Home - Messaggi - Maestri - Autori - Arcana Arcanorum - Corpus Magiae - Biblioteca - Dossier - Napoli - Religioni - Luoghi - Vitriol - Miscellanea - Filmati
ricerche a cura di IniziazioneAntica
Mario Parascandolo alias “Hahajah”, 1902-1954, dapprima come “capo della segreteria particolare” della Delegazione, quindi dal 21 gennaio 1950 come “procuratore” per il prosieguo delle attività miriamiche, dopo le dimissioni di Domenico Lombardi, precedenti di alcuni mesi alla sua morte, avvenuta nel 1951. Scrisse sulle riviste "Ibis" e "La Fenice".
Parascandolo è una figura chiave nella storia di questa tradizione: nel 1945
fonda a Roma la loggia ANKH insieme ad
Augusto
Lista, Arduino Anglisani alias “Ardang” nella loggia e alias “Hariel” nelle
attività miriamiche, e
Carlo
Coraggia alias “Lehaiah”, 1897-1982.
Anglisani a sua volta rompe con Parascandolo nel 1950 insieme con i vecchi
compagni della loggia ANKH. Nello stesso anno Parascandolo, con l’approvazione
di Lombardi, investe Donato De Cristo del mandato di ricostruire i circoli
esterni della Miriam. Sennonché, dopo la morte di Lombardi, Parascandolo
riprende i rapporti con gli amici della loggia ANKH e partecipa, peraltro già
malato e prossimo a morire, alla costituzione di un nuovo centro dedito a
rivitalizzare l’Ordine
Osirideo Egizio – e, in posizione a questo subordinata, anche la Fratellanza
di Miriam –, noto con il nome assunto dal suo “schermo” con il mondo “profano”,
C.E.U.R. In tal senso, prima di morire, nel 1954, Parascandolo conferisce il
mandato per la prosecuzione della scuola a Carlo Coraggia e conferma alla
direzione dell’Accademia Pitagora di Bari Donato De Cristo.
La C.E.U.R. emerge come il centro piu vivace nella diffusione in Italia e
all’estero – Accademie e cenacoli sono aperti a Roma, Catania, Brescia, Firenze,
Vasto, Bari, Napoli, Trento, Rovereto, Lucca, Torino, in Spagna e Francia; e
negli anni 1980 viene acquistato un castello a Guardea, in Umbria – sia discreta
di dottrine “osiridee” sia pubblica di dottrine “isiache” e terapeutiche, in
particolare attraverso la pubblicazione delle opere di
Kremmerz; ma l’esistenza di
questo centro ha vita travagliata e non sopravvive a lungo alla morte di
Coraggia, cui per qualche anno segue alla direzione della C.E.U.R. il chirurgo
Aleandro Tommasi. D’altro canto, la Delegazione Generale di De Cristo – che
dirige l’Accademia Pitagora di Bari, non senza dissensi nello stesso capoluogo
pugliese – non riesce a controllare una proliferazione di gruppi autonomi a
Milano, in Toscana e a Napoli, dove si era sempre mantenuta una tradizione
indipendente.
La Tavola di Smeraldo
Parte Prima
Commento a Cura
di
Mario Parascandolo alias HAHAJA
PROPOSIZIONI
1° E' vero, è vero senza errore, è certo e verissimo.
2° Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò
che è in basso, per fare il miracolo di una cosa sola.
3° Come tutte le cose sono sempre state e venute da Uno, così tutte le cose sono
nate per adattamento di questa cosa unica.
4° Il Sole ne è il Padre, la Luna è la Madre, il Vento l'ha portato nel suo
ventre, la Terra è la sua nutrice. Il Padre di tutto, il Telesma di tutto il
Mondo è qui; la sua potenza è illimitata se viene convertita in Terra.
5° Tu separerai la Terra dal Fuoco, il sottile dallo spesso, dolcemente, con
grande industria. Ei rimonta dalla Terra al Cielo, subito ridiscende in Terra, e
raccoglie la forza delle cose superiori ed inferiori.
6° Tu avrai con questo mezzo tutta la Gloria del Mondo, epperciò ogni oscurità
andrà lungi da te. E' la forza forte di ogni forza, perché vincerà ogni cosa
sottile e penetrerà ogni cosa solida.
7° E' in questo modo che il Mondo fu creato.
8° Da questa sorgente usciranno innumerevoli adattamenti, il cui mezzo si trova
qui indicato.
9° E' per questo motivo che io venni chiamato Ermete Trismegisto, perché
possiedo le tre parti della filosofia del Mondo.
10° Ciò che ho detto dell'operazione del Sole è perfetto e completo.
COMMENTO
Autore di questa Tavola fu un
Hermes, un essere, cioè umano e divino, il quale aveva saputo fondere nel
proprio crogiuolo tutto se stesso, sollevandosi nella natura essenziale del
ternario, fonte perenne di vita incorruttibile, che lo rese tre volte grande o
trismegisto. Il particolare nucleo di praticanti a cui queste note sono
indirizzate mi dispensa da chiarimenti audaci e, peraltro, essi costituirebbero
nei loro confronti una irriverente pretesa, se non fossero ispirati al principio
ammesso e permesso in taluni casi dall'Ordine Osirideo Egizio di "potersi
consultare su determinati punti di controllo, secondo la formula fondamentale
della rivelazione ermetica" che è superfluo ripetere a chi già la conosce. Ai
fini, pertanto, di una sempre più salda impostazione del teorema alchemico non
mi pare di offendere la loro sensibilità ricordando che lo smeraldo è il colore
di Venere e che il segno corrispondente a questo pianeta è lo stesso segno di
mercurio, privato della luna, ossia privato del principio formale. Perché poi le
proposizioni siano dieci, cioè uno e zero, e perché in esse sia molto richiamata
e commentata la decima chiave del Tarocco, è cosa che essi certamente sanno. Ma
non è mai troppo soffermarsi su certe coincidenze di numero e di simbolo,
riunitamente e separatamente considerate, perché a volte piccoli (apparentemente
piccoli) riferimenti trascurati, possono interferire negativamente sui risultati
attesi, donde disinganni e reazioni, che richiedono tempo, soprattutto tempo,
per poter essere assorbiti, ovverosia eliminati. Senonché cotesto fattore, il
tempo, cioè, quando non è tenuto nella debita considerazione, mal si accorda col
successo ambìto, perché - come in tutte le opere di creazione - esso ha
un'importanza specifica; mentre col fare, sostare, disfare e rifare se ne va nel
suo fiume la parte più preziosa della nostra esistenza, oltre la quale non
restano che la rassegnazione e... la morte. E consideriamo ora brevemente - come
si conviene a siffatti rispettabili praticanti - il testo della prima
proposizione.
PRIMA PROPOSIZIONE
E' vero, è vero senza errore, è certo e verissimo. Su questa triplice
affermazione se ne sono scritte di tutti i colori. Vi si diffondono Eliphas
Levi, il Cremonesi e, con grande sfoggio di filosofia, il dottore L. Iesboama
nel Commentarium, al cui testo rimandiamo il lettore interessato o curioso. Ma è
bene precisare che l'ermetista classico non ha niente da vedere col filosofo
pedante, tutto assorto ed assurto nelle astrazioni concettuali dei più arditi
pensieri e delle più sottili induzioni. L'ermetista classico è un pratico, che
ha constatato dei fatti e ad essi si riferisce, più che alle loro cause, sulle
quali non è raro che anche per lui resti inesplicabile il velo del mistero. E
proprio per questo, per non poterne dare, cioè, una spiegazione esauriente e
tale che soddisfi le esigenze di una logica spesso trionfante per facile
dialettica, è costretto a darne ripetute assicurazioni, come chiunque è ansioso
di corroborarle con insistenza, magari giurando su questo o su quello.
Interpretata in questo spirito, semplicisticamente, la triplice affermazione
appare legata non solo al desiderio, ma anche al bisogno di persuadere e di
guadagnar credito. Al desiderio, per le ragioni anzidette, ed al bisogno, perché
il Trismegisto, che sa il fatto suo, preso da perplessità, vuol dare il massimo
incoraggiamento all'impresa. Perché poi questa perplessità? Perché gli errori e
gl'insuccessi non sono né pochi né rari; non mancano mai di conseguenze e
disarmerebbero le più forti e tenaci volontà. Ma quando uno, che nel prosieguo
delle sue enunciazioni mostra una ammirabile scienza, insiste nel dire che è
vero, è vero senza errore ed è certo e verissimo quello che dichiara, allora
vuol dire, a mio avviso, che malgrado gli errori, gli insuccessi e le
conseguenze di cui sopra, non bisogna desistere, né infirmare la validità del
procedimento suggerito, ma piuttosto rivedere il proprio operato con fede e
sagacia se... il tempo e le altre condizioni richieste sono ancora
matematicamente armonizzate alla bisogna. Pertanto il testo della prima
proposizione va tradotto: "Puoi essere sicuro, perché mi consta personalmente e
mi devi credere, la cosa va fatta certamente in questo modo".
SECONDA PROPOSIZIONE
Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che
è in basso, per fare il miracolo di una cosa sola. Questa proposizione va
esaminata, per così dire, "di dentro" e "di fuori", vale a dire che prima
bisogna mettersi nella condizione di chi l'ha scritta, di un hermes, cioè, come
innanzi ricordato, e poi nella condizione di un uomo comune aspirante a quello
stato. Ma come fare? Occorre aiutarsi con delle immagini, e sarà poi il lettore
intelligente a spingerne oltre le analogie per rendersi conto sempre più
completo del loro valore. Immaginiamo, ad esempio, un bel vaso pieno di acqua,
ed immaginiamo altresì che l'acqua non sia, come abitualmente la consideriamo,
un elemento materiale qualsiasi, ma un "essere cosciente e sensibile". Cotesto
"strano essere-acqua" sposa i limiti della forma che lo contiene e ne avverte,
contro le parti, la natura resistente e solida, fissa e stabile, tutta opposta
alla propria, di consistenza sua particolare. A poco a poco, per assuefazione
della sua coscienza, finirà per sentirsi "tutt'uno" con la forma che lo
contiene, tranne dalla parte per la quale vi è entrato (bocca del vaso) la cui
superficie libera, che per analogia si potrebbe paragonare al cervello, è a
contatto con l'aria e gli dà l'impressione dell'infinito. Qui, proseguendo
nell'analogia, si potrebbe dire che se il vaso è trasparente non gli mancherà,
anche dal limite che lo circoscrive, la visione e quindi l'impressione
dell'infinito, mentre più il vaso è opaco e meno per questa via tale visione gli
sarà possibile. Come per assuefazione egli si sente tutt'uno col suo contenente,
così tutt'uno si sentirà pure con l'infinito, dalla parte dove il contatto gli è
possibile. Ma in tali condizioni, vero cristo in croce, egli alternerà il suo
stato di coscienza, secondo che più è esaltato il senso dell'uno o dell'altro
contatto, dubitando alternativamente della propria realtà limite o della propria
realtà infinita. E' la sua condizione speciale che lo fa dimentico di "se
stesso" e tutto permeato dalle sensazioni inevitabili che gli vengono dal suo
mondo-ambiente specifico. Ma se gli fosse possibile "esaltare" se stesso fino a
sentirsi - come realmente è - "acqua", allora, per assuefazione col proprio
elemento, egli avvertirebbe soprattutto la propria natura in una specie di
separazione, o di oblìo delle impressioni precedenti, senza tuttavia perdere il
privilegio della propria forma dovuta al vaso, né quello del contatto con
l'infinito dovuto alla propria superficie libera. In tali condizioni, prevalendo
cioè la coscienza del suo "vero stato di essere" il basso (vaso) e l'alto (aria)
verrebbero percepiti come due contatti di analoga importanza, ma di inversa
natura: uno limitativo, concentrativo, fisso; l'altro, estensivo, dispersivo,
mobile. Egli potrebbe allora dire: "Quello che è in basso è come quello che è in
alto e viceversa, ecc.". E cioè: a) alto e basso mi sono ugualmente estranei; b)
esercitano egualmente un'influenza interferente sulla mia identità; c) ma sono
le condizioni indispensabili di contrasto alle quali debbo se posso sentirmi
veramente "io" in una forma e a contatto con l'infinito, e cioè per sentirmi
"una cosa sola o unica" con me stesso. Ecco cosa vuol dire che il basso è come
l'alto e viceversa, per produrre il miracolo "della cosa unica" in un vaso,
s'intende, perché fuori di questa condizione non avrebbe alcun interesse
alchemico. Esaminata "dal di fuori" da un essere cioè non pervenuto alla
identificazione con se stesso, la proposizione va rettificata così: "Per
produrre il miracolo della cosa unica occorre che l'alto sia come il basso e
viceversa, vale a dire che tu pervenga alla constatazione degli inversi limiti
che ti condizionano, attraverso una forma di separando che in realtà non ti
separa dal tutto, ma ti restituisce a te stesso".
TERZA PROPOSIZIONE
Come tutte le cose sono sempre state e venute da UNO così tutte le cose sono
nate per adattamento di questa COSA UNICA. Abbiamo già chiarito, grosso modo,
cosa sia questo UNO, o COSA UNICA, o HERMES, e cioè: a) un essere umano e divino
b) tutto fuso nel proprio crogiuolo c) sciolto nella natura essenziale del
ternario d) Uno con se stesso per l'avvenuto miracolo di "una sola cosa".
Miracolo, da mirare cioè fissare e perciò stabilmente integrato, immortale ed
eterno espressione purissima della volontà-intelligenza divina, in esercizio
perpetuo e polluente di creazione. Così caratterizzato, egli è omologo, nella
propria sfera, al Principio-Uno da cui è tutto derivato e tutto è derivabile e,
per analogo potere di adattamento, può derivare da se stesso ciò che vuole, SE
PURE E' IL CASO DI OPERARE DERIVAZIONI VOLUTE, con l'implicita conseguenza di
assoggettarvisi e non, invece, come crediamo, quello di restare "puro" ed in se
stesso, lasciando agli accostamenti passivi la cura di ingravidarsene a tutto
loro vantaggio o rischio. Egli, difatti, sempre puro e vittorioso, non ha
bisogno alcuno di volere, ma sarà chi gli si accosta a sviluppare, volente o
nolente, per fatale copulazione, i suoi germi fecondi, con risultato benefico o
malefico, secondo che, nell'avvicinarlo, abbia concepito il bene o il male,
mentre egli resta inalterato ed al limite superiore all'uno ed all'altro. Nasce
qui il grosso equivoco dei dilettanti, dei principianti e dei vagheggiatori sui
"poteri" della magia. I poteri dell'hermes (o del mago) non sono suoi (non
saprebbe che farsene) ma sono lo sviluppo che conseguono (in campo isiaco e per
la sua virtù o forza generante attiva) quelli che gli sono attribuiti, con la
immaginazione, con la fede, o con la consapevolezza della tecnica di meccanismo
che li rende propizi e benefici. E quando non è così, trattasi di sacrificio o
di missione accettata. Ecco l'Unus, pollentissimus omnium, e non per nulla
Mercurio (Hermes) è raffigurato irto e teso su un piede solo, in uno slancio
nervoso verso l'alto, tutto pervaso di forza, quasi prossimo a spiccare il volo.
Ma qui la forma non inganni, perché è la sostanza che interessa. Sostanza Una,
s'intende, e non bina, sostanza che sta al nucleo di ogni cosa esistente e che
fa dire all'Hermes: "Come tutte le cose sono sempre state e venute da Uno, così
tutte le cose sono nate per adattamento di questa cosa unica". E' chiaro,
pertanto, che in sede di adattamento la cosa una diventa bina e cioè partecipe
della natura essenziale delle forme create, e mal si appongono coloro che a
questa rivolgono la loro attenzione, perché l'UNO è l'UNO e in cifra araba si
scrive: 1.
QUARTA PROPOSIZIONE
Il Sole ne è il Padre, la Luna ne è la Madre, il Vento lo ha portato nel suo
ventre, la Terra è la sua nutrice. Il Padre di tutto, il Telesma di tutto il
Mondo è qui; la sua potenza è illimitata se viene convertita in Terra. Il Sole
ne è il Padre la Luna ne è la Madre. Di chi? Dell'Uno, s'intende, dell'uno
sempre, come innanzi inteso, il quale nascendo dal connubio degli opposti, ne
riproduce i caratteri, riuniti in se stesso, ovverosia in "una cosa unica".
Processo genetico, cotesto, di inattaccabile verità, confermato in fisica, cioè
in natura, e da rettificare con l'aiuto dell'arte. Il Vento lo ha portato nel
suo ventre. Il vento, come si sa, è circolatorio e nasce da due zone di opposta
temperatura. E qui si tratta appunto di circolazione, come rilevasi altresì
dalla decima chiave del Tarocco. Vento di scirocco o di tramontana? Temerario
colui che, impugnato il manubrio, ne imprenda il moto con ignara mano! E'
necessario sapere per osare, volere per creare, tacere per serbare. Un ansito di
produzione gli gonfierà il petto, un'emozione trepida gli annunzierà che la mèta
è vicina, un'illusione ottica - quando più vorticoso sarà il giro - fonderà in
una visione unica i due genii... Poi ruota e genii ed asse e manubrio
spariranno, mentre il cuore vacilla (peccato!)... e un negrore ottenebrante
(lapis niger) tutto offusca ed involve. Ove sono? Chi sono? Non sono? E' la
morte? No. E' la vita. A me la terra, la nutrice inesausta si prodighi! Non v'è
produzione che non si nutra al suo seno ricolmo; ogni cosa attinge ai suoi
fianchi possenti il tessuto del proprio sviluppo: la lussureggiante flora, ricca
di semi che ne perpetuano la specie, la fauna copiosa, che sfida i secoli e le
inclemenze. Il Padre di tutto, il Telesma di tutto il Mondo è qui. Attenzione.
C'è un errore: manca una virgola. Il testo va rettificato così: Il Padre di
tutto, il Telesma di tutto, il Mondo è qui. Il Padre di tutto: è la forza
generante attiva. Il Telesma di tutto: è una ripetizione pleonastica
rafforzativa. Telesma da teleo è compiere, condurre a termine, divenir compiuto,
perfetto, giunto a maturità. Il Mondo è qui: mondo (apri bene le orecchie) sta
per contrario di im-mondo; da mondare, mondato, mondo, cioè senza scorza; il
purificato. Quindi il puro da ogni scoria è qui. La sua potenza è illimitata se
viene convertita in Terra... rossa (ci manca, ma si intende) perché nella terra
comune, a questo punto, crescerebbe solo petrusino (prezzemolo) e vesenicola
(basilico). Sta di fatto, comunque, che sole, luna, vento e terra sono il solito
quadrinomio ricorrente, senza il quale l'Uno non si elabora, non si manifesta,
non si purifica e non si converte. Senonché il quadrinomio è raccostabile ai
quattro elementi: fuoco, aria, acqua e terra, da cui si estrae la quintessenza,
ed alle quattro lettere del Tetragramma, che, opportunamente scongiurato, ne
manifesta una quinta (scin), la quale, inserita nel ben mezzo di esso, forma il
nome cabalistico del Cristo (iod-hè-scin-vau-hè) che è l'Emmanuel o il Redentore
della natura umana.
QUINTA PROPOSIZIONE
Tu separerai la Terra dal fuoco, il sottile dallo spesso, dolcemente, con grande
industria. Ei rimonta dalla Terra al Cielo, subito ridiscende in Terra, e
raccoglie la forza delle cose superiori ed inferiori. E' opinione notoriamente
diffusa che un segreto alchimico esista e che sia gelosamente custodito. Anzi,
perfino coloro che non ne sanno niente, ma hanno letto Schuré, Papus, magari
Bésant e qualche rivistucola esoterica, ostentano un'aria di sufficienza e
spesso ammiccano significativamente per passare tra coloro che sanno. Essi sono,
in verità, i più sicuri custodi del segreto e bisogna riconoscere che non ne
parlano mai apertamente, né per rivelazione appropriata, per la semplice ragione
appunto che non sanno niente. Costoro, in fondo, non fanno male a nessuno,
perché non danno "vie", non prescrivono "pratiche" e non millantano "poteri",
paghi soltanto di darsi un pò di innocente importanza. Ma ci sono quelli che
hanno attinta o credono di aver carpita qualche notizia sicura, o che posseggono
addirittura testi segreti, tanto segreti, invero, da cadere sotto gli occhi
stupefatti perfino degli idioti, e non a caso. Costoro hanno anche praticato,
allettati da miraggi profani, e non ne hanno ricavato niente. Ma si gonfiano di
sapienza, si circondano di mistero, si infiltrano tra i creduli, parlano a metà
e, appena possono, stampano pure qualche libriciattolo sconclusionato, frutto
molto spesso di plagio sfacciato e deformato, o di filosofia da strapazzo,
sofisticando pedestremente su ciò che manifestatamente non hanno digerito. Essi
prendono molto sul serio ciò che dicono in lingua assai maltrattata e, frammezzo
a notizie di seconda e terza mano, arricchite di citazioni autorevoli,
personalmente non riescono a concludere nulla. Sono poveri diavoli che credono
con le loro indiscrezioni di violare il "segreto della rivelazione",
assumendosene la responsabilità (come se fossero dei responsabili) con aria di
Maestri emancipati. Ma come spiegare l'assolutezza di cotesto segreto con le
indiscrezioni che ne trapelano? Come spiegare l'esistenza di un Ordine
costituito che si proclama in grado di garantirlo e le profanazioni dilaganti?
E' semplice: notizie e testi (quando risalgono a persone serie) sono una "PROVA"
e cioè soltanto un'indicazione per giungere, SE DEGNI, alla conoscenza del
segreto, ma non sono il segreto. Anche il Trismegisto, difatti, nella sua Tavola
laconica quanto completa, non appena si tratta di toccare l'argomento principe,
dice soltanto: "Tu separerai, ecc." Ma in che modo? Ebbene il "modo" non è stato
mai trasmesso né con le parole, né con testi scritti ed è questa la garanzia
sicura della custodia fra coloro che, pervenuti a conoscerlo, sanno di dover
tacere e perché. Il "modo", quando non è tramandato per simboli pressoché
ininterpretabili, si apprende per "VISIONE DIRETTA" entrando, in compagnia di un
Maestro Iniziatore, nel laboratorio alchimico di una Loggia Ammonea ed
assistendo ad una trasmutazione reale nel silenzio più rigoroso del Maestro e
del Novizio. Ma anche qui, per ovvie ragioni, la trasmutazione che consta di
quattro operazioni con quattro risultati specifici, non viene "Mostrata" intera.
Si ferma alla terza operazione, e tutto ciò che se ne può dire a edificazione
del circolo interno per il quale sono redatte queste note, qui di seguito sarà
per la prima volta riferito senza fitti velami. Il laboratorio alchimico è una
comune stanzetta di forma quadrata, dalle pareti tinte rigorosamente in nero,
con due opposte aperture piuttosto basse: una d'ingresso e una d'uscita. Al
centro vi si trova un cubo sul quale è disposto verticalmente un serpente di
soffiato di Murano, che s'incurva circolarmente su se stesso (il serpente che si
mangia la coda) avendo le fauci aperte, a poca distanza dalle quali termina la
coda. Il serpente, internamente cavo, ha una rigonfiatura ovoidale nella gola,
alla cui base, presso la strozzatura inferiore, è inserito un filtro, a lato del
quale si apre una valvola di scarico. La coda, cava come si è detto, termina con
un'apertura, e tutto è riscaldato a bagnomaria con temperatura costante. Il
Maestro ingozza nelle fauci dell'animale una sostanza gelatinosa che preleva da
apposito serbatoio laterale munito di rubinetto e questa va a cuocersi della
rigonfiatura menzionata, donde a poco a poco sciogliendosi, attraversa il filtro
e comincia a gocciolare nella parte inferiore. (Tu separerai la terra dal
fuoco). Quando attraverso il filtro non passa più nulla, per mezzo della valvola
laterale si scaricano i depositi insoluti e con un ingegnoso dispositivo a
manovra esterna, si porta su, attraverso la coda del serpente, il liquido
ottenuto (sale dalla Terra al Cielo) fino a che dalla parte incurvata verso le
fauci aperte esso vi comincia a ricadere (subito ridiscende in Terra). A questo
punto si sostituisce il filtro con un altro più sottile e si ripete tutto come
prima. E così di seguito: sempre con un filtro più sottile fino a quando
dall'estremità della coda non viene fuori alcun liquido, ma un vapore prezioso,
cioè uno stato di essere della materia che sta fra il liquido e il gassoso. Qui
si chiude la prima operazione trasmutatoria, che allora può dirsi riuscita
quando il vapore raccolto si congela in una massa omogenea opalina, che,
ottenuta per passaggio di materia da uno stato all'altro, "raccoglie la forza
delle cose superiori ed inferiori", cioè la consistenza eterea e quella
materiale. L'insuccesso di questa prima operazione è fatale per chi
s'intestardisca nel prosieguo senza le dovute rettifiche, le quali possono
riguardare il tempo di apertura e di chiusura, la temperatura, le ostruzioni, le
interruzioni, il bagnomaria e molte altre che stimo superflue enumerare. In caso
di riuscita, invece, poiché "il procedimento è lineare" si passa alla seconda
operazione, che è identica alla prima, ma varia per un composito accessorio, il
quale va miscelato al primo elemento trasmutatorio, con "determinati
accorgimenti che sono la condizione indispensabile e necessaria
all'ossidabilità, senza la quale la pratica resta nullificata e può divenire
addirittura controproducente". Esso si estrae da "l'ortosvodum" (inutile che i
latinisti s'immischino in questo arcaismo) rigorosamente custodito da
impenetrabile recinto e precluso alla foia di qualsiasi animale maschio. Cotesto
reagente, per reiterate centrifugazioni, operate sempre per cozione e filtro,
dinamizza la miscela al punto che bisogna sorvegliare con la massima attenzione
la sua espansione nell'alambicco, pena lo scoppio dell'apparecchio e
l'irreparabile perdita della sostanza. Ma se tutto procede con le dovute
cautele, mettendo la mano alla estremità della coda, si avvertirà prima una
zaffata di aria calda- secca e poi si raccoglierà una sottilissima polverina
(polvere di proiezione) che ha la proprietà di "separare" la forza della
materia, ma non in maniera esplosiva (niente bombe atomiche!!!) "SIBBENE
INDUCENDO TENDENZA ALLA MOBILITA'" nei corpi animati (Ibi mobile). Però è
leggermente stupefacente e afrodisiaca, donde il pericolo, per l'incauto che vi
decada facendone cattivo uso, di permanere in simili stati, dando così modo e
tempo al serpente sempre vigile di profittare del suo momentaneo incantesimo per
divorare il piccolo implume. Ma l'alchimista austero non si lascia sedurre dalle
attrattive erotiche e prosegue imperterrito alla terza operazione. Egli opera,
cioè, una seconda miscela, traendone da un barattolo pronto per l'uso due
boccette ripiene di diverse essenze provenienti dalle piante della Repubblica
Argentina: una di colore rosso fiammante e un'altra di colore bianco e latteo.
Codeste due essenze hanno proprietà reciprocamente divoranti, talché, messe
assieme, si distruggerebbero a vicenda e non lascerebbero altro di se stesse che
un odore caratteristico molto noto ai praticanti di alto grado. Ma fatte cadere
a gocce, separatamente, su qualche milligrammo della polverina ottenuta, perdono
la loro caratteristica corrodente, si conciliano, cioè, nella natura essenziale
dell'eccipiente, e si fondono, sempre per effetto di cozione e filtro, in un
amalgama fosforescente dai riflessi arcobaleno. E qui termina la terza
operazione ostensibile, dopo la quale, Maestro e Novizio escono dal laboratorio
alchimico, muti come vi sono entrati. Essi si separano immediatamente con la
tacita promessa del Novizio di rivedersi quando il suo IBI avrà messo le penne e
gli consentirà di tornarvi col proprio volo, "UNICO MODO DI RIPRESENTARSI PER IL
RICONOSCIMENTO RITUALE", con diritto ad assistere al finale dell'Opera per
essere consacrato Maestro Ammoneo nel Sinedrio Eterno dell'Ordine Osirideo
Egizio.
SESTA PROPOSIZIONE
Tu avrai con questo mezzo tutta la gloria del Mondo, epperciò ogni oscurità
andrà lungi da te. E' la forza forte di ogni forza, perché vincerà ogni cosa
sottile e penetrerà ogni cosa solida. A mano a mano che la complessità della
vita sociale si è andata organizzando in convivenza sempre più mercantile,
sempre più indispensabile è apparso alla base di molti godimenti umani e di
molte imprescindibili necessità il possesso dell'oro. Cotesto metallo, indice
dei più svariati poteri, ha sempre esercitato il suo fascino trascinatore
sull'animo umano, anche quando ne bastava pochissimo per emanciparsi da
qualsiasi asservimento. Pertanto, la necessità di possederne è stata sempre
avvertita in ragione diretta delle brame che può singolarmente soddisfare, o dei
vantaggi che collettivamente può arrecare. Esso splende tra le mani dei
benefattori che ne profondono in opere umanitarie, scorre in rivoli fulgenti
dalle casse di istituti consacrati al benessere e al progresso umano, ma
occhieggia anche alle radici delle più torve cupidigie, si annida nei meandri
dei più voraci appetiti, appare sinistro al fondo dei più sordidi interessi e
serpeggia livido tra le più basse passioni. Innalza od annienta, sostiene od
abbatte, nutrisce o corrode, ma sempre lusinga e seduce. Quando, perciò, gli
alchimisti metallurgici annunziarono la possibilità di trasformare il piombo in
oro, tesero alle turbe degli avidi e dei concupiscenti il laccio più
corrispondente alle loro bramosie. Ne alimentarono le speranze e le illusioni,
costringendoli, così, alla custodia gelosa dei loro testi sibillini, alla loro
paziente interpretazione ed alla pratica indefessa dei fornelli e delle fusioni,
per cui quegli stessi che ambìvano ai tesori - non esclusi principi e prelati -
ne profusero a dovizia tra le più pazzesche esperienze. Effetti utili e
sorprendenti ugualmente sortirono dalle varie combinazioni e trasmutazioni, a
cui tanto deve la chimica posteriore, né può definirsi impostura un enunciato
basato su possibilità analogiche oggi pienamente confermate dalla teoria
dell'unità della materia; ma la intenzione di quei saggi era quella di
diffondere e tramandare una scienza superiore ad ogni velleità profana, per cui
la pratica e lo studio diretti al vagheggiato possesso della ricchezza non
fruttò neppure il becco di un quattrino. Negli antichi tempi, invece, tra coloro
che primeggiavano sui volghi la ricchezza era piuttosto diffusa e, pertanto, non
poteva costituire sufficientemente miraggio per scomodarli in ricerche, studi ed
esperienza affannose. Occorreva allora polarizzare l'attenzione verso qualcosa
di altrettanto eccitante e desiderabile, ed all'uopo fu sapientemente prescelta
la potenza fascinatrice della fama. Il Trismegisto, difatti, promette
agl'interpreti del suo verbo "TUTTA LA GLORIA DEL MONDO". Ma se delusi furono
coloro che tentarono l'alchimia per conseguire ricchezze e tesori, altrettanto
può dirsi di quelli che praticano la magia per eccellere nell'opinione del
mondo. I falsi alchimisti, pertanto, perdettero il loro tempo. I veri alchimisti
conseguirono tutti la "GLORIA DEL MONDO" ma per essa, piuttosto che desiderarne,
sacrificarono e spregiarono l'oro e la fama, vivendo una vita tristissima,
spesso conclusa nella persecuzione, nella miseria, nelle carceri e, talvolta,
nel rogo e sul patibolo. La storia nota ufficialmente e quella conosciuta dai
discepoli intimi narra le vicissitudini di cotesti eroi - spesso oscuri ed
ignorati - sempre vilipesi e calunniati, talora brillanti per ingegno
eccezionale, tal altra stranamente piatti, incolori e stremati, circonfusi di
piccole o grandi leggende, mitici o spiccioli per breve tempo luminosi come
meteore, per lungo tempo pietosamente sopraffatti da se stessi e dal mondo... da
quel mondo che avrebbe dovuto glorificarli! Mentiva, dunque, il Trismegisto? No.
Mendace e falsa è soltanto l'interpretazione dei deviati, che alle sue parole
attribuiscono non il significato che hanno, ma quello relativo alla propria
"forma mentis" profana ed impreparata, causa dei più amari disinganni. Ecco
perché le alte iniziazioni sono precedute da "preparazioni" apposite, spoliative
di ogni sovrapposizione culturale specifica, per il denudamento del proprio
"mono" mentale, puro, unico interprete del retto senso di tutte le cose.
L'ingegnere, difatti, il medico, il matematico, il filosofo imbevuti delle loro
teorie, specialmente oggi che la scienza schiamazza i suoi postulati con un
apparato suggestivo senza riscontro nei tempi, non possono prescindere dal
proprio patrimonio di idee accettate. Essi, pertanto, in presenza dello strano
linguaggio ermetico - qualora si dilettassero senza la dovuta preparazione ad
investigarne il senso - non potrebbero sottrarsi ai riferimenti della propria
dottrina ed in coordinazione con questa ne tenterebbero le più pasticciate
interpretazioni. Un esempio di interpretazione corrispondente ai sogni più
comuni, alle aspettazioni più profane, alle velleità più specificatamente
inerenti alla goffaggine umana, che amerebbe asservire l'altissima scienza
dell'Assoluto alla miseria delle proprie vanità, è proprio questo della "gloria
del mondo". Ma dopo il tanto che si è detto sul senso vero di questa parola è
chiaro, invece, che esso (il mondo) partecipa direttamente alla creazione del
"corpo glorioso" (questa e non altra è la sua gloria) creazione eccezionale ed
alchimica, veste indistruttibile dell'IO, trionfatrice della morte e
disimpegnata dalla catena delle nascite umane, per cui l'Adepto, è figlio di se
stesso, erede della propria storia, immortale e redento dalla fermentazione
venerea che assoggetta le anime alle imposizioni reincarnative. Egli è
totalmente integrato con l'eterno del proprio essere, aperto alla vita
ininterrotta dell'intelligenza, superiore e Signore della razza da cui proviene,
della quale ha precorso l'evoluzione finale in una cruda e coraggiosa sintesi
delle tappe naturali. Ecco perché il testo prosegue: "e ogni oscurità andrà
lungi da te". Non si tratta di brillare quale astro di prima grandezza fra gli
applausi della platea umana, non si diventa un luminare insignito di onori e di
decorazioni, glorificato da turbe, prosternate a tanto passaggio sulla ribalta
terrena. Tutto ciò in lui è consumato come nelle ceneri il fuoco. Ma l'oscurità
è relativa agli antri, alle caverne, alle matrici, ove si incontrano e si
sviluppano i germi delle vite; uteri di fecondazione vomitanti forme periture.
Ed egli non vi può ormai decadere, perché immortale ed eterno. Tale oscurità
andrà lungi da lui. Ma se una missione umana elegge od è chiamato a svolgere
nella sfera degl'incarnati, in ben altro modo che non coercito da un
accoppiamento animale assolverà il compito suo. Più sibillino, quanto più
grandiosamente allusivo al finale dell'Opera, è il resto della proposizione: "è
la forza forte di ogni forza, perché vincerà ogni cosa sottile e penetrerà ogni
cosa solida". Codesta "veste gloriosa" difatti è proiettabile, da vivi, fuori
del corpo, in una gamma variabile che va da certi "inizi precisi" fino a sua
completa condensazione, a seconda del grado di "separando" conseguito. Ecco
perché, giunta al massimo di sua formazione, vincerà ogni cosa sottile e
penetrerà ogni cosa solida, vale a dire si affermerà come secondo corpo,
indipendente e resurrettivo, tale da imporsi alla obbiettività di qualsiasi
controllo, come cosa reale, fisica, tangibile, capace di rendersi evidente (oh,
San Tommaso!) e di sparire riassorbita dalla volontà di emissione che ne comanda
la esteriorizzazione totale.
SETTIMA PROPOSIZIONE
E' in questo modo che il mondo fu creato. Vedi commento alla quinta
proposizione.
OTTAVA PROPOSIZIONE
Da questa sorgente usciranno innumerevoli adattamenti, il cui mezzo si trova qui
indicato. Dalla sorgente di questa Scienza, cioè dalla Fonte Iniziatica - Unica
Fonte di scienza "umana" eterna ed assoluta - la catena ininterrotta dei Maestri
sperimenterà il Vero degli enunciati sinedriali in applicazioni innumerevoli.
Esse saranno in rapporto col quadro dei tempi, attraverso i quali tramanderanno
in riverberi adatti alla evoluzione umana la continuità della Luce, preparandone
l'avvento finale per il trionfo radioso dei suoi abbaglianti fulgori. Gli Ordini
costituiti, pertanto, ed i singoli Maestri riusciti, hanno sempre prescelta una
finalità "rivelatoria" a cui sono rimasti fedeli "usque ad mortem" qualunque sia
stata la sorte collettiva (vedi Templari, Rosa-Croce, ecc.) o personale
(consulta le vite) che COME UN SIGILLO, ne ha consacrata la volontà nella storia
umana di tutti i tempi.
NONA PROPOSIZIONE
E' per questo motivo che io venni chiamato Ermete Trismegisto, perché possiedo
le tre parti della filosofia del mondo. E' noto che non esiste alcuna filosofia
tripartita. La filosofia anzi è sintetica e riassuntiva, riassorbendo in sé
tutta la conoscenza umana per la celebrazione di un Vero Universale, attinto
alle risultanze ultime del sapere scientifico, in contrasto col quale non
potrebbe sostenere alcunché di valido e di rassicurante. Peraltro, il pieno
possesso di una triplice filosofia, come teoria puramente concettuale e
discorsiva, sarebbe ben povera cosa e non chiarirebbe il motivo per cui Ermete
fu chiamato Trismegisto. Tris-meg-isto, difatti, è corruzione di Tris-mag-isto (Tri-magister
vuol dire Maestro di terzo grado) il che significa che Ermete esercitava il
triplice "mag" dei corpi lunare, mercuriale e solare, cioè della santissima
(separatissima) Trinità. E l'autore, da quello che dice nella sua tavola, depone
effettivamente in favore della qualità che si attribuisce. La parola "filosofia"
vale - come nel suo senso puramente etimologico - "conoscenza". Ma per
l'iniziato "conoscere" significa "essere". Pertanto, il Trismegisto "era" cioè
possedeva le tre parti dell'essenza del "mondo". Ed essendo il mondo ciò che
ripetutamente si è detto, vuol dire che il Trismegisto era assurto a "trinità
separata e gloriosa" individuo assoluto e magnifico Eone della vita umana
nell'eterno delle essenze pure.
DECIMA PROPOSIZIONE
Ciò che ho detto dell'operazione del Sole è perfetto e completo. E'
l'assicurazione finale, che richiama l'insistenza iniziale, a chiusura del ciclo
esplicativo. L'operazione del Sole, difatti, indicata nella quinta proposizione,
racchiudendo intero il problema trasmutatorio, i mezzi ed i risultati, può
considerarsi perfetta e completa. CONCLUSIONE L'aureo Maestro J. M. Kremmerz
diceva: "Positivamente le investigazioni su queste ricerche, su questi studi, su
queste idee, che presuppongono una deliberata preparazione in chi si accinge a
intraprenderle, non sono di moda... ...L'Ermetismo, la magia cabalistica, la
filosofia dell'Occulto e dell'Invisibile? Troppo tempo, troppa fatica, troppa
perdita di tempo!". Ed ancora: "Con un senso d'amarezza profonda scrivo due
parole d'introduzione alla lettura degli "Elementi di magia naturale e divina"
...Credevo l'umanità molti secoli più innanzi e in venti anni non ho realizzato
che assaggi e prove. Niente di concreto... cioè di concreto le molte noie che mi
son fabbricate con le mie mani". Con quale speranza io, suo lontano discepolo,
ho collaborato alla diffusione delle stesse idee su codesta Rivista ospitate?
NESSUNA. Io so che i tempi sono mutati; ma in peggio. Mi è stato ordinato di
parlare ai Circoli esterni ed interni, di coordinarli entrambi con voce più
esplicita verso le rispettive finalità e di richiamare all'ordine gli
inadempienti. Ho obbedito. Non mi resterebbe, se ne avessi qualche speranza, che
ripetere col "sempre presente" J. M. Kremmerz: "Una sola cosa desidero: che gli
studiosi di ermetismo magico, italiani, non si separino, non si dividano, non si
combattano tra di loro in aride polemiche, ma come FIGLI DELLA GRANDE ARTE si
tengano stretti intorno al punto criticissimo della ricerca per la scienza più
umana che l'uomo sia mai audacemente pervenuto a possedere". Ma io non ho questa
speranza, HAHAJA
Home - Messaggi - Maestri - Autori - Arcana Arcanorum - Corpus Magiae - Biblioteca - Dossier - Napoli - Religioni - Luoghi - Vitriol - Miscellanea - Filmati