendo per noi un sconosciuta la data di composizione dell’opera di Ercolano, che queste importanti testimonianze della Sibilla nella cultura del mondo antico, risalgano allo stesso periodo storico. Vanno infine notati sia il rotolo di papiro che, accomagna, come abbiamo visto più volte, la figura della Sibilla Cumana sia la colonna posta al centro può essere interpretato come come oggetto di separazione, emblema della diversa natura della Sibilla e del Dio.




Una delle più importanti raffigurazioni della Sibilla Cumana in età augustea è rappresentata dalla Base di Sorrento, che è situata nel tempio di Apollo a Roma, sul colle Palatino. Questo fu fatto costruire da Augusto il quale mirava ad innalzare il suo prestigio e a pubblicizzare la propria figura attribuendole origine divine, ritenendo la divinità apollinea sua protettrice poiché anticamente quest’ultima era fautrice dei progenitori della stirpe Giulia dalla quale l’imperatore discendeva. Inoltre con la costruzione di questo sacro edificio, volendo rinvigorire e riorganizzare il culto romano, si ricollegò al “grecus ritus”, venerando in questo modo anche le stesse divinità del mondo greco. Sulla base di Sorrento si possono evidenziare tre imponenti figure: Diana, Apollo e Latona ai cui piedi vi è l’immagine più umile della Sibilla. Diana, posta a destra rappresentata in quanto lucifera, con una fiaccola, è sorella di Apollo che è posto invece al centro, forse per sottolineare la sua unica presenza maschile. Analizzando però attentamente la sua figura è visibile alla sua sinistra il tripode con piedistallo e alla sua destra la cetra, entrambi suoi simboli . Partiocolare è ancora una volta la rappresentazione della Sibilla Cumana che per il suo atteggiamento si direbbe rappresentata nel suo “stato di Virgo”, dopo l’invasamento del Dio ai cui è prostrata. Accanto alla profetessa troviamo, nascosti nella base del simulacro i libri sibillini che la stessa indica e che furono posti lì per volontà di Augusto in quanto, a suo giudizio, autentici.
In ultima analisi notiamo che la raffigurazione delle tre divinità, per gli abiti, per la posizione, è molto simile, anche se la Sibilla si differenzia dalle altre due figure per l’evidente povertà della sua veste.

Ovidio ci presenta tra i vari miti anche quello della Sibilla rifacendosi chiaramente a Virgilio (AEN. III e VI libro) ma, introducendo allo stesso tempo, numerose differenze. Sia Virgilio sia Ovidio ritraggono il momento in cui Enea, sbarcato sulle coste di Cuma, si reca nell'antro della Sibilla; tuttavia gli autori pongono l'accento su due funzioni diverse attribuitele; mentre in Virgilio prevale la funzione di profetessa su quella di guida, e' proprio quest'ultima che viene presa prevalentemente in considerazione da Ovidio.

Has ubi praeteriit et Parthenopeia dextra
moenia deseruit, laeva de parte canori
Aeolidae tumulum et, loca feta palustribus undis
litora Cumarum vivacisque antra Sibyllae
intrat, et ut manes veniat per Averna paternos,
At illa diu vultum tellure moratum
erexit tandemque deo furibunda recepto (101-107)

In questi versi Ovidio definisce la Sibilla "vivax". Dunque fa, e farà' nei successivi versi, un preciso riferimento all'età' della Sibilla e, come vedremo, anche alla sua storia. E' importante evidenziare che Enea chiede alla Sibilla non di profetizzare, ma solo di guidarlo nei campi Elisi per incontrare il padre. La profetessa, però, per svolgere la sua funzione di guida deve comunque essere invasata dal Dio; si ripete dunque un topos già' presente nell'Eneide, anche se l'invasamento qui non e' accompagnato dalla suggestiva trasfigurazione della Sibilla presente nell'opera di Virgilio.

IL RAMO D'ORO
Invia virtuti nulla est via!" Dixit et auro
fulgentem ramum silva Iunonis Avernae
monstravit iussitque suo divellere trunco
(versi 113-115)

Sono versi che evidenziano un "rito d'iniziazione" già' presente in Virgilio. La Sibilla comanda ad Enea di prendere il ramo d'oro, perché' solo cosi' riuscirà' a giungere alla virtù'necessaria per entrare nell'Elisio, non facendo alcun riferimento ne' a Proserpina ne' tantomeno all'offerta che Enea avrebbe dovuto dare a quest'ultima. Per Ovidio prendere il ramo e' soltanto un topos che non ha alcuna finalità in quanto, secondo la tradizione, si poteva facilmente entrare nell'inferno, ma difficile era uscirne.

IL RINGRAZIAMENTO
"seu dea tu praesens, seu dis gratissima" dixit,
numinis instar eris semper mihi meque fatebor
muneris esse tui, quae me loca mortis adire,
quae loca me visae voluisti evadere mortis.
Pro quibus aerias meritis evectus ad auras
templa tibi statuam, tribuam tibi turis honores."
versi 123 -128

Qui Ovidio riprende esplicitamente una formula usata in Virgilio nella prima ecloga (" namque erit ille mihi semper deus, illius aram saepe tener nostris ab ovilibus imbuet agnus\" vv. 6-7). "Sempre ti avrò come dea" E' il segno della gratitudine che Enea esprime alla Sibilla e che Titiro esprimeva a Melibeo. Sicuramente non si tratta di una captatio benevolentiæ, ma soltanto di un ringraziamento, visto che Enea non deve cercare di convincere la Sibilla a fargli da guida, ma solo ringraziarla per quello che ha già' fatto. Caratteristico e' il verbo "voluisti" al verso 126 dal quale emerge una la volontà' della Sibilla di aiutarlo. Infatti Enea dice: "E' merito tuo che io visitai della morte l'albergo e volesti che ne uscissi". Dunque la Sibilla non e' solo guida ma ha anche il potere, con sua volontà', di permettere ad Enea di uscire dall'inferno. Gli ultimi due versi 127-128 si rifanno al VI libro dell'Eneide, dove Enea promette alla Sibilla grandi penetrali entro i quali conserverà' i suoi responsi

LA STORIA E LA PROFEZIA SUL SUO FUTURO
Respicit hunc vates et suspiratibus haustis
nec dea sum" dixit "nec sacri turis honorehumanum dignare caput; neu nescius erres,
lux aeterna mihi carituraque fine dabatur,
si mea virginitas Phoebo patuisset amanti.
Dum tamen hanc sperat dum praecorrumpere donis
me cupit, `elige' ait, `virgo Cumaea, quid optes:
optatis potiere tuis.' Ego pulveris hausti
ostendi cumulum: quot haberet corpora pulvis,
tot mihi natales contingere vana rogavi;
excidit, ut peterem iuvenes quoque protinus annos.
Hos tamen ille mihi dabat aeternamque iuventam,
si venerem paterer: contempto munere Phoebi
innuba permaneo; sed iam felicior aetas
terga dedit, tremuloque gradu venit aegra senectus
,quae patienda diu est (nam iam mihi saecula septem
acta vides): superest, numeros ut pulveris aequem,
ter centum messes, ter centum musta videre.
Tempus erit, cum de tanto me corpore parvam
longa dies faciet consumptaque membra senecta
ad minimum redigentur onus: nec amata videbor
nec placuisse deo; Phoebus quoque forsitan ipse
vel non cognoscet vel dilexisse negabit:
usque adeo mutata ferar, nullique videnda,
voce tamen noscar; vocem mihi fata relinquent."
versi 129-153

In questi versi la Sibilla specifica di essere una persona dalle caratteristiche umane e non una dea e racconta ad Enea la sua storia, che non e' affrontata da Virgilio. Dopo aver spiegato il perché' della sua "longeva" età', dopo aver parlato dell'amore di Apollo e dei granelli di sabbia, a partire dal verso 147 sembra che la Sibilla cominci a profetizzare sul suo stesso futuro. La profetessa dice che col passare del tempo il suo corpo si consumerà' fino a quando non resterà' niente altro che la voce; Vanno infine notati sia il rotolo di papiro che, accomagna, come abbiamo visto più volte, la figura della Sibilla Cumana sia la colonna posta al centro può essere interpretato come come oggetto di separazione, emblema della diversa natura della Sibilla e del Dio.

 


Le Tradizioni Popolari


Il mito della Sibilla rivive ancora oggi attraverso leggende e tradizioni popolari. Un esempio, è rappresentato da un racconto che gli abitanti della città di Mammola evocano durante il loro abituale pellegrinaggio presso il paesino di Polsi. Difatti essi narrano che la "Maga Sibiglia" (la Sibilla Cumana), volendo essere più bella della Madonna e adorata al suo posto, fosse stata rinchiusa da Dio in una profonda spelonca a soffrire le pene dell’inferno.Ma la Sibilla, non dandosi per vinta, chiedeva ai passanti se fosse giunto il giorno del giudizio e continuò così fino alla fine dei suoi giorni. Per questo motivo, quando la statua della Madona è portata fuori del santuario di Polsi, ha le spalle rivolte verso la spelonca della Sibilla, quasi volesse essere uno scherno. In realtà tra la Sibilla e la Madonna c’è sempre stato uno stretto legame; difatti, come abbiamo visto, nella IV ecloga di Vergilio la sacerdotessa, aveva annunciato la nascita di un "puer", che avrebbe portato l’arrivo di una nuova era e che in seguito fu udentificato con Cristo.
Una seconda leggenda narra che la Sibilla era considerata la "Signora Fata", cioè una fata benefica, le cui ancelle insegnavano tutti i segreti della filatura e della tessitura. Riguardo all’Antro della Sibilla , la tradizione afferma che era abitato da una misteriosa profetessa (la Sibilla Appenninica), e che quest’ultima era stata rinchiusa lì da Dio. Molti entrarono in questa grotta: avventurieri, maghi e stregoni, i quali dopo aver superato ostacoli, come mostri e paesaggi orribili, potevano accedere al regno della Sibilla e delle sue ancelle e restare per un anno. Chi rimaneva più del tempo stabilito, era condannato a restarvi fino alla fine del mondo. Per questo motivo, l’entrata della grotta fu occlusa, in modo che più nessuno sarebbe potuto entrare.
Una approfondita ed ampia analisi delle leggende e delle tradizioni riguardanti la Sibilla Cumana è stata compiuta, come precedentemente accennato, da R. De Simone.


Bibliografia essenziale:

AA. VV., "Il vero libro dei sogni", ediz. Polaris, 1993
G. Belloni, "Le monete romane d'età repubblicana", Milano, 1960, p.72 tav.46
M. chiabò-F. Daglio, "Mito e realtà del potere nel teatro: dall'antichità classica al rinascimento", Roma, 1981
G. CAVALLO, , P.Fedeli, A Giardina, Lo spazio letteriario di Roma antica, Roma 1993
Ludovici, Strata, "Il racconto dell’Epos", Napoli 1995
P. CASTELLI, " Solvet saeculum in favilla. Le immagini delle Sibille al servizio dell'ideologia", in "Mito e realtà del potere nel tratro: dall'antichità classica al Rinascimento", Roma 29 ottobre/1 novenbre 1987, pp 313 ss,
G. E. Rizzo, "Base di Augusto", in Bullettino della Commissione Archeologica, LX, 1932, pp. 51-52, pp.72 fig. 11, pp.74-75 , pp. 106-107
MAROTTA, enciclopedia Minerva, Napoli 1968
A. Passerini, Linee di storia romana in età imperiale, Milano 1972
P. Zanker, "Augusto e il potere delle immagini", Torino,1989, pp.256-257.



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